Un mese di dolore

Un mese di guerra, un mese di dolore. Il conflitto tra Israele e Hamas ha sconvolto il mondo, riportando alle cronache i problemi di una terra che da almeno 75 anni non ha pace. Proprio quella che per molti è Terra Santa. L’odio e la sete di vendetta la percorrono, si vive di minacce e di timori. E sembra annullato ogni seme di possibile convivenza. I numeri parlano più delle parole: 1.400 israeliani uccisi nel sanguinario attacco del 7 ottobre, perpetrato nel giorno della festa ebraica del Sukkot da Hamas e altre sigle del jihadismo, oltre 240 ostaggi portati nei tunnel di Gaza, 35 soldati caduti e circa 300.000 sfollati interni evacuati dalle città vicino al confine con la Striscia. La popolazione palestinese è sotto assedio: 10.000 morti, dei quali — secondo le autorità locali — oltre 4.000 minori, mentre sono più di un milione le persone costrette a scappare dalle proprie abitazioni per rifugiarsi nella zona meridionale, al di sotto del fiume Wadi Gaza. Bombe sull’ospedale al-Ahli, bombe sulla chiesa greco-ortodossa di San Porfirio, bombe vicino alla chiesa cattolica della Sacra Famiglia. «Fino a quando durerà questo inferno?», si chiede padre Ibrahim Faltas, vicario della Custodia di Terra Santa.
Ieri sera, nella ricorrenza del primo mese di guerra, al Muro del Pianto si è tenuta una cerimonia durante la quale sono state accese 1.400 candele in memoria delle vittime, stamattina a Gerusalemme e nel resto del Paese è stato osservato un minuto di silenzio. La diplomazia è al lavoro, ma al momento senza successo. Da giorni Papa Francesco chiede un cessate-il-fuoco. È rimasto il solo, assieme al segretario generale dell’Onu. (roberto paglialonga)