La vita come rivelazione
Pubblichiamo stralci dal volume appena uscito in libreria «Ho sempre cercato tutto. Pier Vittorio Tondelli l’uomo, la ricerca, le opere» (Milano, Bompiani, 2023, pagine 384, euro 17).
Il sacro e la corporeità
Una chiave della religiosità che si ritrova nelle pagine di Tondelli è certamente legata all’esperienza della sessualità e della corporeità, intese come luoghi in cui la vita sembra rinviare anche a una dimensione sacrale, di cui pure l’armonia del cosmo partecipa attraverso la preghiera nascosta e universale delle sue creature. Non stupisce che alcune di queste pagine tondelliane siano state inserite in una raccolta di testi e riflessioni dal titolo Inquietum cor nostrum. Pagine di un cristianesimo ritrovato.
Il personaggio Leo — ma come non vedere l’autore alle sue spalle? — dice della propria religiosità in una pagina densissima: «Se ha abbandonato la pratica della religione in cui è cresciuto e attraverso la quale ha imparato a segnare il mondo, il suo ambiente, i suoi sentimenti, l’ha fatto per l’inconciliabilità di fondo fra la sua vita e il suo misticismo. L’ha fatto perché portava non solo la propria emotività, ma anche la sua sensualità, nella ricerca di Dio. Nello stesso tempo vedeva la religione vissuta in modo sdilinquito, atrocemente svirilizzato senza la passione feconda, la recettività violenta della femminilità o l’esuberanza della virilità. Una religione senza sesso per uomini che hanno paura delle passioni e della forza dell’amore. Una religione accomodante, borghese, il più delle volte ipocrita. Mentre invece, anche nella sua silenziosa preghiera, lui era consapevole di mettere in gioco tutta la propria sessualità. Per questo leggeva Osea. Perché in quelle pagine non c’era una visione esclusivamente mentale del rapporto fra Dio e il suo popolo, ma una rappresentazione di corpi, di prostituzione, di abbandono, di delirio della separazione, di rabbia, di paterna protezione».
Leo ha abbandonato la pratica della religione, ma è segnato da una religiosità che non lo abbandona. Perché? Perché vive il contrasto da lui definito e vissuto come «inconciliabile» tra una certa forma di religiosità e se stesso, in particolare la propria sessualità. Il tormento lo conduce a sentire vicino Osea, grazie al fatto che nelle pagine del suo libro appare una religiosità molto legata alla carnalità e all’emotività. Nella sua «silenziosa preghiera» Leo sa mettersi in gioco soltanto così. Sembra che nella religiosità del personaggio la preghiera sia il segno del filo ininterrotto della ricerca di Dio.
È proprio su questa linea, emotiva e carnale, che per Tondelli assume valore la castità: «La castità è una virtù mistica, per quanti l’hanno scelta, e forse l’uso sovrumano della sessualità». È una definizione che Tondelli fa propria leggendo il già citato volume di Zarri: «Per verginità, in senso teologico, non è infatti da intendersi l’astensione da un esercizio genitalizzato della sessualità, bensì un carisma che consiste in un particolare orientamento del sesso, in un particolare modo di porre il proprio rapporto con Dio e con gli uomini. È un dono gratuito che, ove non sia elargito da Dio, non può venir creato da una disciplina né da una personale volontà. Per celibato, invece, è da intendere uno stato civile che può venire imposto o vissuto, a prescindere dal fatto vocazionale. Il diritto canonico e la buona volontà bastano per fare un celibe, non bastano per creare un vergine. Anche se il celibe, privo di carisma verginale, permarrà, per tutta la vita, nella verginità fisica, non potrà mai raggiungere la verginità teologica».
Questa espressione tondelliana è stata giustamente sottolineata da Gianni Baget Bozzo. La castità come valore è qui l’opposto dell’astrazione dalla sessualità, vago svilimento e rinuncia. Quest’ultima uccide, confinando l’uomo «in una zona incattivita e sterile dalla quale è sempre più difficile uscire», rendendolo «un grumo irrisolto di rancore e di odio». La castità vera è invece l’uso sovrumano e soprannaturale della sessualità: «La mistica ha il cuore caldo dell’eros» e ciò significa «imparare a ascoltare la divina attrazione».
La preghiera e l’ispirazione
Leo, nella propria ricerca religiosa, celebra come liturgia la vita stessa, e la sua devozione consiste spesso in un atteggiamento di osservazione, contemplazione e ascolto delle cose e degli uomini, «un osservare e contemplare, che ha a che fare con il suo stesso modo di essere». Così come accadeva a Tondelli, ad esempio, nel tempo trascorso a Firenze, che — scrive egli stesso — «mi dava una straordinaria capacità di osservazione. Sentivo il mio sguardo più teso e la mia immaginazione più forte».
Tondelli qui riprende una riflessione che già vediamo maturata in un articolo sugli anni universitari, in cui scriveva: «Ma, in fondo, fa bene pensare che, nonostante tutto, il dolore e l’esasperazione e la frustrazione della nostra esperienza giovanile, nonostante le sofferenze e le bastonate e la precarietà di questi anni universitari; nonostante tutto questo, la vita si rivela ogni tanto come una sottile e delicata vibrazione che raccorda e uniforma il tono delle diverse esperienze e diverse storie. In fondo, fa bene pensare che, alla base dei nostri percorsi, scorra una delicata armonia che ci fa incontrare. E che va semplicemente rispettata, anche se dura un attimo».
Due anni dopo in Pao Pao questa riflessione, come già abbiamo visto precedentemente, acquista la seguente forma: «Le occasioni della vita stupiscono mai abbastanza nella loro insensata frammentarietà che poi un bel giorno miracolosamente si salda in una sottile e delicata vibrazione che riaccorda e riannoda e uniforma il tono di diversi percorsi e allora, nonostante i dolori e le precarietà dei nostri anni giovanili la vita sembra rivelarsi come una misteriosa e armonica frequenza che schiude il senso e fa capire; e allora in quell’attimo abbagliante tutto pare ricomporsi nella gioia di sentirsi finalmente presenti agli occhi della propria storia, la pazzesca consapevolezza di trarre a sé tutti i fili intrigati e sparsi del proprio passato come sta appunto succedendo a me».
di Antonio Spadaro