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Il magistero

 Il magistero  QUO-247
26 ottobre 2023

Domenica 22

L’uomo
appartiene a Dio e a nessun “Cesare”
di turno

Il Vangelo racconta che alcuni farisei si uniscono agli erodiani per tendere una trappola a Gesù... Vanno da Lui e gli chiedono: «È lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?» (Mt 22, 17).

È un inganno: se Gesù legittima la tassa, si mette dalla parte di un potere politico mal sopportato dal popolo, mentre se dice di non pagarla può essere accusato di ribellione contro l’impero.

Una vera trappola. Egli però sfugge a questa insidia.

Chiede di mostrargli una moneta, che porta impressa l’immagine di Cesare, e dice: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».

Queste parole di Gesù sono diventate di uso comune, ma a volte sono state utilizzate in modo sbagliato — o almeno riduttivo — per parlare dei rapporti tra Chiesa e Stato, tra cristiani e politica.

Spesso vengono intese come se Gesù volesse separare “Cesare” e “Dio”, cioè la realtà terrena e quella spirituale.

A volte anche noi pensiamo così: una cosa è la fede con le sue pratiche e un’altra la vita di tutti i giorni. E questo non va.

Questa è una “schizofrenia”, come se la fede non avesse nulla a che fare con la vita concreta, con le sfide della società, con la giustizia sociale, con la politica.

Gesù vuole aiutarci a collocare “Cesare” e “Dio” ciascuno nella sua importanza.

A Cesare — cioè alla politica, alle istituzioni civili, ai processi sociali ed economici — appartiene la cura dell’ordine terreno.

Noi, che in questa realtà siamo immersi, dobbiamo restituire alla società quanto ci offre attraverso il nostro contributo di cittadini responsabili, avendo attenzione a quanto ci viene affidato, promuovendo il diritto e la giustizia nel mondo del lavoro, pagando onestamente le tasse, impegnandoci per il bene comune.

Allo stesso tempo, però, Gesù afferma la realtà fondamentale: che a Dio appartiene l’uomo, tutto l’uomo e ogni essere umano.

Ciò significa che noi non apparteniamo a nessuna realtà terrena, a nessun “Cesare” di turno.

Siamo del Signore e non dobbiamo essere schiavi di nessun potere mondano.

Sulla moneta c’è l’immagine dell’imperatore, ma Gesù ci ricorda che nella nostra vita è impressa l’immagine di Dio, che niente e nessuno può oscurare.

A Cesare appartengono le cose di questo mondo, ma l’uomo e il mondo stesso appartengono a Dio: non dimentichiamolo!

Comprendiamo che Gesù sta riportando ciascuno di noi alla propria identità: sulla moneta di questo mondo c’è l’immagine di Cesare, ma tu — io, ognuno di noi — quale immagine porti dentro di te? Facciamoci questa domanda.

Ci ricordiamo di appartenere al Signore, oppure ci lasciamo plasmare dalle logiche del mondo e facciamo del lavoro, della politica, dei soldi i nostri idoli da adorare?

(Angelus in piazza San Pietro)

Lunedì 23

Garantire
a tutti
il diritto
a non dover
migrare

Saluto voi che partecipate all’ottava edizione del Festival della Migrazione, intitolato “Liberi di partire, liberi di restare”, organizzato [dalla] Fondazione Migrantes della Conferenza Episcopale Italiana (Cei).

Il tema riprende quello del Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e Rifugiato di quest’anno, dedicato alla libertà di scegliere se migrare o restare.

Ed è ancora più chiaro il riferimento all’iniziativa di solidarietà promossa qualche anno fa dalla Cei, che cito proprio nel mio Messaggio come risposta concreta alle sfide delle migrazioni contemporanee.

Nei vostri lavori intendete riflettere sui flussi migratori contemporanei attraverso considerazioni che vadano oltre l’emergenza, nella consapevolezza che ci troviamo di fronte a un fenomeno poliedrico, articolato, globale e a lungo termine.

Per questo le risposte alle sfide migratorie di oggi non possono che essere articolate, globali e a lungo termine.

Vi proponete di ribadire la centralità della persona umana nel disegno di politiche e programmi migratori, con attenzione particolare alle categorie più vulnerabili, come le donne e i minori.

Il principio del primato della persona umana e della sua inviolabile dignità obbliga ad anteporre la sicurezza personale a quella nazionale.

Cristo ci chiede di non cedere alla logica del mondo, che giustifica la prevaricazione sugli altri per il mio tornaconto personale o quello del mio gruppo: prima io e poi gli altri!

Il vero motto del cristiano è «prima gli ultimi».

Sviluppare proposte concrete per favorire una migrazione regolare e sicura.

Moltiplicare gli sforzi per combattere le reti criminali che speculano sui sogni dei migranti.

È necessario indicare strade più sicure... bisogna impegnarsi ad ampliare i canali migratori regolari.

Nello stesso tempo adoperarsi alacremente per garantire a tutti e tutte il diritto a non dover migrare.

I migranti scappano per povertà, per paura, per disperazione. Al fine di eliminare queste cause e porre così termine alle migrazioni forzate è necessario l’impegno comune di tutti, ciascuno secondo le proprie responsabilità.

Chiedersi che cosa possiamo fare, ma anche cosa dobbiamo smettere di fare.

