· Città del Vaticano ·

Rachel, la mamma di Hersh, ostaggio di Hamas, ringrazia Papa Francesco

Sono tutti semplicemente
esseri umani

 Sono tutti semplicemente  esseri umani  QUO-259
11 novembre 2023

C’è un contrasto subito evidente tra la figura minuta di Rachel e l’enorme forza interiore che invece sprigiona. «Non c’è nulla di straordinario, qualsiasi mamma al mondo troverebbe la forza per fare quello che sto facendo». Rachel Golberg Polin è la mamma di Hersh, 23 anni, ferito e rapito da Hamas il 7 ottobre scorso. La incontriamo nella sua casa, al quarto piano di un quartiere residenziale di Gerusalemme, sul cui balcone sventola uno striscione che chiede la liberazione di Hersh.

Rachel, come ha saputo del rapimento di Hersh?

La sera di venerdì 6 avevamo cenato qui in casa tutti insieme, e verso le 10 lui è uscito dicendo che sarebbe stato la notte fuori in campeggio con gli amici, ma non sapevamo che fosse andato al concerto. Poi quando la mattina successiva abbiamo saputo del massacro abbiamo provato a chiamarlo al telefono, ma non ha mai più risposto. Per le prime 36 ore, non avendo notizia, pensavamo fosse stato ucciso. Poi ci è stata segnalata da amici la comparsa sui social di una foto in cui appariva un ragazzo che poteva essere Hersh. Allora con mio marito ci siamo improvvisati detective, abbiamo cercato tutti quelli che erano in quella foto e che erano sopravvissuti, e abbiamo scoperto cosa era successo. C’erano 29 ragazzi nel rifugio in cui aveva cercato riparo mio figlio, quando i miliziani di Hamas hanno fatto irruzione sparando e lanciando granate. Molti sono morti subito. Alcuni rimasti incastrati tra i cadaveri si sono finti morti, si sono salvati, e da loro abbiamo avuto le informazioni.

Lui era uno di questi?

No. Lui era ferito molto gravemente ad un braccio, addossato al muro insieme ad altri due. Questo lo sappiamo perché i terroristi, orgogliosi di quello che stavano facendo, avevano piccole telecamere indosso con cui riprendevano tutto, e i loro filmati sono poi apparsi in rete. Tutti e tre sono stati poi prelevati e portati a Gaza. L’ultima geolocalizzazione del suo telefonino segna: Gaza ore 10,25 del 7 ottobre.

Rachel interrompe il racconto per attaccarsi sulla maglietta un adesivo con scritto 35. «Ogni giorno, essendo molto esposta sui media di tutto il mondo, indosso un adesivo che segna da quanti giorni mi è stato sottratto mio figlio».

Rachel è diventata un pò la figura simbolo dei parenti degli ostaggi, intervenendo in tutte le occasioni pubbliche possibili; nei giorni passati è anche volata a New York per parlare alle Nazioni Unite. «Mi sono trovata in questo ruolo che non avrei mai voluto, semplicemente perché parliamo bene inglese. Noi veniamo da Chicago, Hersh è nato lì».

Ci racconti di lui, della sua vita.

Hersh è cresciuto in una cultura liberal, pacifista. Un ragazzo curioso e molto rispettoso degli altri da lui, ha diversi amici anche tra i palestinesi. Ama molto la musica, per quello si trovava lì. Ma la sua più grande passione sono i viaggi, il mondo, da scoprire nelle sue infinite varietà e culture. Fin da bambino ha sempre letto mappe e il «National Geographic». Già a 16 anni, con l’autostop, ha girato tutto il nord Europa. Ha viaggiato molto, vedi questa foto? Qui è in piazza San Pietro, è rimasto incantato dal Vaticano e dai suoi musei. Aveva in programma di partire per un giro del mondo di un anno, aveva il biglietto già pronto per il 27 dicembre. Ogni volta che programma queste sue avventure mi chiede ‘che ne pensi Mama’. Sia lui, che le due sorelle più piccole, di 20 e 17 anni, mi chiamano Mama’. Ma soprattutto è un ragazzo che ama la pace, che vuole la pace. Quei ragazzi che erano al concerto sono tutti amanti della pace. E così anche la maggior parte degli abitanti dei kibbutz che sono stati attaccati. Vede, davanti alla morte siamo tutti uguali, ma in questa storia c’è il paradosso che sono stati uccisi proprio gli uomini e le donne più attivi nel fronte pacifista. In questi giorni ho incontrato una donna che mi raccontava di sua madre, che è stata uccisa a coltellate da Hamas, e che ogni giorno si recava con il suo van fino al confine di Gaza per raccogliere malati palestinesi e portarli a fare la chemioterapia a Be’er Sheva in Israele. E lo stesso vale dalla parte palestinese, vivere a Gaza non significa necessariamente essere con Hamas. La popolazione civile di Gaza è anch’essa vittima di Hamas. Su questo dobbiamo essere molto chiari.

