· Città del Vaticano ·

Bailamme

Tuffo nella memoria

 Tuffo nella memoria  QUO-252
03 novembre 2023

Ancora prima di riconoscerla dal viso, sono le sue mani a spalancare la porta dei ricordi. Stringe una matita e spinge forte sul foglio, proprio come quando correggeva le verifiche sotto i nostri occhi di studenti in ansia di fronte alla sua severità.

Sono passati trent’anni da quando fu la mia insegnante d’inglese, la incontro dopo tanto tempo in piscina mentre sono in attesa che mia figlia finisca il suo corso. Lei aspetta i nipoti, è seduta a un tavolino ed è tutta concentrata nella settimana enigmistica. Sì certo, il volto è il segno di riconoscimento per eccellenza. Ma ancora di più il piglio deciso che attraversa sguardo e gesti. M’incanto a osservarla, sono titubante nel salutarla. Non riuscirei a dirle grazie come vorrei. Allora guardo.

Nella dedizione a un passatempo ritrovo tutto il rigore di sostanza che aveva in classe, l’occhio scruta serio il cruciverba come scrutava ogni studente durante le interrogazioni. Scrive lettere in orizzontale e verticale, veloce e netta come i giudizi dietro il foglio protocollo dei compiti in classe. Parole ruvide, voti mai troppo generosi. Le devo molto, tantissimo. Chi sono, la scelta cocciuta degli studi umanistici, l’amore per la traduzione e per la letteratura angloamericana sono fioriti da lei.

Strano, perché è una piccola storia scolastica che non ha niente a che vedere col carisma affascinante del professor Keating de L’attimo fuggente. La passione indomita per uno sguardo umano catapultato in un mondo di orrori e meraviglie — l’urlo di Frankestein, le carezze di Dickens, l’allegria di Chaucer, le tempeste di Conrad — scaturiva durante le sue lezioni da una tempra educativa tutt’altro che zuccherosa. Eppure c’era dentro una colla fortissima che ha attraversato tre decenni, una profondità d’anima che tollerava la scabrosità della superficie. L’educazione è un affetto radicale al manifestarsi delle domande irriducibili, passa anche se l’empatia del docente non ha la forma dolce dei sorrisi, delle coccole verbali. Ci si sente tanto amati anche da una professoressa ruvida, se nell’ora di lezione c’è in ballo un discorso che riguarda il destino di chi insegna e di chi apprende.

Ed è meglio di uno specchio, avere il privilegio di ritrovare certe presenze. Trent’anni dopo, una manciata di minuti davanti ai vetri di una piscina. È in certi ritagli di tempo apparentemente vuoto che ci si ritrova a ringraziare di occasioni casuali in cui si fa memoria di una certezza indiscutibile, per dire “io” ci vuole una cordata umana di volti a cui si guarda o si è guardato. 

di Annalisa Teggi