· Città del Vaticano ·

La XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi
L’intervento del Papa alla 18 a congregazione generale

Il clericalismo sporca
il volto della Chiesa

 Il clericalismo sporca il volto della Chiesa  QUO-247
26 ottobre 2023

Ieri pomeriggio, mercoledì 25 ottobre, nel corso della 18a congregazione generale del Sinodo sulla sinodalità, Papa Francesco ha pronunciato nell’Aula Paolo vi un intervento in spagnolo, il cui testo diamo qui di seguito in una nostra traduzione italiana.

Mi piace pensare alla Chiesa come al popolo fedele di Dio, santo e peccatore, popolo convocato e chiamato con la forza delle beatitudini e di Matteo 25.

Gesù, per la sua Chiesa, non ha adottato nessuno degli schemi politici del suo tempo: né farisei, né sadducei, né esseni, né zeloti. Nessuna “corporazione chiusa”; riprende semplicemente la tradizione di Israele: “Tu sarai il mio popolo e io sarò il tuo Dio”.

Mi piace pensare alla Chiesa come a questo popolo semplice e umile che cammina alla presenza del Signore (il popolo fedele di Dio). Questo è il significato religioso del nostro popolo fedele. E dico popolo fedele per non cadere nei tanti approcci e schemi ideologici con cui viene “ridotta” la realtà del popolo di Dio. Semplicemente popolo fedele, o anche “santo popolo fedele di Dio” in cammino, santo e peccatore. E la Chiesa è questa.

Una delle caratteristiche di questo popolo fedele è la sua infallibilità; sì, è infallibile in credendo. (In credendo falli nequit, dice Lumen gentium, n. 12) Infallibilitas in credendo. E lo spiego così: quando vuoi sapere che cosa crede la Santa Madre Chiesa, vai al Magistero, perché ha il compito di insegnartelo, ma quando vuoi sapere come crede la Chiesa, vai al popolo fedele.

Mi viene in mente un’immagine: il popolo fedele riunito all’ingresso della cattedrale di Efeso. La storia (o la leggenda) racconta che la gente si trovava su entrambi i lati della strada verso la Cattedrale mentre i Vescovi facevano il loro ingresso in processione, e che ripeteva in coro: ‘Madre di Dio’, chiedendo alla Gerarchia di dichiarare dogma quella verità che loro già possedevano come popolo di Dio. (Alcuni dicono che avevano in mano dei bastoni e li mostravano ai Vescovi). Non so se è storia o leggenda, ma l’immagine è valida.

Il popolo fedele, il santo popolo fedele di Dio, ha un’anima, e poiché possiamo parlare dell’anima di un popolo, possiamo parlare di una ermeneutica, di un modo di vedere la realtà, di una coscienza. Il nostro popolo fedele ha coscienza della sua dignità, battezza i suoi figli, seppellisce i suoi morti.

Noi membri della Gerarchia proveniamo da questo popolo e abbiamo ricevuto la fede da questo popolo, in genere dalle loro madri e nonne, “tua madre e tua nonna”, dice Paolo a Timoteo, una fede trasmessa in dialetto femminile, come la Madre dei Maccabei che parlava “in dialetto” ai suoi figli. E qui mi piace sottolineare che nel santo popolo fedele di Dio, la fede viene trasmessa in dialetto, e generalmente in dialetto femminile. Questo non solo perché la Chiesa è Madre e sono proprio le donne a rifletterla meglio; (la Chiesa è donna) ma perché sono le donne a saper aspettare, a saper scoprire le risorse della Chiesa, del popolo fedele, a rischiare oltre il limite, forse con paura ma coraggiose, e nel chiaroscuro di una giornata che inizia si avvicinano a un sepolcro con l’intuizione (ancora non speranza) che possa esserci qualcosa di vivo.

La donna del santo popolo fedele di Dio è riflesso della Chiesa. La Chiesa è femminile, è sposa, è madre.

Quando i ministri esagerano nel loro servizio e maltrattano il popolo di Dio, deturpano il volto della Chiesa con atteggiamenti maschilisti e dittatoriali (basta ricordare l’intervento di suor Liliana Franco). È doloroso trovare in alcuni uffici parrocchiali “l’elenco dei prezzi” dei servizi sacramentali a mo’ di supermercato. O la Chiesa è il popolo fedele di Dio in cammino, santo e peccatore, o finisce per essere un’azienda di servizi vari. E quando gli agenti di pastorale prendono questa seconda strada, la Chiesa diventa il supermercato della salvezza e i sacerdoti meri dipendenti di una multinazionale. È la grande sconfitta a cui ci porta il clericalismo. E questo con molto dolore e scandalo (basta andare nelle sartorie ecclesiastiche a Roma per vedere lo scandalo di giovani sacerdoti che si provano abiti talari e cappelli o camici e rocchetti con pizzi).

Il clericalismo è un flagello, è una piaga, è una forma di mondanità che sporca e danneggia il volto della sposa del Signore; schiavizza il santo popolo fedele di Dio.

E il popolo di Dio, il santo popolo fedele di Dio, va avanti con pazienza e umiltà sopportando lo spregio, i maltrattamenti, l’emarginazione da parte del clericalismo istituzionalizzato. E con quanta naturalezza parliamo dei principi della Chiesa, o di promozioni episcopali come avanzamenti di carriera! Gli orrori del mondo, la mondanità che maltratta il santo popolo fedele di Dio.


Rosa, Martha e le altre


«Quando i ministri esagerano nel loro servizio e maltrattano il popolo di Dio, deturpano il volto della Chiesa con atteggiamenti maschilisti e dittatoriali»: la denuncia di Papa Francesco nel suo intervento chiama in causa — è lui stesso a dirlo — la testimonianza presentata da suor Gloria Liliana Franco Echeverri, dell’ordine della Compagnia di Maria Nostra Signora, presidente della Confederazione latino-americana dei religiosi (Clar), durante l’ottava congregazione generale dello scorso 13 ottobre. «Doña Rosa ha settant’anni — aveva raccontato la teologa colombiana — e ogni pomeriggio esce a visitare i malati del suo quartiere, assicurandosi che abbiano cibo e una vita dignitosa. Fino a sei mesi fa portava loro anche la Comunione, ma il nuovo parroco le ha detto che questa non è più una missione per lei. Saranno i ministri dell’Eucaristia a farlo; uomini che sono stati equipaggiati con una divisa colorata”. E Rosa «continua a camminare per le strade del suo quartiere, a visitare gli ammalati, ma non può più portare Gesù Eucaristia, i protocolli lo impediscono». E poi c’è «Martha — aveva detto ancora — che ha completato un dottorato in Teologia, con voti migliori dei suoi compagni maschi. La pontificia università in cui si è laureata ha deciso che non poteva darle un titolo canonico perché è donna, che il suo sarebbe stato un titolo civile. Ma questo è già un risultato, perché fino a pochi anni fa le donne nel suo Paese non potevano studiare Teologia, ma solo Scienze religiose. Altre, tante donne, non hanno posto  nel Consiglio parrocchiale o diocesano, anche se sono maestre, catechiste, coloro che curano le ferite dei malati, che servono i migranti, che guidano i giovani e giocano con i bambini».