· Città del Vaticano ·

Il magistero

 Il magistero  QUO-263
16 novembre 2023

Sabato 11

Nei santuari
per ritrovare
la pace

I santuari sono luoghi speciali, dove il santo popolo fedele di Dio accorre per pregare, essere consolato e guardare con fiducia al futuro.

I Santuari siano realmente luoghi privilegiati di preghiera. Raccomando che, nella scelta dei sacerdoti per le Confessioni, non accada che quanti si presentano trovino degli ostacoli.

Il Sacramento della Riconciliazione è perdonare, sempre.

Nella storia di ogni Santuario è facile toccare con mano la fede del popolo, che viene mantenuta viva e alimentata con la preghiera, in primo luogo il Rosario.

Nei Santuari si dedichi particolare attenzione all’adorazione. [Ne] abbiamo perso il senso, dobbiamo riprenderlo.

L’ambiente e l’atmosfera delle chiese non sempre invitano a raccogliersi e adorare. Favorire nei pellegrini l’esperienza del silenzio contemplativo.

L’adorazione non è allontanarsi dalla vita; è lo spazio per ricevere l’amore di Dio e poterlo testimoniare nella carità.

Si va ai Santuari anche per essere consolati. Quante persone vi si recano perché portano nello spirito e nel corpo un peso, una pena, una preoccupazione!

La malattia di una persona amata, la perdita di un famigliare, situazioni della vita spesso cause di solitudine e tristezza, che vengono deposte sull’altare.

La consolazione non è un’idea astratta, ma vicinanza compassionevole e tenera, che comprende il dolore e la sofferenza.

Consolare equivale a rendere tangibile la misericordia di Dio; per questo il servizio della consolazione non può mancare.

Posso essere segno efficace di consolazione nella misura in cui ho sperimentato in prima persona l’essere consolato. Ricordare la propria esperienza aiuterà a consolare gli altri.

Questa esperienza passa attraverso la maternità di Maria, la “Consolata” per eccellenza. Nei Santuari sovrabbondino consolazione e misericordia!

Infine, il pellegrino ha bisogno di speranza. La cerca nel gesto stesso del pellegrinaggio: si mette in cammino.

Chiede speranza con la preghiera, perché sa che solo una fede semplice e umile può ottenere la grazia di cui ha bisogno.

È importante che, tornando a casa, si senta esaudito e carico di serenità perché ha posto in Dio la sua fiducia.

Nei Santuari si fa molta attenzione all’accoglienza. Al tempo stesso occorre prestare cura pastorale al momento in cui i pellegrini lasciano il Santuario per tornare alla vita ordinaria: che ricevano parole e segni di speranza, così che il pellegrinaggio raggiunga il suo pieno significato.

Ho voluto che il prossimo anno, in preparazione al Giubileo del 2025, sia interamente dedicato alla preghiera. Saranno pubblicati dei Sussidi, che possono aiutare a riscoprire la centralità della preghiera.

Rinnoviamo ogni giorno la gioia e l’impegno di essere uomini di preghiera. Da tutti i Santuari si implori l’intercessione della Madre di Dio perché, in questo tempo tormentato, tanti fratelli che soffrono possano ritrovare pace e speranza.

(Ai partecipanti al ii incontro internazionale
per i rettori e gli operatori dei santuari)

Un coraggioso
patto educativo
per la famiglia

Diventare genitori è una delle gioie più grandi. Suscita energie, slancio ed entusiasmo. Ma ci si trova di fronte a compiti educativi per i quali ci si trova impreparati.

Accudire con amore i figli e stimolarli a maturare e a diventare autonomi; aiutarli ad acquisire sane abitudini e buoni stili di vita, nel rispetto della loro personalità e dei loro doni, senza imporre le nostre aspettative; aiutarli ad affrontare il percorso scolastico. Trasmettere una formazione all’affettività e alla sessualità; difenderli da minacce quali bullismo, alcol, fumo, pornografia, videogiochi violenti, azzardo, droga.

Per questo sono importanti le reti di sostegno per i genitori. Tramite la condivisione di esperienze e percorsi formativi, esse aiutano a non sentirsi soli e non scoraggiarsi.

