· Città del Vaticano ·

Francesco presiede l’Eucaristia in suffragio di Benedetto XVI e dei cardinali e vescovi morti nel corso dell’anno

La piccolezza è la via
che conduce al Cielo

 La piccolezza è la via che conduce al Cielo  QUO-252
03 novembre 2023

«Umile lavoratore nella vigna del Signore»: Papa Francesco ha ripetuto le parole pronunciate da Benedetto xvi nel primo saluto dalla Loggia della Benedizione dopo l’elezione al pontificato, avvenuta martedì 19 aprile 2005. Così ha ricordato il suo predecessore durante la messa — presieduta venerdì mattina, 3 novembre, all’altare della Cattedra della basilica Vaticana — in suffragio del defunto Pontefice emerito, dei cardinali e dei vescovi deceduti nel corso dell’ultimo anno. In particolare, tra ottobre 2022 e ottobre 2023, sono morti 6 porporati e 147 tra arcivescovi e vescovi. Alla celebrazione erano presenti 32 cardinali, tra i quali il segretario di Stato Parolin, e il decano del Collegio cardinalizio Re, che al momento della consacrazione eucaristica si è accostato all’altare insieme con il cardinale vice-decano Sandri. Con il corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede era, tra gli altri, l’arcivescovo Peña Parra, sostituto della Segreteria di Stato. Alla preghiera dei fedeli sono state elevate intenzioni, anzitutto, per Benedetto xvi, che «nella sua lunga vita» ha servito il Signore «con sapienza e amore», e per i cardinali e i vescovi. Si è quindi pregato perché si ravvivi la fede nella Chiesa, per la pace, affinché «coloro che sono segnati dall’odio, dalla violenza e dalla guerra» siano condotti alla riconciliazione, e per quanti hanno scoperto l’amore infinito di Dio solo nel passaggio alla vita senza fine. Il rito si è concluso con il canto dell’antifona mariana «Sub tuum praesidium» intonata dai cantori del coro della Cappella Sistina. Ecco il testo dell’omelia pronunciata da Papa Francesco.

Gesù sta per entrare a Nain, i discepoli e «una grande folla» camminano con Lui (cfr. Lc 7, 11). Mentre è vicino alla porta della città, un altro corteo è in marcia, ma in direzione opposta: sta uscendo per seppellire il figlio unico di una madre rimasta vedova. E, dice il Vangelo: «Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione (Lc 7, 13). Gesù vede e si lascia prendere da compassione. Benedetto xvi , che oggi ricordiamo insieme ai Cardinali e ai Vescovi defunti nel corso dell’anno, nella sua prima Enciclica scrisse che il programma di Gesù è «un cuore che vede» (Deus caritas est, 31). Quante volte ci ha ricordato che la fede non è anzitutto un’idea da capire o una morale da assumere, ma una Persona da incontrare, Gesù Cristo: il suo cuore batte forte per noi, il suo sguardo s’impietosisce davanti alle nostre sofferenze.

Il Signore si ferma di fronte al dolore di quella morte. È interessante che proprio in questa occasione, per la prima volta, il Vangelo di Luca attribuisce a Gesù il titolo di “Signore”: «il Signore fu preso da grande compassione». È chiamato Signore – cioè Dio, che ha la signoria su tutto – proprio nell’atto della sua compassione per una madre vedova che ha perso, con l’unico figlio, il motivo per vivere. Ecco il nostro Dio, la cui divinità risplende a contatto con le nostre miserie, perché il suo cuore è compassionevole. La risurrezione di quel figlio, il dono della vita che vince la morte, scaturisce proprio da qui: dalla compassione del Signore, che si commuove di fronte al nostro male estremo, la morte. Quanto è importante comunicare questo sguardo di compassione a chi vive il dolore per la morte dei propri cari!

