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DONNE CHIESA MONDO

Testimonianze
Dopo il Concilio ammesse alle facoltà teologiche

L’avanzata delle teologhe

 L’avanzata  delle teologhe   DCM-010
04 novembre 2023

L’11 ottobre del 1962 mentre correvo verso casa per piazzarmi davanti al televisore e restarvi per ore a guardare la lunghissima processione dei vescovi che entravano nell’aula conciliare di certo mai avrei pensato che quell’evento, capito sino a un certo punto da una adolescente ribelle, avrebbe inciso profondamente nella mia vita e cambiato il volto della Chiesa. Nulla sarebbe stato più come prima e un nuovo soggetto avrebbe fatto la sua comparsa. Parlo ovviamente delle donne teologhe e della teologia che avrebbero elaborata, a mio giudizio il fatto più innovativo e rilevante nella riflessione metodico-critica sulla fede nei decenni ultimi del secolo passato e nei primi di quello presente.

Benché condannate al silenzio e all’invisibilità le donne si erano già misurate criticamente con la fede. Penso a suor Juana Ines de la Cruz che aveva scelto di monacarsi tra le “geronimite”, emula delle dame dell’Aventino, le allieve e collaboratrici di San Girolamo. La sua audace presa di parola aveva ribadito per lei come per le altre donne l’obbligo del silenzio. Unica via d’uscita, a proprio rischio e pericolo, la loquela profetica e l’esperienza mistica, comunque da sottoporre al vaglio maschile clericale. Ne sono uscite vincenti Ildegarda di Bingen, Caterina da Siena, Brigida di Svezia, Domenica da Paradiso, Teresa d’Ávila, Maria Maddalena de’ Pazzi… Altre hanno pagato con la vita — basti ricordare Margherita Porete.

Ciò malgrado le donne hanno elaborato una teologia al femminile, fiorita soprattutto in contesti monastici. Nel passaggio all’età moderna hanno rivendicato l’accesso alla Scrittura, letta da alcune nelle lingue originali. Si colloca su questa pista di dotta acquisizione della fede la vicenda di Elisabetta Cornaro Piscopio, la prima donna a chiedere una laurea e in teologia. Le fu negata a partire dal detto dell’apostolo Paolo: tacciano le donne nella Chiesa. Fu gioco forza però laurearla in filosofia. Troppo importante la sua famiglia per opporre un radicale rifiuto.

Ci sono voluti più di due secoli perché le donne conseguissero la laurea nelle diverse discipline, ultima la medicina e ultimissima la teologia. A me è toccato d’essere tra le prime in Italia a frequentarne la facoltà. Era l’ottobre del 1968. Due anni dopo Maria Luisa Rigato veniva ammessa come uditrice al Pontificio Istituto Biblico mentre ne era rettore Carlo M. Martini. L’anno dopo erano diverse le allieve ordinarie che nel giro di due anni sarebbero state presenti in tutte le facoltà ecclesiastiche romane.

Altrove ciò era avvenuto prima. Cito tra le primissime a conseguire il titolo la statunitense Mary Daly e la tedesca Elisabeth Moltmann Wendel. Quest’ultima raccontava che non si sapeva come declinarla nel diploma e scelsero la formula di virgo sapientissima!

Parallelamente le donne accedevano alle cattedre e portavano a termine ricerche fondamentali di carattere storico, patristico, biblico. Alla tedesca Elisabeth Gössmann il censore di tesi ebbe a rimproverare un vizio generazionale: era nata troppo presto e, infatti, mai in patria ci sarebbe stata una cattedra per lei…

Sono approdata alla facoltà di teologia con una laurea in filosofia già conseguita e ho condotto i miei studi per un quadriennio conseguendo la licenza. Mi si chiese poi di portare avanti l’anno di dottorato, e per la tesi decisi di studiare la concezione del femminile di Giovanni Crisostomo, essendomi imbattuta nel suo epistolario alla diaconessa Olimpiade. Avevo sottovalutato la mole degli scritti e il percorso risultò lento. Anche perché nel 1974/75 mi era stato proposto d’insegnare introduzione alla teologia alla Scuola di Teologia per laici della mia diocesi. L’anno dopo avrei insegnato anche ecclesiologia e immediatamente dopo sarei stata cooptata all’Istituto Teologico San Giovanni Evangelista per la Sicilia Occidentale. Insomma, avrei insegnato ai candidati agli ordini …

Giocava in questa scelta la volontà esplicita di rendere operative le scelte conciliari. Spazio ai laici e alle donne. Ero donna e laica e avevo i titoli necessari. Tanto più che già nei primissimi anni Settanta a Roma insegnavano teologia l’italiana Nella Filippi e l’australiana Rosemary Goldie, una delle 23 uditrici del Concilio Vaticano ii . La prima, grazie a un percorso che le aveva fatto accelerare i tempi, conseguito il dottorato era stata invitata a insegnare cristologia. La seconda, chiamata per chiara fama, veniva così ricompensata per il perduto ruolo di sottosegretario al Pontificio Consigli dei laici.

Anche altrove in Europa le donne cominciavano a insegnare. Prima tra tutte l’olandese Katharina Halkes, per chiara fama, chiamata dall’Università cattolica di Nimega alla cattedra di Femminismo e teologia. Per non dire delle tante i cui studi incidevano profondamente nell’elaborare una teologia militante, segnatamente diversa da quella sin lì elaborata dagli uomini. Non più una teologia in cui la specificazione “della donna” avesse una valenza oggettiva, ma una teologia di donne (genitivo soggettivo) sulla donna o semplicemente una teologia elaborata dalle donne – cito per tutte la norvegese Kari E. Børresen a cui dobbiamo studi fondamentali accompagnati da un lessico suggestivo e inedito.