La missione educativa non è favorita oggi dal contesto culturale, almeno in Europa, segnato dal soggettivismo etico e da un materialismo pratico.

I genitori si rendono conto che i figli sono immersi in questa atmosfera culturale. Ciò che essi “respirano”, assorbono dai media è in contrasto con quanto fino a pochi decenni fa era considerato “normale”.

Per questo i genitori si trovano a dover mostrare ai figli la bontà e la ragionevolezza di scelte e valori che non si possono più dare per scontati, come il matrimonio e la famiglia, o la scelta di accogliere i figli come dono. Non è facile, perché si tratta di realtà che si trasmettono solo con la testimonianza!

Di fronte a queste difficoltà scoraggianti, bisogna sostenersi a vicenda per accendere nei genitori una “passione” per l’educazione. La cultura è cambiata, ma le esigenze del cuore umano conservano un nucleo immutabile che viene fuori anche nei figli.

Dio ha inscritto nella nostra natura le esigenze insopprimibili di amore, verità, bellezza, relazionalità e di donazione, apertura al tu dell’altro e al Tu trascendente. Queste sono potenti alleati di ogni educatore.

Facendole emergere, imparando ad ascoltarle, anche i nostri figli non avranno difficoltà a vedere il bene, il valore delle proposte educative dei genitori.

Compito
educativo

Il compito educativo può dirsi riuscito quando i figli scoprono la fondamentale positività della loro esistenza, del loro essere al mondo e quando, forti di questa convinzione, affrontano con fiducia e coraggio l’avventura della vita.

Questo presuppone la scoperta del grande amore di Dio. Chi scopre che alla radice del proprio essere c’è l’amore di Dio Padre riconosce anche che la vita è buona, che essere nati e amare è un bene.

Questa certezza aiuta a non vivere mossi solamente da un’avvilente tendenza “al risparmio”, nella preoccupazione di preservarmi, non coinvolgermi, non sporcarmi le mani. Ci sono queste trappole.

La vita invece si apre a tutta la sua ricchezza e bellezza quando viene spesa, quando si “perde” per gli altri e così si trova veramente.

Il compito dei genitori è formare persone libere e generose che hanno conosciuto l’amore di Dio e donano a piene mani ciò che [hanno] ricevuto.

È la trasmissione della gratuità, che non è facile. Qui ci sono le radici di una società sana. Perciò è importante che venga riconosciuto il ruolo sociale dei genitori.

Educare un figlio è un’opera sociale, perché significa formarlo alla relazionalità, al rispetto, alla cooperazione in vista di un obiettivo comune, alla responsabilità, al senso del dovere, al valore del sacrificio.

Tutti valori che fanno di un giovane una persona affidabile e leale, capace di dare il suo contributo al lavoro, alla convivenza civile, alla solidarietà.

Altrimenti i figli crescono come “isole”, slegati dagli altri, incapaci di una visione comune, abituati a considerare i propri desideri come valori assoluti: figli capricciosi, ma di solito succede quando i genitori sono capricciosi!

E così la società si decostruisce, si impoverisce e diventa più debole e disumana.

Tutelare il diritto dei genitori a crescere ed educare i figli con libertà, senza essere costretti in nessun ambito, particolarmente in quello scolastico, a dover accettare programmi in contrasto con le loro convinzioni e valori.

La Chiesa è madre [e] cammina al fianco dei genitori e delle famiglie per sostenerli nel loro compito. Stiamo portando avanti un “Patto educativo globale”.

E nello stesso tempo anche un “Patto per la famiglia”, tra attori culturali, accademici, istituzionali e pastorali, per mettere al centro la famiglia e le sue relazioni: uomo-donna, genitori-figli, legami fraterni.

L’intento è superare alcune “fratture” che attualmente indeboliscono i processi educativi: tra educazione e trascendenza, nelle relazioni interpersonali, la frattura che allontana la società dalla famiglia creando disuguaglianze e nuove povertà.

Vi incoraggio ad andare avanti nel vostro impegno — con coraggio, ci vuole coraggio oggi —, trovando ispirazione e sostegno nelle testimonianze evangeliche dei santi genitori Maria e Giuseppe.

