· Città del Vaticano ·

Il 5 novembre di ottant’anni fa

Quando in Vaticano
caddero le bombe

*OR* n.7/11 - lo studio di Mons. Domenico Tardini dopo il bombardamento che colpi la Città del ...
04 novembre 2023

Il 5 novembre 1943, poco dopo le otto di sera, caddero quattro bombe sul territorio vaticano, lanciate da un aereo che aveva violato poi lo spazio aereo pontificio. Le bombe erano cadute sui Giardini vaticani, sul Governatorato, sul laboratorio dei mosaici e sul palazzo dell’arciprete. Notevoli i danni, ma nessuna vittima; il sostituto alla Segreteria di Stato, monsignor Tardini, disse che, se in quel momento si fosse trovato nel suo studio e non in corridoio, sarebbe stato lui l’unica vittima del raid.

Com’è noto, fin dall’inizio dell’entrata in guerra dell’Italia, Pio xii aveva sempre rimarcato il carattere sacro di Roma. Gli inglesi tuttavia (ce ne informa Umberto Gentiloni Silveri) avevano chiarito di volersi riservare «piena libertà di azione nei riguardi di Roma», pur assicurando che sarebbero stati preventivamente individuati con esattezza gli obiettivi militari da colpire. Ciò non aveva fermato i ripetuti appelli papali alla conservazione della città, della sua popolazione e del suo enorme patrimonio storico-artistico. Appelli che, come sappiamo, si sarebbero rivelati vani.

Delle bombe piovute sul Vaticano furono accusati i tedeschi e i fascisti. Si seppe di una conversazione telefonica del sottosegretario agli Interni Francesco Maria Barracu, captata dalle linee di Salò, che probabilmente gli autori del bombardamento erano proprio aviatori repubblichini. Ma, bizzarro a dirsi, il bombardamento era avvenuto nell’anniversario della “Congiura delle Polveri”, ordito il 5 novembre 1605 da nobili cattolici inglesi per uccidere Re Giacomo i. Cadeva quindi in una giornata ”antipapale” (il c.d. “Guy Fawkes Day”); il che attirava l’attenzione anche su un possibile coinvolgimento britannico.

La Santa Sede considerava comunque molto grave l’episodio. Oltre ai notevoli danni, quel sorvolo aveva violato la sovranità territoriale vaticana. Fu per tale ragione che la Sede Apostolica inviò una nota alle rappresentanze diplomatiche tedesca, britannica e americana, chiedendo opportune indagini per individuare i colpevoli, e di dare «ordini severissimi a tutti gli aviatori da loro dipendenti affinché, conformemente alle regole del Diritto Internazionale e al Trattato Lateranense (art. 7), cessino dal sorvolare il territorio della Città del Vaticano».

Il ministro britannico in Vaticano Osborne, il 7 novembre, comunicò di aver trasmesso a Londra la richiesta vaticana, assicurando che si sarebbero svolte le indagini sul caso; ma al contempo richiamò una lettera inviata in giugno dal ministro degli esteri Eden a Pio xii, in cui si diceva che, in caso di operazioni su Roma, ai piloti alleati era stato ordinato che nessuna bomba cadesse sul Vaticano. Il governo inglese non escludeva trattarsi di atto compiuto dall’Asse con il proposito di accusarne gli alleati. In effetti, ricordava Osborne, Londra aveva già avvertito il Vaticano che aerei e ordigni britannici erano stati catturati dall’Asse e riservati proprio a tale scopo.

Anche da Washington giunsero rassicurazioni e precisazioni. Gli americani avrebbero condotto le loro indagini, del resto confermando che i possedimenti papali in Roma e in Italia sarebbero stati rigorosamente rispettati. Anche Washington menzionò la possibilità che aerei dell’Asse avessero colpito il Vaticano per poi far ricadere la responsabilità sugli alleati.

Il 9 novembre giunsero i risultati dell’inchiesta americana. «Generale Eisenhower esclude senz’altro che vi fossero aeroplani alleati sopra Roma sera 5 novembre. Riferisce che 6 aerei leggeri da bombardamento lanciarono bombe su Castelnuovo di Porto a 28 km. nord Roma fra le 7.20 e 8.25 pomeridiane». Un settimo apparecchio aveva colpito Arce, verso Frosinone. Inoltre, qualche giorno prima, Radio Berlino aveva «anticipato bombardamento di Roma da parte degli Alleati», mentre quella sera stessa un aereo tedesco aveva colpito Napoli.

Sull’accaduto s’ingaggiò una vera e propria guerra di propaganda. L’8 e il 9 novembre giornali italiani, usando informazioni tedesche, scrivevano che Stalin si era congratulato con Churchill per aver colpito il Vaticano, e che l’arcivescovo di New York Spellman si era rammaricato con Roosevelt. Notizie poi entrambe smentite. Il 10 novembre la Germania rispose alla nota vaticana. Il governo del Reich asserì di aver sempre rispettato «fin dall’occupazione di Roma» la sovranità e l’integrità territoriale della Sede Apostolica, e che lo avrebbe fatto anche in futuro. Del resto, già il 6 novembre, l’ambasciatore tedesco non aveva espresso la sua indignazione per l’accaduto? Per Berlino erano gli alleati che stavano provando a far ricadere la colpa sulla Germania.

