· Città del Vaticano ·

Nell’ultimo film di Scorsese, «Killers of the flowers moon»

Peccato, corruzione e dolore

 Peccato, corruzione  e dolore  QUO-248
27 ottobre 2023

Il nuovo film di Martin Scorsese, Killers of the flowers moon, è ispirato a una storia vera ma soprattutto è una vera storia. Come ha scritto Alessandro Zaccuri, questo secondo dettaglio vale di più. Il film dunque racconta una vera storia, cioè ricca di umanità, di senso e quindi aperta alla speranza, pur essendo uno dei film più tristi e dolenti degli ultimi decenni.

La vicenda è ambientata a Fairfax nell’Oklahoma negli anni Venti: i nativi della Nazione Osage scoprono che sotto la terra in loro possesso c’è molto petrolio e questa scoperta li rende presto il popolo più ricco e quindi più triste e fragile del mondo, esposto ad ogni sorta di avversità. Si scatena infatti, da subito, la corsa all’oro nero, figlia di una delle più potenti divinità di questo mondo, l’avidità o, per citare un altro grande film del 1924, la Rapacità (Greed) diretto da Erich von Stroheim. La cornice del film di Scorsese è questa: la misera, miserabile epica dell’avidità umana. Insieme e contrapposta ad essa, lo spettatore assiste anche alla grandiosa epica del dolore. Perché Scorsese ci ricorda che non esiste niente, delle cose umane, di più sacro del dolore. La sacralità del dolore è il peso che sta sull’altro piatto della bilancia a riequilibrare l’enorme macigno dell’avidità che sembra farla da padrona per tutta la vicenda.

Se la cornice è fatta di questi due “colori”, il quadro è mosso dalle azioni dei tre protagonisti: William K. Hale, Ernest Burkhart e Mollie. Il primo (Robert De Niro) è il lupo-latifondista, ovviamente travestito da agnello, mosso da una rapacità inestinguibile che contagerà il giovane nipote Ernest, magistralmente interpretato da Leonardo Di Caprio: insieme i due sono i killers di cui parla il titolo, mentre Mollie, una Lily Gladstone da premio Oscar, è uno dei “fiori di luna”, la vittima predestinata, la donna del dolore, la nativa per sua sfortuna miliardaria. Lo zio Bill spingerà il nipote prima a sposare e poi a tentare di uccidere la giovane Molly per ereditarne la fortuna, ma qualcosa si incepperà nel suo callido piano criminale. Se William e Molly sono i due poli opposti, quasi due ipostasi del male e del bene, il personaggio più interessante è Ernest, l’uomo vero, che si dibatte tra i due, tra l’avidità e l’amore. È interessante Ernest proprio perché “grigio”, ricco di sfumature che sembrano sfuggire anche a lui stesso, che appare come un uomo fragile, confuso e istintivo, e soprattutto manipolabile. L’arcata narrativa della sua parabola ricorda da vicino quella di Henri Hill, il giovane protagonista di un altro capolavoro di Martin Scorsese, Quei bravi ragazzi (Goodfellas) del 1990. Anche Henri come Ernest ha un tutore, uno “zio”, anche questa volta interpretato da De Niro, che lo induce, di tentazione in tentazione, nel sentiero del crimine salvo arrivare a un punto così estremo, dove sembra essersi persa ogni traccia di umanità, in cui qualcosa dentro il giovane si spezza e avviene la ribellione, più per sopravvivenza che per dignità, un po’ come il figliol prodigo, verso il tutore-padre-padrone.

I due, Ernest e William, rappresentano in modo icastico, quella differenza che spesso Papa Francesco ha indicato quando ha parlato di peccatori e di corrotti, sottolineandone la diversità. Ne ha parlato anche di recente, all’Angelus del 1 ottobre scorso, quando ha affermato che «per il peccatore c’è sempre speranza di redenzione; per il corrotto, invece, è molto più difficile. Infatti i suoi falsi “sì”, le sue parvenze eleganti ma ipocrite e le sue finzioni diventate abitudini sono come uno spesso “muro di gomma”, dietro al quale si ripara dai richiami della coscienza. E questi ipocriti fanno tanto male! Fratelli e sorelle, peccatori sì — lo siamo tutti —, corrotti no! Peccatori sì, corrotti no!».

Di Caprio è l’uomo, l’uomo peccatore, De Niro è il corrotto. Il peccatore cade ma può ancora rialzarsi, la sua vita è una dibattersi a causa di una fragilità che non l’abbandona e gli impedisci di elevarsi. I corrotti invece hanno fatto un “salto di qualità” nel cammino del male: sono persone che si sono chiuse ad ogni possibilità di riscatto, di risveglio della propria coscienza che non è più inquieta. Hanno cominciato a chiamare “bene” il “male” e sono convinti di comportarsi onestamente pur commettendo ogni possibile iniquità. Sono infine degli ipocriti che mentono a loro stessi e agli altri e finiscono per credere alle loro stesse menzogne. Lupi travestiti di agnelli. Avendo spento la voce della coscienza, diventano insensibili anche agli interventi della Grazia che ben poco può fare per loro. Verrebbe da pensare che diventando corrotti, commettono quella bestemmia contro lo Spirito che secondo il Vangelo è l’unico peccato veramente imperdonabile.

Guardando il dolente film di Scorsese che si apre e si chiude con uno sguardo sulla natura, sui “fiori di luna” assassinati, si avverte la terribile vertigine che scaturisce dal constatare la possibilità di compiere quel peccato che «non sarà perdonato né in questo mondo né in quello futuro» (Matteo 12,33).

di Andrea Monda