· Città del Vaticano ·

L’omelia del cardinale Parolin legato pontificio a Casale Monferrato

Non dimenticare
i tanti martiri di oggi

 Non dimenticare  i tanti martiri di oggi  QUO-261
14 novembre 2023

«Non dimenticare i tanti martiri dei nostri giorni, i cristiani perseguitati in diverse parti del mondo». Infatti «il martirio, cruento e incruento, è diffuso più di quanto la cronaca dei quotidiani non lo faccia sapere; anzi esso è “il caso serio” della nostra fede». È la consegna che il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, ha affidato — citando il teologo Hans Urs von Balthasar — alla comunità di Casale Monferrato.

Il porporato vi si è recato come legato pontificio per presiedere domenica scorsa, 12 novembre, la messa in cattedrale per la festa liturgica del patrono sant’Evasio e l’inizio del Giubileo per i 550 anni di erezione della diocesi piemontese da parte di Papa Sisto iv il 18 aprile 1474.

Erano presenti al rito il vescovo Gianni Sacchi, ordinario locale, l’arcivescovo Marco Arnolfo, metropolita di Vercelli, altri presuli del territorio, autorità civili e militari, sacerdoti, diaconi, seminaristi, persone consacrate e numerosi fedeli.

All’omelia Parolin ha ricordato come le feste patronali risveglino l’appartenenza storico-ecclesiale e l’identità comunitaria, svolgendo «il ruolo di custodi delle tradizioni, degli usi, dei costumi di una città e di un paese». Ma, ha precisato, la meditazione sulla testimonianza dei santi, che come nel caso di Evasio sono martiri, «non è un’esercitazione di storiografia ma un richiamo alla verifica della fede in Cristo» e «anche al dovere della memoria e della gratitudine». Del resto, ha aggiunto, «noi dobbiamo la nostra fede e le nostre tradizioni al sacrificio di tanti martiri che hanno versato il loro sangue nelle nostre terre».

Da qui il richiamo all’attualità, ai martiri del tempo attuale, anzitutto di cristiani che subiscono persecuzioni, ma anche di quanti «condividono la sofferenza dei malati che offrono il martirio della loro immobilità al Dio della vita e della speranza»; e pure delle consacrate e dei sacerdoti «che sacrificano la vita per assistere coloro che sono senza tetto, senza dignità, senza lavoro, senza futuro».

Ecco allora, ha detto ancora il legato pontificio, che fare memoria di un santo martire non semplicemente «è un rito celebrativo, una formalità liturgica, ma una possibilità concreta» di conversione, di ritorno a una testimonianza di fede autentica. Lo confermano le stesse letture della messa commentate da Parolin. «L’apostolo Pietro — ha spiegato — rivolgendosi ai cristiani, da poco battezzati nella capitale dell’impero romano, li invita a essere coraggiosi testimoni della loro scelta». E ciò anche se «scegliere di diventare cristiani in quella situazione sociale equivaleva a mettersi ai margini della società, a uscire fuori dal mondo comune e diventare oggetto di disprezzo». Ma Gesù, ha osservato il celebrante, insegna che «è meglio essere vittima che oppressore», visto come «si è lasciato mettere in croce senza reagire con violenza, senza insultare quelli che lo insultavano, senza minacciare vendetta a quelli che lo condannavano ingiustamente». Anzi «è morto, giusto per gli ingiusti, per ricondurci a Dio, per darci la forza di vivere bene e di sopportare ogni ingiustizia».

Da qui l’esortazione a una maggiore conoscenza di Dio, all’incontro personale con Gesù, senza i quali, ha chiarito il segretario di Stato «il discorso generico cristiano, anche se bello, non piace e anzi disturba. I persecutori sono stati sempre mossi da questa ignoranza di Dio: ignorano la bellezza della rivelazione, la ritengono pericolosa, per cui la combattono». Ma proprio per tale motivo «ai discepoli di Cristo non deve mancare il coraggio di dire di sì al bene e no al male, sì all’onestà e no all’inganno».

In proposito il cardinale Parolin si è detto consapevole delle «molte sfide che ci chiamano a fare scelte ardite e a dare prova di fedeltà e di coerenza» e ne ha elencate due in particolare. La prima, «è la ricerca di significati delle cose, quali l’amore, la sofferenza, la vita, la morte, la libertà, la giustizia», perché — ha fatto notare — «l’esperienza ci insegna che il conseguimento del solo benessere materiale non appaga»: serve «dare un senso spirituale e morale, nonché un valore aggiunto di etica ad ogni azione che si compie»; occorre «colmare il vuoto di esemplarità cristiana e umana nel mondo della politica, dell’economia, della cultura; infondere fiducia e creare futuro a coloro che hanno paura del rischio».

La seconda, strettamente legata ai martiri è la professione di fede nella risurrezione e nella vita eterna. «La loro testimonianza di coraggio ci invita a rinnovare quella fede che determina il senso della vita terrena — ha concluso — e richiede scelte coerenti e coraggiose».