La buona Notizia

Ormai sembra un fatto consolidato: la parola chiave che descrive lo stato d’animo delle nuove generazioni, e forse in generale gli ultimi tempi, è “ansia”. Questo termine si è diffuso velocemente nel gergo colloquiale di giovani e meno giovani, è quasi un nuovo paradigma, declinato di volta in volta a seconda delle situazioni, passando dalla classica “ansia da prestazione” alla recente “eco-ansia”, quasi permeando l’atmosfera che respiriamo.
A uno sguardo superficiale anche il Vangelo sembra abitato da una certa ansia, soprattutto quando annuncia un giudizio di cui non si sa “né il giorno né l’ora”. L’ignoto fa paura, e oggi di riflesso associamo la paura all’ansia, senza distinguerle per quello che sono: due momenti distinti, come sono distinti la domanda e la risposta, la sfida e la resa.
La domanda di Gesù incute timore, ma la sua risposta è il contrario dell’ansia, il contrario di ogni chiusura. Il suo giogo è davvero leggero, perché alla paura dell’ignoto lui risponde con la promessa, l’annuncio di una speranza.
Racconta di una notte in cui il buio avvolgeva dieci vergini, a cui era però arrivata la domanda, l’invito ad andare «incontro allo sposo», è per questo che già «uscirono», fuori di casa e da ogni sicurezza.
Nessun tribunale le ha convocate a processo, è una festa che le invita, è la gioia di un matrimonio. La loro è la veglia di un’alba, di un matrimonio, cioè di un’unione: niente di meno che la speranza di un amore. È la promessa della gioia.
In questa notte di prova, di “attesa” e di “attenzione”, stranamente, non bisogna “fare” niente. Nessun’ansia da prestazione per nessun esame.
L’ansia infatti è grigia, asfissiante come una nebbia, mentre questa notte resta oscura, ignota e, proprio per questo, pronta ad essere illuminata, squarciata dalle luci delle lampade: è ancora aperta. La porta verrà chiusa dopo.
Quel “dopo” è insieme rimandato e atteso, genera timore e tremore, ma anche preparazione alla gioia. Una preparazione che dipende da qualcosa che non si può scambiare, acquistare, misurare. L’olio della parabola non è infatti “una certa dose” di altruismo e devozione comparabili e valutabili: ciascuno ha il suo, se lo prende da un altro non funziona, non basterebbe a nessuno. Alla fine lo sposo dice alle vergini che non si sono preparate, «in verità io vi dico: non vi conosco», non come un verdetto autoritativo, una condanna spietata, ma come rivelazione profonda, quanto certamente drammatica, della verità più intima del loro incontro: in verità non si conoscono perché non lo hanno davvero voluto aspettare.
Non era un esame, ma un rapporto personale. Il tuo cuore non puoi chiederlo in prestito.
di Riccardo Sabato