(Alla general assembly and conference
della European parents’ association - Epa)

Fede e servizio
agli ultimi
sono uniti

Cari amici Sikh, vi siete radunati qui da diversi Paesi su iniziativa del Guru Nanak Darbar, di Dubai.

Mi ha fatto molto piacere apprendere del servizio ispirato alla fede da voi offerto in Paesi che, pur lontani dalle terre di origine, sono diventati casa vostra.

Tale sforzo testimonia il vostro impegno a vivere nella fede e a contribuire al bene della società, cercando di integrarvi e al tempo stesso di rimanere fedeli alla vostra identità.

Costruendo ponti tra le persone, e servendo i poveri, i bisognosi e i sofferenti, voi riconoscete i vari modi in cui le vostre vite sono state benedette ed arricchite.

Fede e servizio sono intimamente uniti. La via autentica per arrivare a Dio, dice la vostra Sacra Scrittura Guru Granth Sahib, è nel servizio agli uomini nostri fratelli.

Il Vangelo riporta questa parola di Gesù: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi».

Il servizio disinteressato, reso a chi tra noi è più piccolo e si trova alle periferie, oltre a renderci consapevoli della nostra insufficienza, ci avvicina a Dio.

Possa restare il vostro stile di vita, e possiate essere una benedizione per quelli che servite, promuovendo uno spirito di fraternità e uguaglianza, di giustizia e pace.

(A una delegazione della comunità Sikh
degli Emirati Arabi Uniti)

Lunedì 13

La povertà
è la “custode”
della
vita consacrata

Trae[te] ispirazione dall’eredità della fondatrice Teresa di Gesù Gerhardinger, di cui il 17 novembre ricorre l’anniversario della beatificazione.

La vita della beata è stata una testimonianza di fede trasformante, di coraggio nel creare nuove vie e di dedizione all’educazione dei giovani.

La sua pedagogia voleva essere integrale: insieme all’istruzione intellettuale comprendeva anche la cura dello spirito e la formazione di persone compassionevoli, responsabili e incentrate in Cristo.

Sulle sue orme, avete proseguito lungo queste tre strade dell’educazione, del servizio e della spiritualità.

Come si legge nelle vostre Costituzioni, la beata Teresa “fondava la congregazione sull’Eucaristia, la ancorava alla povertà e la dedicava a Maria”.

Mi piace questo. Senza la vera povertà, non c’è vita religiosa.

Non solo è una virtù, no, è la custode. Questo saldo fondamento ha permesso alle School Sisters of Notre Dame di andare in tutto il mondo e testimoniare il Vangelo, rendendo visibile Cristo.

Il tema scelto per il Capitolo “Essere testimoni profetici per una comunione universale”, è di grande importanza.

Le Scritture offrono numerosi riferimenti alla vocazione profetica di singoli e comunità che hanno promosso la comunione tra diversi membri del santo Popolo fedele di Dio.

Penso al profeta Geremia, la cui missione è stata di unirsi al popolo d’Israele nella sua sofferenza per aiutarlo a rispondere all’amore di Dio che sempre vuole fare alleanza. Pensiamo a San Paolo, che ricordava ai cristiani di Roma che «noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo».

Il vostro carisma di “condurre tutti all’unità per cui Cristo fu inviato” è fondato sul desiderio di Gesù dell’unità tra tutti quelli che credono in Lui.

Come donne che professano i consigli evangelici, voi siete state a lungo pioniere nell’abbracciare la dimensione profetica della vita consacrata, che «costituisce memoria vivente del modo di esistere e di agire di Gesù come Verbo incarnato di fronte al Padre e di fronte ai fratelli».

La vostra dedizione è segno, oltre che del dono che avete fatto di voi stesse al Signore, anche della vostra disponibilità a servire, in Lui, tutti i fratelli e sorelle.

Testimoni
di solidarietà

Mentre riflettete su nuove vie per il cammino della Congregazione, vi incoraggio a continuare a essere testimoni coraggiose della solidarietà evangelica, in un tempo nel quale molti sperimentano frammentazione e disunione.

Questa responsabilità assume maggiore importanza alla luce del cammino sinodale che tutta la Chiesa sta compiendo.

