· Città del Vaticano ·

DONNE CHIESA MONDO

L'intervista
Nicla Spezzati, tra le prime ad avere un incarico di vertice

Poi in Curia
giunsero le donne

 Poi in Curia giunsero le donne  DCM-010
04 novembre 2023

«Non credo di poter accettare». Le parole uscirono come un mormorio impercettibile. «O almeno così mi pare». Di quella tarda mattinata di un venerdì di dicembre 2011, suor Nicoletta Vittoria Spezzati, che tutti chiamano Nicla, ricorda ogni istante. Tranne quello in cui ascoltò qualcosa di impensato, inatteso, imprevisto. «All’epoca stavo per terminare il lavoro di responsabile del periodico Sequela Christi nella Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica. Il cardinale João Braz de Aviz mi fece chiamare nel suo studio, dove mi attendeva in piedi con il segretario, l’arcivescovo Joseph Tobin. Mi dissero: «Sua Santità Benedetto xvi l’ha nominata sottosegretario di questo Dicastero». Allora, la memoria si fa confusa per un breve istante. «Farfugliai qualcosa tipo: Credo di non potere accettare». Poi di nuovo tutto torna nitido: le risate e gli abbracci dei presenti, la profonda emozione. «E il primo augurio, il più bello, inviato dal cardinale Mauro Piacenza, prefetto del dicastero per il Clero: “Sorella, Le auguro di essere sempre nella Chiesa un’Antifona Maggiore”. Quel giorno la Chiesa introduceva al Natale con il canto delle Antifone Maggiori e invocava O Sapienza, che esci dalla bocca dell’Altissimo, ti estendi ai confini del mondo, e tutto disponi con soavità e con forza. Vieni, insegnaci la via della prudenza. Custodisco sul mio tavolo da lavoro, anche oggi, questa invocazione preziosa».

Nicla Spezzati, religiosa delle Suore Adoratrici del Sangue di Cristo, docente universitaria ed esperta di spiritualità, era la seconda donna a ricevere un incarico di vertice nella Curia romana. Nel 2004, Giovanni Paolo ii aveva nominato in quel ruolo suor Enrica Rosanna, delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Molti, tuttavia, pensavano che fosse un unicum. Con la scelta di suor Nicla come sottosegretaria, Joseph Ratzinger decideva di proseguire sulla via aperta dal predecessore. «Nel lungo colloquio con papa Benedetto capii che si attendeva da noi donne una partecipazione alla vita della Chiesa ricca di una speciale generatività spirituale e culturale: disegnava il volto femminile della Chiesa. Una visione che ho custodito con papa Francesco e continuo a custodire con cura speciale».

Provi a spiegarcelo…

Per me vuole dire abbracciare e creare legami, con tutti, agendo in continua collaborazione con le donne, in particolare con le consacrate, affinché siamo voce di Vangelo e intelligente compagnia nella città umana, senza separatezze.

Come fu trovarsi di colpo sottosegretaria?

Diedi a me stessa un tempo neutro in cui rimasi a lavorare nel mio piccolo studio, prima di prendere il “luogo” ufficiale del mio nuovo servizio. Ascoltare e imparare, al contempo collaborare, partecipare, proporre nella visione femminile e portare a discernimento e decisione comune: una nuova via di equilibri, ma anche di serena parresia.

Qual è stata la maggiore difficoltà?

Ho cercato di essere sempre in ricerca e non adattarmi a stereotipi scontati. Mi spiego. Ho mantenuto vigile l’attitudine all’ascolto che accoglie, valuta e discerne, per poter sostenere con parresia, pensiero e proposte di una visione femminile nella Chiesa e nella vita consacrata. Ho coltivato con passione, e spesso è stato duro, l’ascolto delle voci altre e l’accostamento critico, oltre gli steccati ideologici. Ho cercato di permettere che le istanze culturali contemporanee mi interpellassero in modo continuo, favorendo per quanto possibile elaborazione, prassi, decisioni a sostegno dell’humanum, uomo – donna, e della sua crescita nella novità del Vangelo. A tal fine, mi ripetevo e mi ripeto costantemente, la frase di Madeleine Delbrêl: «Leggere il Vangelo tenuto nelle mani dalla Chiesa come si mangia il pane». Proprio Madeleine è stata fonte di ispirazione preziosa. Ammiro la sua visione contemplativa e orante della vita, l’equilibrio e la dialettica fra azione e contemplazione, fra legame viscerale alla Chiesa e insofferenza verso i possibili eccessi di formalismo e potere, fra lucidità critica e umile compassione. E mi affascina la sua visione missionaria capace di non escludere nessuno.

Ma c’è un contributo specifico che le donne possono dare all’interno di un organismo a lungo “maschile” come la Curia romana?

Il luogo potrebbe intimidire. Proprio per questo, la sfida è quella di non cedere alla tentazione di vivere il proprio incarico come mera funzione da ottemperare. Penso che la Chiesa chieda alle donne di andare oltre l’eseguire, esprimendo appieno la propria potenzialità. Quella peculiarità tutta femminile di congiungere mente e cuore che le rende capaci di intuire, intravedere, avviare processi. Ho gustato l’incontro con centinaia di consacrate e consacrati e con pastori della Chiesa, con comunità diverse in circostanze diverse: è stata una scuola di ricerca comune, un procedere insieme nella novità del Vangelo. Piccoli passi affinché la Chiesa si esprima nella bellezza dell’umano, reciproca, armoniosa, dialettica, vitale.

di Lucia Capuzzi
Giornalista «Avvenire»