· Città del Vaticano ·

Il punto di vista di un imam in Francia

Attenti al veleno dell’odio

 Attenti al veleno dell’odio  QUO-264
17 novembre 2023

«Stop all’antisemitismo»: domenica scorsa, precedute da questo cartello, oltre 100.000 persone hanno sfilato in Francia dove, dal primo giorno di conflitto tra Israele e Hamas, si è verificato un altissimo numero di atti antisemiti. Alla marcia, svoltasi a Parigi, era presente anche Hassen Chalghoumi, imam di Drancy, da anni impegnato nel dialogo tra musulmani e ebrei, che mette in guardia contro il rischio di «importare» la guerra in Terra santa nei paesi occidentali, invitando anche tutti i credenti a testimoniare la loro solidarietà reciproca.

Come ha vissuto la giornata del 7 ottobre?

Il comune di Drancy, alla periferia di Parigi, dove sono imam, ha una storia particolare: è stato il principale luogo di deportazione degli ebrei in Francia. Per questo da vent’anni cerco di incoraggiare i giovani — musulmani ed ebrei — alla riflessione, allo studio della storia, all’ascolto delle testimonianze dei sopravvissuti, per capire fino a che punto l’uomo è stato capace di far soffrire suo fratello, compiendo veri e propri genocidi. Qui noi musulmani siamo molto legati alla comunità ebraica. Per me la giornata del 7 ottobre ha cancellato in un solo attimo tutti questi anni di dialogo, di testimonianze. Siamo tornati indietro nel tempo: quello che era un sogno è diventato un incubo.

La comunità musulmana in Francia come sta vivendo questo conflitto?

I musulmani in Francia — la stragrande maggioranza dei quali appartiene ad una comunità silenziosa — sono rimasti molto scioccati dalle immagini degli attacchi del 7 ottobre che circolavano. Successivamente temevano che la Palestina sarebbe stata assimilata a Hamas, che loro stessi sarebbero stati assimilati a Hamas. Poi ovviamente le cose sono cambiate dal momento in cui Israele ha risposto bombardando la Striscia di Gaza, uccidendo migliaia di civili. I musulmani sono rimasti scioccati dalla violenza con cui i palestinesi sono stati puniti. Perciò ho invitato gli imam e i leader delle moschee a pregare per la pace, a non lasciarsi trascinare nel conflitto in Medio Oriente. Ho chiesto ai fedeli di recarsi alle manifestazioni per la pace, facendo attenzione a non partecipare ai cortei dove purtroppo troviamo slogan che glorificano o inneggiano al terrorismo.

Domenica scorsa lei ha partecipato alla grande marcia contro l’antisemitismo organizzata dalle autorità francesi...

E ho anche invitato tutti ad andarci, in uno spirito di fratellanza, di pace, di solidarietà, di speranza, a dire no all’odio, un veleno che, sotto qualsiasi forma, dilania la nostra società. Sono stato felice di vedere migliaia di persone uscire dal loro silenzio, per dimostrare la loro fratellanza: questa è la società di cui abbiamo bisogno. Tuttavia, mi è dispiaciuto che i musulmani presenti non siano stati abbastanza numerosi durante questo corteo. In Francia un recente rapporto denuncia 1.200 atti antisemiti. Nella comunità ebraica, molte persone che conosco non osano più uscire con la kippah sul capo. Hanno rimosso i loro nomi dalle cassette della posta e persino le mezuzah dalle porte di casa. In questi giorni sto organizzando le visite degli imam di Drancy ai rabbini della città per esprimere la nostra fratellanza. Dobbiamo dimostrare che le comunità possono mescolarsi. Noi altri credenti in Europa siamo chiamati a esportare la nostra amicizia, tra ebrei, musulmani, cristiani, in un quadro democratico che rispetti la libertà di credere o di non credere e che garantisca di poter vivere la propria fede in sicurezza. È di questa amicizia, di questa solidarietà che il mondo ha bisogno.

Si teme che il conflitto tra Israele e Hamas abbia conseguenze negative sulle relazioni tra ebrei e musulmani in Francia. Come evitarlo?

Ognuno di noi, politico o civile, credente o no, ha la sua parte di responsabilità. La comunità musulmana deve garantire che gli imam non prendano spunto dalla guerra in Medio Oriente integrandola nei loro discorsi o sermoni. La politica deve restare fuori dalle sale di preghiera. Tocca poi ai genitori esercitare il loro ruolo, parlando con i propri figli, insistendo sul fatto che si tratta di un conflitto politico e non religioso. Infine, chiunque voglia aiutare i palestinesi o gli israeliani deve ricorrere ad atti moderati, aperti, a sostegno di entrambi gli Stati. Non è perché ci consideriamo uomini di pace che non dobbiamo parlare apertamente. Sta a noi denunciare gli eccessi settari, i discorsi di odio, ma anche il silenzio che a volte può risultare dannoso.

di Charles de Pechpeyrou