· Città del Vaticano ·

Il cardinale Parolin per i 40 anni del «Codex Iuris Canonici»

Strumento di guida
per la Chiesa del futuro

 Strumento di guida per la Chiesa del futuro  QUO-256
08 novembre 2023

Un testo che a quarant’anni dalla sua entrata in vigore rappresenta «nella Chiesa uno strumento sostanzialmente idoneo per il momento attuale e anche per il prossimo futuro», rispecchiando la sua essenza e gli insegnamenti del concilio Vaticano ii. Ne è fermamente convinto il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, che ha delineato in questi termini l’essenza del Codex Iuris Canonici nel convegno svoltosi a Bologna ieri, martedì 7 novembre, dedicato al quarantesimo anniversario del corpus normativo. All’evento, organizzato dal Dipartimento di Scienze giuridiche dell’Università felsinea, hanno preso parte, tra gli altri, anche i cardinali Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Conferenza episcopale italiana, che ha tenuto il saluto introduttivo, e Dominique Mamberti, prefetto del Supremo tribunale della Segnatura Apostolica, intervenuto su “Il Codex Iuris Canonici del 1983 e la Chiesa universale”.

Il sistema tracciato nel vigente codice, ha sottolineato Parolin nella sua relazione dal titolo “Il paradigma della codificazione nella realtà ecclesiale”, «si è dimostrato utile anche nel contesto internazionale dei rapporti con gli Stati, sebbene sia sempre necessario chiarire la natura peculiare di un ordinamento giuridico universale i cui interessi protetti sono principalmente di carattere spirituale». Per capire meglio cosa rappresenta per la Chiesa lo strumento della codificazione, il porporato ha preso in considerazione, con uno sguardo retrospettivo, «la concezione ecclesiologica che portò alla prima codificazione canonica» confrontandola con gli scenari della Chiesa dopo il Vaticano ii. Alla codificazione del diritto canonico nel 1917, ha spiegato, «si arrivò per raggiungere la necessaria certezza delle norme, ma anche per ragioni di unità della stessa Chiesa»; si trattava, cioè, di trovare «un linguaggio giuridico che, nella misura del possibile facilitasse il dialogo con gli ordinamenti degli Stati».

L’adozione di tale sistema, ha fatto notare, portò allora «un importante cambiamento nel modo di fare diritto nella Chiesa, spostando il baricentro della formazione dell’esperienza giuridica dalla giurisprudenza delle Congregazioni romane all’attività legislativa prodotta dall’autorità». Così, il Codice di diritto canonico promulgato da Benedetto xv con la costituzione apostolica Providentissima Mater Ecclesia, ha evidenziato il cardinale, appariva «fortemente centralizzato», specchio di come la Chiesa si presentava all’epoca, con «l’equilibrio tra l’autorità centrale del Papa e quella dei vescovi nelle loro diocesi». Sebbene tale codice normativo, ha osservato Parolin, diede «chiarezza e certezza all’ordinamento canonico», il suo vigore e la sua utilità pratica svanirono in pochi decenni per la mancanza, «nel compilare il vecchio ordine giuridico, di un maggiore confronto con la realtà sociale della Chiesa, già allora in profonda trasformazione, trainata anche dai conflitti bellici»; e per la «smisurata minuziosità» e il «rigorismo» di molte norme, che provocarono «sconfinate richieste alla Santa Sede di dispense e di facoltà speciali per i vescovi».

L’esigenza di dare al Codice di diritto canonico un taglio diverso «con migliore fondamento nella realtà della Chiesa», ha ricordato il porporato, fu espressa da san Giovanni xxiii insieme all’annuncio del concilio ecumenico Vaticano ii . In modo particolare, ha rimarcato Parolin, la costituzione dogmatica Lumen gentium e il decreto Christus Dominus, rappresentano «la guida e il fondamento» per l’attuazione di un decentramento, utilizzando «la dottrina conciliare sulla struttura sacramentale della Chiesa e, in particolare, le esigenze derivate dalla sacramentalità dell’episcopato». Ciò è stato realizzato con il canone 381 che, secondo il cardinale, ha trasformato «in potestà ordinaria dei vescovi diocesani tutto ciò che non fosse esplicitamente riservato alla Santa Sede o ad altra autorità, generalmente le Conferenze episcopali». In tal modo, ha ribadito Parolin, si è aumentata «la capacità dell’ordinamento canonico di adattarsi alle diverse situazioni culturali in cui la Chiesa deve agire in tutto il mondo» avendo come faro «il fondamento teologico e dottrinale dei suoi canoni».