· Città del Vaticano ·

A colloquio con il cardinale Semeraro in occasione del convegno sulla santità

Non una questione privata ma comunitaria

 Non una questione privata  ma comunitaria   QUO-260
13 novembre 2023

La santità è un dono di Dio alla comunità, non è mai una questione privata. Il santo mette in connessione i fratelli con Cristo e perciò è uno strumento di comunione e di relazione. Ne parla in questa intervista a «L’Osservatore Romano» il cardinale Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero delle cause dei santi, che questo pomeriggio inaugura i lavori del convegno «La dimensione comunitaria della santità» — organizzato dallo stesso Dicastero — in programma fino al 16 novembre all’istituto patristico Augustinianum di Roma.

Perché un convegno sulla dimensione comunitaria alla santità?

È un dato di fatto che, quando si parla di santità della Chiesa, ci si riferisca quasi del tutto al singolo credente, chiamato a percorrere una faticosa ascesi spirituale sino a raggiungere le vette della santità. Santità, invece, è accoglienza di un dono che Dio fa a tutta la Chiesa chiamando tutti e ciascuno all’incontro con Lui. È la vocazione universale alla santità richiamata dal concilio Vaticano ii . «Tutti siamo chiamati alla santità: è la misura stessa della vita cristiana», diceva Benedetto xvi al termine di un ciclo di udienze del mercoledì sulla santità (13 aprile 2011); Francesco, similmente: «Dio ci attrae tenendo conto della complessa trama di relazioni interpersonali che si stabiliscono nella comunità umana: Dio ha voluto entrare in una dinamica popolare, nella dinamica di un popolo» (Gaudete et exsultate, 6). Sono alcuni testi che ci hanno ispirato nel pensare a questo nostro annuale convegno.

C’è ancora il fascino della santità tra i fedeli?

La presenza di santi e sante nella vita della Chiesa ci dice che l’incontro con Dio è davvero percorribile; non è una meta irraggiungibile. È ormai nota l’espressione di Papa Francesco riguardo alla «santità della porta accanto». È soprattutto la pietà popolare a dirci che la santità ha ancora del fascino sui fedeli; una forza che André Vauchez, noto specialista in storia della spiritualità cristiana, individua nella percezione di una particolare forza attrattiva che emana da alcune figure. Pascal ha scritto che «i santi hanno il loro proprio regno, il loro splendore, le loro vittorie e la loro maestà» (Pensieri 290). Penso all’attrattiva esercitata anche da figure non cristiane. Ad esempio, Etty Hillesum, la cui vita si può racchiudere in un verso di Rilke: «Anche se non vogliamo Dio matura». Benedetto xvi la citò nell’udienza successiva all’annuncio della sua rinuncia al ministero petrino, il 13 febbraio 2013: «Nella sua vita dispersa e inquieta, ritrova Dio proprio in mezzo alla grande tragedia del Novecento, la Shoah. Questa giovane fragile e insoddisfatta, trasfigurata dalla fede, si trasforma in una donna piena di amore e di pace interiore, capace di affermare: “Vivo costantemente in intimità con Dio”».

Quale ruolo hanno i laici nel testimoniare al mondo questa dimensione comunitaria?

Per i fedeli laici c’è uno spazio davvero privilegiato ed è la vita di famiglia. Nella celebrazione delle nozze la Chiesa fa invocare l’intercessione di santi coniugi e c’è poi fondamentalmente la grazia del sacramento del matrimonio. In Amoris laetitia il Papa ha ricordato che questo sacramento è un dono per la santificazione degli sposi ed è una vocazione, in quanto è una risposta alla specifica chiamata a vivere l’amore coniugale come segno imperfetto dell’amore tra Cristo e la Chiesa (cfr. n. 72). La Chiesa ha di queste figure luminose: penso ai coniugi Martin, genitori di santa Teresa di Lisieux; a Luigi e Maria Beltrame Quattrocchi, alla famiglia Ulma, beatificata nel settembre scorso.

Sono cambiati i modelli di santità negli ultimi decenni?

Osservando la storia della Chiesa e la teologia della santità è possibile riscontrare dei mutamenti e anche accentuazioni diverse. Accade pure che, in determinati contesti, prevalgano alcuni stereotipi che offuscano il volto autentico della santità; in verità, però, i santi sono sempre uomini e donne che, a partire dalla loro esperienza di Dio, hanno risposto alle sfide dei tempi e delle cultura. In queste settimane il Papa sta presentando alcune di queste figure davvero “attuali”, come la venerabile Madeleine Delbrêl, annunciatrice di una santità “nelle strade”; san Charles de Foucauld, cuore pulsante di carità nella vita nascosta; il beato José Gregorio Hernández Cisneros, medico dei poveri e apostolo di pace... Sono testimonianze che ci dicono che la santità non è negazione del mondo e del corpo, ma è pienezza di vita vissuta nell’amore di Cristo e la comunione nella Chiesa.

Come fare politica e diventare santi?

Credo che sia la domanda, almeno oggi nella nostra Europa, più provocante, se non altro perché indica uno spazio dove si nota una maggiore latitanza cristiana! Ciò contrasta col magistero del Vaticano, che vede negli spazi della edificazione dell’umano un luogo privilegiato per l’impegno dei fedeli laici. Questo non perché li si voglia escludere dall’impegno intra ecclesiale (nei recenti lavori sinodali, anzi, si è tanto parlato di questo), ma perché, come sottolineava il concilio Vaticano ii, delle realtà temporali la loro vita è come intessuta. Paolo vi riprese con insistenza questo magistero in Evangelii nuntiandi: «Più ci saranno laici penetrati di spirito evangelico, responsabili di queste realtà ed esplicitamente impegnati in esse, competenti nel promuoverle e consapevoli di dover sviluppare tutta la loro capacità cristiana spesso tenuta nascosta e soffocata, tanto più queste realtà, senza nulla perdere né sacrificare del loro coefficiente umano, ma manifestando una dimensione trascendente spesso sconosciuta, si troveranno al servizio dell’edificazione del Regno di Dio, e quindi della salvezza in Gesù Cristo» (n. 70). Abbiamo in questo delle figure davvero forti: penso a Tommaso Moro, proclamato da Giovanni Paolo ii patrono dei politici; quanto ai contemporanei, penso al beato Alberto Marvelli, al venerabile Robert Schuman, ai servi di Dio Giorgio La Pira e Alcide De Gasperi.

Vi sono ambienti o situazioni in cui diventare santi è impossibile?

La presenza, soprattutto in epoca moderna, di una grande varietà di santi ci dice pure che la santità è realizzabile nei più diversi stati di vita. È un classico ciò che in un passo famoso della sua Filotea scriveva san Francesco di Sales, citato pure da Giovanni Paolo ii al n. 56 di Christifideles laici: «Pretendere di eliminare la vita devota dalla caserma del soldato, dalla bottega dell’artigiano, dalla corte del principe, dall’intimità degli sposi è un errore, anzi un’eresia...». In un solo spazio la santità è impossibile ed è quello del peccato e del vizio. Questo, però, è anche uno spazio da cui è possibile uscire con la conversione. Modello principe è il crocifisso accanto a Gesù sul Calvario. Di lui Candido di Fulda, un autore medievale, disse che quando salì sulla croce era un ladrone; quando invece pendeva morto dalla stessa croce era un martire.

di Nicola Gori