Non è comunque che nella Chiesa per le donne tutto andasse a gonfie vele. Erano chiamate in causa nelle tre questioni che Paolo vi aveva avocato a sé: ministero femminile, celibato ecclesiastico, regolamentazione delle nascite. Il niet più spiazzante che tuttavia non chiuse il problema fu quello relativo al ministero. Nel frattempo la Chiesa era a suo modo coinvolta nell’anno internazionale della donna celebrato dalle Nazioni Unite nel 1975. Anche il Vaticano mise su una commissione di studio che non approdò a nulla o quasi. Certo due donne erano state proclamate “dottore della Chiesa”, ma lo stesso Paolo vi dovette giustificarsi dinanzi all’adagio già citato relativo al loro silenzio nella Chiesa.

Mi si lasci dire che le donne correvano veloci, ma la Chiesa faceva fatica a raccoglierne le istanze. Si allargava una crepa difficile da sanare, malgrado gli sforzi in alcuni paragrafi (numeri 34 e 35) della Esortazione apostolica Marialis Cultus del 1974. Le teologhe operavano una scelta di campo femminista; abbandonavano la teologia della donna per fare proprio il “pensiero della differenza” e a seguire avrebbero prestato attenzione a tutte le declinazioni del pensiero femminista, anche radicale, interloquendo o acquisendo le teorie di genere e le stesse teorie queer.

Questo faticoso dialogo, spesso tra sordi, ha visto donne e Chiesa su posizioni divergenti. Alla Chiesa e al suo Magistero si è rimproverato di non avere mai abbandonato la cosiddetta “mistica della femminilità” così disegnando una donna irreale, iscritta in stereotipie a torto attribuite alla natura. La questione si è ingarbugliata durante il pontificato di Giovanni Paolo ii . Il suo “femminismo della differenza” di fatto ha assunto come cifra la loro capacità di generare e ricondotto a essa il loro compito nella società come nella Chiesa. Restava senza eco il lavoro titanico di decostruzione e riformulazione della fede che veniva prodotto dalla riflessione femminista. Cito solo a mo’ di esempio, negli Stati Uniti, Elizabeth Johnson, il suo Colei che è; senza dimenticare Elisabeth Schüssler Fiorenza e il suo In memoria di lei

Quanto a me, ho conseguito la laurea nel 1979. Stava per essere eretta la Facoltà Teologica di Sicilia e la licenza non bastava più per far parte dell’organico. Non mi fu data la titolarità dell’ecclesiologia ma della teologia del laicato. Continuavo però ad insegnarla sempre con crescente passione. Le donne a Palermo si moltiplicavano e già si avvertiva all’orizzonte la seconda generazione delle ricercatrici e docenti. E, in effetti, là dove ho cominciato opera già la quarta generazione.

Le teologhe d’oggi non hanno le preoccupazioni di quelle della prima ora. Ho faticato tanto per riuscire a insegnare abbandonando un linguaggio “neutro”. Nei miei primi anni bisognava dimostrare di essere all’altezza. La femminilità doveva in qualche modo venire mascherata… Guardo con sollievo le teologhe più giovani sofisticate, carine, madri, sposate… insomma ben lontane dal chiché asessuato della consacrata alla scienza e interessata solo a quella.

In Italia la sociologa Chiara Canta nell’ultimo decennio ha dedicato alle teologhe un saggio suggestivamente titolato Le pietre scartate. E, di recente, ha accostato il pensiero di papa Francesco relativo alle donne. Certo la situazione è diversa. Le teologhe hanno affermato la loro professionalità dando vita ad associazioni specifiche, nazionali e non – il cti in Italia, ad esempio. Ma anche in altri ambiti ecclesiali le donne sono più visibili. Restano però nodi insoluti, il ministero femminile innanzitutto. Resta la misoginia clericale. Resta insomma un cammino ancora tutto in salita che né certa presenza pastorale né il riconoscimento di Teresa di Lisieux e di Ildegarda di Bingen come dottore della Chiesa bastano a spianare. Ad esempio perché non riconoscere tale Edith Stein? Martire sì e nessuno lo nega, ma anche filosofa e teologa, ma forse appunto per questo spiazzante…

Eppure, guardando alle nuove generazioni mi sento piena di fiducia e ottimismo. La Chiesa non considera ancora come un prezioso tesoro questa schiera tenace, ma confido in tempi nei quali ciò avverrà. Occorre ridire la fede, renderla di nuovo seducente. Le teologhe possono farlo, anzi lo fanno già. Occorre far loro spazio a tutto campo. Per loro non è più tempo di tacere ma di parlare ed essere ascoltate.

di Cettina Militello
Teologa, vice-presidente della Fondazione Accademia Via Pulchritudinis


Cettina Militello  ha sperimentato in prima persona le novità che il Concilio Vaticano ii ha comportato per le donne: è stata tra le prime in Italia a essere ammessa in una  facoltà di teologia, nel 1968, e nel 1975 tra le prime laiche a insegnare in una Facoltà teologica (quella di Sicilia). Si è dedicata soprattutto a ecclesiologia, mariologia, ecumenismo, questione femminile, rapporto tra architettura e liturgia.  E’  stata  allieva e amica di Rosemarie Goldie, una delle 23 madri conciliari. E’ tra le fondatrici del Coordinamento delle Teologhe italiane, nato nel 2003. Ha curato «Il Vaticano ii e la sua ricezione al femminile», Edb, che traccia un bilancio sul Concilio a partire da una peculiare prospettiva: la novità ha comportato sul fronte delle donne. I suoi ultimi libri sono «Sinodalità e riforma della Chiesa. Lezioni del passato e sfide del presente», pubblicato da San Paolo Edizioni e «Le chiese alla svolta- Ripristinare i ministeri», Edb.