Fermare la corsa agli armamenti, il colonialismo economico, la razzia delle risorse altrui, la devastazione della casa comune.

Accogliere, proteggere, promuovere e integrare tutti i migranti e i rifugiati che bussano alla nostra porta.

(Messaggio ai partecipanti all’ viii Festival
della Migrazione in corso a Modena
e in altre città emiliane dal 25 al 28 ottobre)

Mercoledì 25

Strumenti
di libertà
nella carità

Oggi vi parlerò di due fratelli molto famosi in Oriente, al punto da essere chiamati “gli apostoli degli Slavi”: i Santi Cirillo e Metodio.

Nati in Grecia nel ix secolo da famiglia aristocratica, rinunciano alla carriera politica per dedicarsi alla vita monastica.

Ma il loro sogno di un’esistenza ritirata dura poco. Vengono inviati come missionari nella Grande Moravia, che all’epoca comprendeva vari popoli, già in parte evangelizzati, ma presso i quali sopravvivevano molti costumi e tradizioni pagani.

Il loro principe chiedeva un maestro che spiegasse la fede cristiana nella loro lingua. Il primo impegno di Cirillo e Metodio è dunque studiare a fondo la cultura di quei popoli.

Sempre quel ritornello: la fede va inculturata e la cultura va evangelizzata. Inculturazione della fede, evangelizzazione della cultura, sempre.

Cirillo chiede se abbiano un alfabeto; gli rispondono di no. Ed egli replica: “Chi può scrivere un discorso sull’acqua?”.

Per annunciare il Vangelo e per pregare ci voleva uno strumento adatto, specifico.

Inventa così l’alfabeto glagolitico. Traduce la Bibbia e i testi liturgici.

La gente sente che quella fede cristiana non è più “straniera”, ma diventa la loro fede, parlata nella lingua materna.

Pensate: due monaci greci che danno un alfabeto agli Slavi. Questa apertura di cuore ha radicato il Vangelo tra loro.

Non avevano paura questi due, erano coraggiosi.

Ben presto, però, iniziano i contrasti da parte di alcuni Latini, che si vedono sottrarre il monopolio della predicazione tra gli Slavi, quella lotta dentro la Chiesa, sempre così.

La loro obiezione è religiosa, ma solo in apparenza: Dio può essere lodato — dicono — solo nelle tre lingue scritte sulla croce, l’ebraico, il greco e il latino.

Questi avevano la mentalità chiusa per difendere la propria autonomia.

Ma Cirillo risponde con forza: Dio vuole che ogni popolo lo lodi nella propria lingua.

Insieme al fratello Metodio si appella al Papa e questi approva i loro testi liturgici in lingua slava, li fa collocare sull’altare della chiesa di Santa Maria Maggiore e canta con loro le lodi del Signore secondo quei libri.

Cirillo muore dopo pochi giorni, le sue reliquie sono ancora venerate qui a Roma, nella Basilica di San Clemente.

Metodio, invece, viene ordinato vescovo e rimandato nei territori degli Slavi.

Qui dovrà soffrire molto, sarà anche imprigionato, ma la Parola di Dio non è incatenata e si diffonde tra quei popoli.

Guardando la testimonianza di questi due evangelizzatori, che San Giovanni Paolo ii ha voluto compatroni d’Europa e sui quali ha scritto l’Enciclica Slavorum Apostoli, vediamo tre aspetti.

Anzitutto, l’unità: i Greci, il Papa, gli Slavi: a quel tempo c’era in Europa una cristianità non divisa, che collaborava per evangelizzare.

Secondo aspetto è l’inculturazione: evangelizzare la cultura e l’inculturazione fa vedere che l’evangelizzazione e cultura sono strettamente connesse.

Non si può predicare un Vangelo in astratto, distillato.

Il Vangelo va inculturato ed è anche espressione della cultura.

Ultimo aspetto, la libertà. Nella predicazione ci vuole libertà ma la libertà ha sempre bisogno del coraggio, una persona è libera quanto è più coraggiosa e non si lascia incatenare da tante cose che le tolgono la libertà.

Chiediamo ai Santi Cirillo e Metodio di essere strumenti di “libertà nella carità” per gli altri. Essere creativi, essere costanti ed essere umili, con la preghiera e con il servizio.

Saluti
ai tedeschi

La settimana prossima ricorre la solennità di Tutti i Santi. Qui a Roma potete scoprire tanti luoghi che ci invitano ad incontrare i Santi. Affidiamo alla loro intercessione tutte le nostre intenzioni.

Ai portoghesi

In questo tempo, non lasciamo che le nuvole dei conflitti nascondano il sole della speranza. Anzi, affidiamo alla Madonna l’urgenza della pace affinché tutte le culture si aprano all’afflato di armonia nello Spirito.

Agli italiani

Rivolgo un benvenuto ai fedeli della Diocesi di Ugento - Santa Maria di Leuca venuti assieme al Vescovo Vito Angiuli come espressione di gratitudine per la recente Beatificazione di Elisa Martinez, fondatrice delle Figlie di Santa Maria di Leuca. A voi, religiose di questo Istituto, come pure alle Suore Francescane della Santissima Annunziata auguro un sereno e proficuo Capitolo Generale.

(Udienza generale
in piazza San Pietro)