Il vostro Capitolo è un momento propizio per ascoltare più attentamente lo Spirito Santo e ascoltarvi a vicenda, al fine di migliorare i legami che vi uniscono.

A noi piace parlare. Ma è difficile imparare ad ascoltare. Il Signore ci parla anche attraverso gli altri. Ascoltare gli altri... è una virtù che dobbiamo far crescere nelle nostre comunità, nella vita consacrata.

Ascoltare il Signore, ma ascoltare i fratelli e le sorelle è importante.

Benedico di cuore voi e tutte le vostre sorelle sparse nel mondo. Quante sono? [Rispondono: “1900”]

(Alle partecipanti al capitolo generale
delle Suore scolastiche di Nostra Signora)

Mercoledì 15

Il Vangelo
è un sorriso
che tocca
l’anima

Dopo aver incontrato diversi testimoni dell’annuncio del Vangelo, mi propongo di sintetizzare questo ciclo di catechesi sullo zelo apostolico in quattro punti, ispirati all’Esortazione apostolica Evangelii gaudium (Eg), che questo mese compie dieci anni.

Il primo punto riguarda l’atteggiamento da cui dipende la sostanza del gesto evangelizzatore: la gioia.

Il messaggio cristiano è l’annuncio di «una grande gioia». O annunciamo Gesù con gioia, o non lo annunciamo, perché un’altra via non è capace di portare la vera realtà.

Ecco perché un cristiano scontento, triste, insoddisfatto o, peggio ancora, risentito e rancoroso non è credibile.

mi diceva una persona: “sono cristiani con faccia di baccalà!”, cioè, non esprimono niente, e la gioia è essenziale.

È essenziale vigilare sui nostri sentimenti. L’evangelizzazione opera la gratuità, perché viene dalla pienezza, non dalla pressione.

Quando si fa un’evangelizzazione in base a ideologie, non è il Vangelo. [Esso] è un annuncio di gioia.

Le ideologie sono fredde. Il Vangelo ha il calore della gioia.

Le ideologie non sanno sorridere, il Vangelo è un sorriso, ti fa sorridere perché ti tocca l’anima con la Buona Notizia.

La nascita di Gesù, nella storia come nella vita, è il principio della gioia.

L’incontro con Gesù porta gioia e se questo non succede, non è un vero incontro. E questo ci dice che i primi a dover essere evangelizzati sono i discepoli, i primi a dover essere evangelizzati siamo noi.

Immersi nel clima veloce e confuso di oggi, pure noi potremmo trovarci a vivere la fede con un sottile senso di rinuncia, persuasi che per il Vangelo non ci sia più ascolto e che non valga più la pena impegnarsi per annunciarlo.

Potremmo addirittura esser tentati dall’idea di lasciare che “gli altri” vadano per la loro strada.

Invece proprio questo è il momento di ritornare al Vangelo.

Così, come i due di Emmaus, si torna nella vita quotidiana con lo slancio di chi ha trovato un tesoro.

L’umanità abbonda di fratelli e sorelle che aspettano una parola di speranza.

Il Vangelo è atteso anche oggi: l’uomo di oggi è come l’uomo di ogni tempo: ne ha bisogno, anche la civiltà dell’incredulità programmata e della secolarità istituzionalizzata; anzi, soprattutto la società che lascia deserti gli spazi del senso religioso, ha bisogno di Gesù.

Questo è il momento favorevole all’annuncio. E se qualcuno di noi non percepisce questa gioia, si domandi se ha trovato Gesù.

Il Vangelo va sulla strada della gioia, sempre.

Invito ogni cristiano, in qualsiasi luogo e situazione si trovi, a rinnovare oggi il suo incontro con Cristo.

Ognuno di noi oggi si prenda un pochettino di tempo e pensi: “Gesù, Tu sei dentro di me: io voglio incontrarTi tutti i giorni. Tu sei una Persona, non sei un’idea; Tu sei un compagno di cammino, non sei un programma. Tu sei Amore che risolve tanti problemi. Tu sei l’inizio dell’evangelizzazione. Tu, Gesù, sei la fonte della gioia”.

(Udienza generale in piazza San Pietro)