· Città del Vaticano ·

Alla mensa

 Alla mensa  ODS-015
04 novembre 2023

Mancano pochi minuti alle 5 del mattino. È ancora buio e fuori fa un po’ freddo. Insieme con altre persone, Guy e Laura aspettano di iniziare il loro turno come volontari per offrire la prima colazione e un posto per riposare alle persone che hanno passato la notte per strada. Nella sala la radio trasmette brani di musica classica. Nella cappella c’è silenzio. Entrambi questi luoghi “parlano”, in qualche modo, di speranza, quella speranza che le persone che entrano potrebbero non aver incontrato durante la notte.

Guy e Laura svolgono lo stesso servizio, anche se non potrebbero essere più diversi l’uno dall’altra.

Guy è un analista finanziario e ha un lavoro a tempo pieno. Dopo aver terminato il suo servizio di volontariato, alle 9 va in ufficio: «È un buon lavoro, ma quando l’azienda è stata acquistata da una società statunitense, la vita è diventata più difficile. Hanno tagliato sui costi e non sappiamo per quanto tempo manterremo il lavoro. È la solita storia delle aziende canadesi che vengono acquistate dagli americani».

Laura, invece, vive in un edificio sovvenzionato dallo Stato in fondo alla strada. Soffre di una disabilità mentale, ma ha trovato il suo scopo nell’aiutare gli altri: «Sai, volevano offrirmi un lavoro part-time, ma ho rifiutato. Non posso lasciare la chiesa, hanno bisogno di me. Devo accogliere le persone. A volte, alcuni non sono molto gentili. Ma bisogna capirli. Forse hanno avuto una brutta giornata, domani sarà diverso. Mi vesto bene al mattino e questo fa sì che le persone si sentano più apprezzate».

Laura serve caffè e cibo. Accoglie le persone e le ascolta. Ha iniziato a fare volontariato dopo aver partecipato ai nostri incontri con i poveri sul Vangelo. «Mi sono sentita rispettata e importante (sorride)... Poi ho iniziato a venire più spesso. Mi dà gioia aiutare gli altri».

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Miroslava è in pensione da un paio d’anni. Lavorava in banca. Ora viene ad aiutare a sbrigare le questioni amministrative, ma si occupa anche della corrispondenza, della pulizia della cappella e, quando serve, della cucina. Miroslava, ti ricordi come hai iniziato a fare volontariato? «Sì, certo padre», dice ridendo. «È stato forse sei anni fa, quando ho cominciato a lavare i piatti alle 6 del mattino in cucina prima di andare in banca. Volevo fare qualcosa di buono, aiutare gli altri. Mi faceva sentire davvero bene. Mi piaceva lavare i piatti». Ricordo che arrivavi in autobus. «Sì, il primo autobus del mattino. Lo prendevo alle 5.15. Per questo non riuscivo ad arrivare prima delle 6». Non eri troppo stanca per andare poi al lavoro? Ricordo che venivi a lavare i piatti più di una volta alla settimana. «Sì, ero stanca, ma solo fisicamente. In banca lavoravo davanti al computer, era diverso. Arrivare fisicamente stanca al lavoro mi aiutava», dice sorridendo.

Cosa diceva la tua famiglia a quell’epoca? Si lamentavano del fatto che uscivi di casa così presto?. «No, al contrario, erano felici per me. Soprattutto mio marito. Era orgoglioso di quello che stavo facendo e ne parlava con ammirazione davanti ai nostri amici. Anche loro l’apprezzavano, anche se poi non mi imitavano». Come vedi ora le persone che vengono qui? «Le persone sono persone. Quando qualcuno ha bisogno, ha bisogno di aiuto. E questo è quanto. Oggi posso aiutare… Forse, domani sarò io ad aver bisogno di aiuto. Per il resto siamo tutti uguali».

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La nostra comunità è attiva tutto l’anno. Sono molte le cose che accadono sia al mattino che durante il giorno e, a volte, anche di notte. Il compito della comunità è praticare l’accoglienza e ne dà testimonianza anche nel silenzio della nostra cappella dove si curano le ferite dell’anima. Sono in tanti a sostenerci in questo servizio: come volontari, come operatori o come persone che cantano e pregano durante la funzione. Poveri e ricchi, giovani e anziani, chi ha conoscenze o chi non ha molto da insegnare: tutti si uniscono per diventare testimoni della persona rifiutata e ferita dall’indifferenza.

Il rifiuto che ferisce il cuore di una persona può essere guarito solo dalla generosità di altri. Ed è quello che vediamo e testimoniamo ogni giorno: la gentilezza di molti è diventata una mensa che accoglie colui che è stato ferito. (nicolaie atitienei)

di Nicolaie Atitienei *

* St. John - The Compassionate Mission di Toronto