Il 6 novembre, di buon mattino, l’ambasciatore von Weizsäcker aveva in effetti telefonato a monsignor Montini, sostituto della Segreteria di Stato, «per dire che siccome le radio degli Alleati già annunciano il bombardamento della Città del Vaticano come compiuto dai Germanici, egli è autorizzato a dichiarare nella forma più esplicita dal Comando militare tedesco che né bombe né bombardieri germanici sono colpevoli del triste fatto». Questa telefonata, tuttavia, non era stata menzionata nella ricordata nota diplomatica vaticana ai belligeranti; e ciò aveva provocato il disappunto di von Weizsäcker. Evidentemente, in Vaticano non si era affatto sicuri dell’estraneità dei tedeschi all’episodio, e si voleva inoltre tenere la comunicazione fatta ai belligeranti su un piano di stretta neutralità.

Il 13 novembre lo chargé d’affaires americano Tittmann aggiunse alcuni dettagli. A colpire il Vaticano non era stato un aereo alleato. Gli unici aerei operativi intorno a Roma nella notte di venerdì 5 novembre (due “Mosquito Intruder” e sette bombardieri leggeri “Boston”) avevano operato ben lontano da Roma e dallo spazio aereo vaticano. Ma «alle 20.07 uno di questi velivoli ha visto scoppiare delle bombe a Roma. A quell’ora la visibilità su Roma era buona. Non c’erano nuvole».

La vicenda del bombardamento sul Vaticano ha come appendice uno strano episodio. Proprio il giorno del bombardamento, di mattina, il ministro degli esteri nazista von Ribbentrop aveva chiesto alla polizia fascista «di riattivare il controllo telefonico su ambienti e nominativi vaticani»; insomma di mettere sotto controllo le linee telefoniche vaticane. Poco dopo le otto di sera ci fu il bombardamento, e pochi minuti dopo Hitler fece chiamare l’ambasciata tedesca «per sapere che cosa si pensava negli ambienti vaticani circa l’incursione».

Com’è immaginabile, le informazioni mutavano di continuo. Il 13 novembre 1943 monsignor Walter Carroll, che stava organizzando ad Algeri un servizio informazioni per militari e civili, trasmise notizie dategli personalmente dal generale Eisenhower. «Sono stato informato molto confidenzialmente che si ha l’impressione che il bombardamento del Vaticano sia probabilmente da attribuire a un pilota americano che aveva smarrito la rotta; infatti, un altro pilota americano riferiva di aver visto un aereo alleato liberarsi del suo carico sul Vaticano. Il Generale espresse il suo sincero rincrescimento e diede l’assicurazione che sarebbero state prese severe precauzioni per evitare il ripetersi di simili incidenti». Nel giugno 1944, nella Roma liberata, parlando con monsignor Tardini, Carroll avrebbe aggiunto che «quell’aviatore americano avrebbe agito o per crearsi una fama o per malvagità».

Data la babele di notizie e di rimpalli di colpe, il 16 novembre la Segreteria di Stato avviò un’inchiesta approfondita sui fatti. L’ingegner Galeazzi, direttore dei servizi tecnici vaticani, consegnò a Tardini il referto di due specialisti in esplosivi, poi allegato a un dossier sul tema. In sintesi, non si sapeva se le bombe cadute sul Vaticano fossero di produzione inglese, tedesca o italiana. Ma neppure si poteva escludere che una delle parti si fosse impossessata di materiale bellico del nemico per attribuire a questi la colpa del bombardamento. Uno degli indiziati era comunque il “Ras di Cremona” Roberto Farinacci, accesissimo filotedesco. Erano girate voci che lo volevano ai comandi di un aereo partito da un campo volo di Viterbo proprio quel 5 novembre, allo scopo di bombardare il Vaticano; voci che Farinacci non aveva smentito. I tecnici vaticani accertarono altresì che «le bombe erano del peso di 100-150 kg., ad alto esplosivo, a scoppio immediato». Essendo dunque impossibile accertare i fatti, a tutti i belligeranti la Segreteria di Stato chiese di avviare inchieste e di evitare per l’avvenire il sorvolo del territorio vaticano. Di questo grave episodio tutti avevano negato ogni responsabilità; tutti avevano attribuito le colpe alla parte avversa; tutti avevano assicurato che nessun’altra bomba sarebbe piovuta sul Vaticano.

Riferì Tittmann a Washington, un mese dopo i fatti, che «il Vaticano guarda ora all’idea di Roma città aperta come a questione puramente militare, e non è in alcun modo interessato ai vari progetti di natura politica che sono stati avanzati di recente nella stampa romana che è controllata dai tedeschi». Il Vaticano puntava a un ritiro dei tedeschi da Roma prima dell’arrivo degli alleati, a un controllo di polizia effettuato da questi ultimi e a provviste alimentari alleate per la popolazione romana. «In molte occasioni ho chiarito al Vaticano che è nostro desiderio, se possibile, di evitare la distruzione di Roma». I tedeschi avevano dato identica assicurazione.

L’inciso «se possibile» apriva la prospettiva a nuove eventuali sciagure su Roma. E gli ultimi mesi di occupazione tedesca della capitale lo avrebbero tragicamente dimostrato.

di Matteo Luigi Napolitano