Era il 2002, la mia prima volta a New York. Sono uscito dalla Penn Station, e ho visto un muro alto, altissimo. Poi il cielo limpido, tersissimo. Lo sguardo spaesato ha cercato una via d’uscita, una boccata d’aria. E l’ha trovata come emergendo da un tuffo nell’acqua. Perché siamo abituati a vedere l’orizzonte, a cercarlo alla nostra altezza, nei limiti della nostra capacità. New York è una sfida verticale. L’insieme dei suoi volumi è spazio armonico, dosa l’equilibrio dei suoi fitti ingombri. Anche la nostra vita ha piazze e altezze. Ma siamo poco inclini a uscire dai nostri orizzonti, dove l’occhio ha tutto a portata di mano. Allora passeggiare per New York può essere una suggestione di ordine spirituale, una sfida urbana allo sguardo sul mondo. Proprio New York, nella sua mondana monumentalità, dove tutti fanno e pochi guardano. Dobbiamo conquistarci l’insieme delle cose guardando in obliquo, da un punto di fuga. Ne abbiamo bisogno: è l’unico che dona alla vista l’evidenza della profondità.
di Antonio Spadaro