
Il 19 novembre si celebra la settima Giornata Mondiale dei Poveri. Il tema, scelto da Papa Francesco, è tratto da un testo dell’Antico Testamento, il Libro di Tobia, là dove invita a «Non distogliere lo sguardo dal povero» (4,7). Questo ci ha portato a mettere al centro dell’«Osservatore di Strada» di novembre il tema del volontariato, pensando a quella schiera di donne e uomini, giovani e anziani, che si dedicano al servizio dei poveri, facendosi fratelli degli esclusi e degli emarginati.
Quando si parla di volontariato, non si può prescindere dal parlare e dal ricordare monsignor Luigi Di Liegro (Gaeta, 16 ottobre 1928 — Milano, 12 ottobre 1997). Per chi non lo conoscesse, Luigi Di Liegro è stato il fondatore della Caritas diocesana di Roma e il suo primo direttore. Tutte le opere di accoglienza, di ascolto, di aiuto per i poveri che vediamo sul territorio di Roma — ma non solo a Roma — sono state volute e create da quel “prete degli ultimi”, come veniva chiamato don Luigi, per far fronte a quella che all’epoca — siamo verso la fine degli anni ‘70 — era la povertà sociale nella città di Roma.
Non voglio dilungarmi nel raccontare la storia di don Luigi Di Liegro, che molti degli addetti ai lavori conoscono bene e che già in tante occasioni abbiamo avuto modo di ricordare anche su queste pagine. Ma, visto che stiamo parlando di volontariato, di carità, di ascolto e di aiuto verso chi è ai margini delle nostre città, voglio farvi partecipi di alcune frasi di Don Luigi Di Liegro che, lette ora, nel 2023, per i fatti che accadono nel nostro tempo, sembra che siano state scritte ieri. Invece, sono state scritte quasi 26 anni fa. Sono frasi che restano attualissime perché il modo di vedere la società e i suoi problemi da parte di Don Luigi era molto avanti e quello che lui pensava di alcune situazioni è ancora estremamente valido oggi.
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Riguardo al volontariato don Luigi Di Liegro diceva:
«Il volontario cristiano trova continuamente le motivazioni del suo servizio nella fede. Il cristiano non solo rispetta l’altro, ma lo ama. Il fratello in difficoltà non è considerato come il destinatario dell’opera di misericordia, come semplice fruitore di un servizio, bensì come attore protagonista al quale si ridà pari dignità».
«Il vero compito del volontariato è nel contatto con gli emarginati, perché i poveri hanno bisogno più di persone che di cose».
«Sappiamo che oggi è sempre più difficile un volontariato responsabile, impegnato nella società e nel mondo degli esclusi perché si riscoprano i mezzi e le ragioni del vivere insieme. Vediamo tanti uomini di solidarietà entrare in comunione con quanti attraversano le frontiere del nostro paese per guadagnarsi da vivere. Sono profeti e protagonisti di un’umanità nuova fondata sulla comunione e sull’abolizione totale e definitiva di ogni frontiera nell’orizzonte del Regno. È una lunga marcia per abbattere le barriere, per preparare e attendere il giorno in cui “Dio sarà tutto in tutti”».
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Sulla carità e sulla solidarietà il suo pensiero era:
«La carità non è un vago sentimento di compassione, né si fonda su un sentimento di altruismo ingenuo, ma nasce dall’analisi della complessità sociale, dai guasti provocati dal sistema sociale disordinato, dal degrado morale e culturale provocato dalla legge del più forte, dalla carenza di etica collettiva».
«La carità è come il respiro: non si può delegare agli altri».
«La carità unisce e costruisce, dove e quando c’è bisogno, con un’azione volontaria e gratuita».
«Non si può amare a distanza, restando fuori dalla mischia, senza sporcarsi le mani, ma soprattutto non si può amare senza condividere».
«I nostri spiriti ottusi hanno fatto dell’aiuto ai poveri una sorta di dovere moralizzante che consiste nel “fare la carità”, nell’essere solidali. Ma la solidarietà, come la carità, sono un’altra cosa. Prima di essere un dovere, sono uno stato di fatto, una constatazione. Significa sentirsi legati a qualcuno, condividere la sua sorte, mettersi nei suoi panni, compatire, cioè “patire con”».
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Il suo pensiero è attualissimo ancora oggi sull’ immigrazione :
«Un immigrato è uno che ha viaggiato per venire da noi. Ricordiamoci che la vita, compresa la nostra, è un viaggio. Non importa da dove si viene, ma dove si va».
«È sorprendente che in un Paese, in cui l’emigrazione è stato uno dei fenomeni sociali più rilevanti, quasi si provi vergogna a ricordare che abbiamo percorso le vie dell’esodo».
«Se il razzismo dipendesse dal numero troppo elevato dei cittadini stranieri presenti, l’Italia dovrebbe essere il Paese meno razzista d’Europa».
«L’immigrato che noi escludiamo è il segno della vera natura di una società. Dimmi chi escludi e ti dirò chi sei».
«La presenza dell’immigrato consente di provare la tolleranza, l’apertura al diverso di una comunità umana, di provare l’autenticità dei suoi valori, fa apparire come, pensando l’altro, pensa se stessa».
«Tu sei ebreo? Io sono ebreo con te. Tu sei musulmano? Io sono insieme a te musulmano. Tu non credi, ma credi nell’uomo? Io andrò con te fino in fondo incontro all’uomo».
«Forse abbiamo la memoria corta che ci fa dimenticare tutta la storia che ci pesa addosso, e che sembra non averci dato nessun insegnamento, nessuna lezione, proprio noi che abbiamo mandato in giro per il mondo milioni di italiani, compresa tutta la mia famiglia».
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Sull’ emarginazione diceva:
«Una città in cui un solo uomo soffre meno è una città migliore».
«Chi è solo è spesso invisibile agli altri, non possiede nemmeno, per debolezza o per dignità, la forza di rendere manifesta la sua condizione».
«I poveri non sono solo un problema da risolvere. Essi bussano alla nostra porta affinché ci convertiamo. Anzi, i poveri ci convocano per offrirci l’occasione di scoprire ciò che la civiltà tecnologica non potrà mai darci, per ricordarci cioè che noi siamo persone non riducibili ad un progetto economico, che abbiamo bisogno degli altri. Quando la città produce emarginazione non è più una comunità. Troppe volte parliamo della città come comunità, ma possiamo parlare della città come comunità quando non si esclude nessuno, quando non ci sono categorie forti e categorie deboli».
«Le situazioni di squilibrio sociale, le aree di emarginazione e desolazione urbana rappresentano una minaccia permanente per la pace. Lo stesso disagio di molti giovani e adolescenti, i più colpiti da una disgregazione sociale e familiare, costituiscono già oggi una sorta di polveriera che minaccia la nostra convivenza urbana».
«La società di domani sarà multiculturale, multirazziale, multireligiosa. Abituiamoci a non distruggere le diversità, ma a dialogare con esse, perché solo così noi possiamo prepararci al futuro».
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Ecco, cari amici e lettori queste sono solo alcune frasi e pensieri che don Luigi Di Liegro ha detto e scritto più di 26 anni fa. Non vi sembrano che siano state scritte ieri e siano assolutamente attualissime?
E se così fosse, non sembra anche a voi che, forse, nulla o quasi sia cambiato riguardo alla situazione sociale nel nostro paese? (angelo zurolo)
di Angelo Zurolo