· Città del Vaticano ·

Il Vangelo in tasca

 Luci gentili  QUO-247
26 ottobre 2023

Luci gentili 


Solennità di Tutti i Santi

Per la festa di Tutti i Santi, ho trovato una definizione di santità che mi ha colpito: «La santità forse non è altro che il colmo della buona educazione».

Se pensiamo ai santi come a “superuomini” o super-eroi, ci possiamo scoraggiare. Se, invece, pensiamo ai santi come persone che non sono nate perfette; che prima di raggiungere la gloria del cielo, hanno vissuto una vita normale, allora siamo incoraggiati ad imitarli.

Se ci sono riusciti loro, possiamo farcela anche noi. Perché dovrebbe essere facile per tutti praticare la buona educazione. Praticare il programma delle “Beatitudini” del Vangelo.

Vedete: la santità non consiste nel fare cose straordinarie, ma nel fare straordinariamente bene le cose ordinarie. Santa Teresa d’Avila diceva: «La santità non consiste nel fare cose ogni giorno più difficili, ma nel farle ogni volta con più amore».

Capiamo bene che Dio non chiede a nessuno l’impossibile, o meglio, lo rende possibile a tutti. Scrive Papa Francesco: «Mi piace vedere la santità nei genitori che crescono con tanto amore i loro figli, negli uomini e donne che lavorano per portare a casa il pane, nei malati e negli anziani che, nonostante tutto, continuano a sorridere».

Ecco, questa è «la santità della porta accanto»! I santi sono «luci gentili nel buio del mondo» e guardare a loro, vuol dire vedere più chiara la strada che ci porta fuori dal tunnel.

Qualche volta ci possiamo arrabbiare per una sofferenza, per una punizione ingiusta, una malattia, un lutto, una critica. Guardare ai santi, invocare il loro aiuto, ci può aiutare. Facciamolo spesso, durante le nostre giornate, con fiducia e speranza.

E, per quanto possibile, sforziamoci di imitarli. Ricordando che «la ragione per cui non siamo felici come i Santi, è perché non abbiamo nessuna voglia di essere Santi!» (Fulton Sheen).


Religione dell'essere


XXXI Domenica del Tempo ordinario

Nel Vangelo di questa domenica si nota la durezza e la severità di Gesù. Lui, che era misericordioso con tutti, condanna senza misericordia gli ipocriti. È un rimprovero contro l’incoerenza, l’ipocrisia, la vanità.

In primo luogo contro i sacerdoti e, in genere, coloro che sono alla guida degli altri. «Voi vi siete allontanati dalla retta via e siete stati di inciampo a molti con il vostro esempio» (prima lettura). «Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno» (Vangelo).

Ma il rimprovero ci tocca tutti. Siamo anche noi come i farisei, quando annulliamo la Parola di Dio con le nostre tradizioni; quando riduciamo la religione ad alcune pratiche vuote, senz’anima; quando pretendiamo di amare Dio, dimenticando gli altri; quando ci preoccupiamo di “sembrare” piuttosto che di essere.

L’incoerenza delle nostre vite! Coerenza è quella virtù per cui uno agisce come pensa e pensa come agisce. Se vogliamo essere uomini e cristiani veri, autentici, dobbiamo vivere in modo tale da formare una cosa sola con le nostre idee e i nostri principi.

Se vogliamo essere il lievito nuovo nella società, occorre che alle parole facciamo seguire i fatti. Il peggior rimprovero che possano muovere a un cristiano è che fa parte di quelli che «dicono e non fanno».

Il Signore ci salvi da questa colpa. Parliamo agli altri di giustizia, quando siamo noi operatori di giustizia. Parliamo agli altri di pace, di fraternità, di carità, quando con coerenza le mostriamo nella nostra vita.

Tanto più grande è la nostra responsabilità, quanto maggiori sono i doni che Dio ci ha dato. Solo cristiani coerenti «accarezzeranno il mondo contro pelo» come auspicava Leonardo Sciascia.

Ripetiamo l’invocazione paradossale del celebre teologo protestante Karl Barth: «Signore, liberami dalla religione e dammi la fede!».


Attenzione alla vita


XXXII Domenica del Tempo ordinario

«Vivere è la cosa più rara del mondo: la maggior parte della gente esiste soltanto» (Oscar Wilde). È il pensiero di un famoso autore inglese, che vuole condannare una delle malattie più diffuse e radicate nel nostro tempo: la superficialità, la banalità, la stupidità.

Non pensiamo che «la vita è troppo breve, perché ci possiamo permettere di renderla insignificante» (Benjamin Disraeli). Vivere in senso autenticamente umano non è un sopravvivere, un vegetare, un tirare a campare; non è un semplice esistere. La vita che è dono di Dio va vissuta in pienezza, consapevolmente.

La parabola del Vangelo di oggi ci ricorda di vivere da vivi, ad occhi aperti, vigilare per non addormentarci e rischiare di rimanere chiusi fuori alla festa di Dio.

Vivere è consapevolezza e qualche volta anche tormento; è gioia, ma non spensieratezza; è coscienza ma non irresponsabilità. Stiamo attenti a non svilire la vita, perché ne dobbiamo rendere conto a Dio. E i conti con Dio sono gli unici che contano!

Spesso si incontrano persone che si rassegnano al livello basso, a comportamenti vani e vacui. E in questo modo si dimenticano di vivere, ignorando quanto diceva Leonardo da Vinci: «La vita spesa bene, lunga è!». La vita, più è vuota, e più pesa!

Viviamo in un mondo minacciato, ed in questo mondo il solo valore autentico è la vita, nient’altro che la vita. Se amiamo la vita, la vita ricambia il nostro amore.

Tante volte la vita non ci dà quello che abbiamo chiesto, ma quello che abbiamo meritato. Facciamo più attenzione alla vita. Perché l’uso migliore della vita è di spenderla per qualcosa che duri più della stessa vita!

di Leonardo Sapienza