Rachel, cosa pensa della posizione del governo israeliano sul tema degli ostaggi?

Guardi, io non sono una politica, e neanche un’esperta di strategie militari o geopolitiche. Certamente c’è un piano per riportarli a noi, ma ovviamente non ce lo dicono. Ma se sono tenuti nascosti nei tunnel sotto le scuole e gli ospedali temo che cercarli lì sotto possa implicare cose terribili. Penso che da un lato l’esercito israeliano cercherà quanto possibile di limitare le vittime civili, ma dall’altro lato deve impedire che un 7 ottobre possa mai ripetersi.

Ma per evitarlo è sufficiente solo la soluzione militare?

No. Non basta. Perché Hamas non è solo un gruppo terrorista, è un’idea, un’idea sbagliata certo, ma le idee non si eliminano con le armi. Occorre un grande piano di riconciliazione. Come avvenne in Sud Africa. Occorre condividere i rispettivi dolori. Loro devono rispettare e condividere il nostro dolore, e noi il loro. Ci vorrà del tempo, ma occorre provarci, altrimenti l’odio continuerà ad essere la soluzione più semplice, e sarebbe la fine per tutti in questa terra. Ci sono alcune storie accadute il 7 ottobre che mi confortano nell’idea che esistano comunque e ovunque uomini di buona volontà. Le racconto: un operaio arabo di un kibbutz si è trovato in un rifugio con dei bambini ebrei. Quando gli uomini di Hamas hanno fatto irruzione lui ha fatto segno ai bambini di non parlare in ebraico, e rivolto ai terroristi ha detto in arabo “Non sparate: siamo tutti arabi e musulmani”. Ma quando quelli di Hamas hanno capito che mentiva lo hanno immediatamente giustiziato. Capisce? Se lui avesse soltanto detto ‘Sono musulmano’ e non ‘siamo tutti musulmani’ si sarebbe salvato. Ma per quell’uomo arabo la sorte dei bambini ebrei era più importante della sua stessa vita.

Da 35 giorni Rachel è impegnata a sensibilizzare il mondo intero sulla sorte di Hersh e di tutti gli ostaggi. Ha dei riscontri positivi ai suoi appelli?

Certamente. Ma vorrei sottolineare una cosa che non è abbastanza chiara al mondo: la metà degli ostaggi non è israeliana né ebrea, questa è una catastrofe per l’intero genere umano. Ci sono persone provenienti da 30 paesi, ebrei, musulmani, cristiani, induisti e buddisti, c’è tutta l’umanità prigioniera in quei cunicoli.

Rachel, l’Osservatore Romano è il giornale del Papa. Lei sa che Papa Francesco ha chiesto molto fermamente la liberazione di tutti gli ostaggi e senza condizioni. Sente di voler dire qualcosa a Papa Francesco?

Sì. Santo Padre, grazie per cercare di aiutarci a liberare i 240 esseri umani che sono sotto Gaza. Sono tutti di religioni diverse: musulmani, ebrei, cristiani, induisti e buddisti. E sono tutti esseri umani, sono tutti figli di Dio. E apprezziamo molto che cerchiate di riportarli tutti a casa alle loro famiglie. Con tanto amore e rispetto per Lei.

da Gerusalemme
Roberto Cetera