La compassione di Gesù ha una caratteristica: è concreta. Egli, dice il Vangelo, si “avvicina e tocca la bara” (cfr. Lc 7, 14). Toccare la bara di un morto era inutile; a quel tempo, inoltre, era ritenuto un gesto impuro, che contaminava chi lo compiva. Ma Gesù non bada a questo, la sua compassione azzera le distanze e lo porta a farsi vicino. Questo è lo stile di Dio, fatto di vicinanza, compassione e tenerezza. E di poche parole. Cristo non fa prediche sulla morte, ma dice a quella madre una cosa sola: «Non piangere!» (Lc 7, 13). Perché? È forse sbagliato piangere? No. Gesù stesso piange nei Vangeli. Ma a quella mamma dice: Non piangere, perché con il Signore le lacrime non durano per sempre, hanno fine. Egli è il Dio che, come profetizza la Scrittura, «eliminerà la morte» e «asciugherà le lacrime su ogni volto» (Is 25, 8; cfr. Ap 21, 4). Ha fatto sue le nostre lacrime per toglierle a noi.

Ecco la compassione del Signore, che arriva a rianimare quel giovane figlio. Gesù lo fa, diversamente da altri miracoli, senza nemmeno chiedere alla madre di avere fede. Perché un prodigio così straordinario e tanto raro? Perché qui sono coinvolti l’orfano e la vedova, che la Bibbia indica, insieme al forestiero, come i più soli e abbandonati, che non possono riporre fiducia in nessun altro che non sia Dio. La vedova, l’orfano, il forestiero. Sono perciò le persone più intime e care al Signore. Non si può essere intimi e cari a Dio ignorando loro, che godono della sua protezione e della sua predilezione, e che ci accoglieranno in cielo. La vedova, l’orfano e il forestiero.

Guardando a loro, ricaviamo un insegnamento importante, che condenso nella seconda parola di oggi: umiltà. L’orfano e la vedova sono infatti gli umili per eccellenza, coloro che, riponendo ogni speranza nel Signore e non in sé stessi, hanno spostato il centro della vita in Dio: non fanno conto sulle proprie forze, ma su di Lui, che si prende cura di loro. Costoro, che rifiutano ogni presunzione di autosufficienza, si riconoscono bisognosi di Dio e si fidano di Lui, loro sono gli umili. E sono questi poveri in spirito a rivelarci la piccolezza tanto gradita al Signore, la via che conduce al Cielo. Dio cerca persone umili, che sperano in Lui, non in sé stessi e nei propri piani. Fratelli e sorelle, questa è l’umiltà cristiana: non è una virtù fra le altre, ma la disposizione di fondo della vita: credersi bisognosi di Dio e fargli spazio, riponendo ogni fiducia in Lui. Questa è l’umiltà cristiana.

Dio ama l’umiltà perché gli permette di interagire con noi. Di più, Dio ama l’umiltà perché è Lui stesso umile. Scende verso di noi, si abbassa; non s’impone, lascia spazio. Dio non solo è umile, è umiltà. “Tu sei umiltà, Signore”, così pregava san Francesco di Assisi (cfr. Lodi, 4: ff 261). Pensiamo al Padre, il cui nome è tutto un riferimento al Figlio anziché a sé stesso; e al Figlio, il cui nome è tutto relativo al Padre. Dio ama coloro che si decentrano, che non sono il centro di tutto, ama gli umili appunto: costoro gli assomigliano più di tutti. Ecco perché, come dice Gesù, «chi si umilia sarà esaltato» (Lc 14, 11). E mi piace ricordare quelle parole iniziali di Papa Benedetto: «umile lavoratore nella vigna del Signore». Sì, il cristiano, soprattutto il Papa, i Cardinali, i Vescovi, sono chiamati a essere umili lavoratori: a servire, non a essere serviti; a pensare, prima che ai propri frutti, a quelli della vigna del Signore. E quanto è bello rinunciare a sé stessi per la Chiesa di Gesù!

Fratelli, sorelle, chiediamo a Dio uno sguardo compassionevole e un cuore umile. Non stanchiamoci di chiederlo, perché è sulla via della compassione e dell’umiltà che il Signore ci dona la sua vita, che vince la morte. E preghiamo per i nostri cari fratelli defunti. Il loro cuore è stato pastorale, compassionevole; e umile, perché il senso della loro vita è stato il Signore. In Lui trovino l’eterna pace. Gioiscano con Maria, che il Signore ha innalzato guardandone l’umiltà (cfr. Lc 1, 48).