
Nadav Kipnis aveva approfittato dei giorni festivi in Israele per trascorrere un fine settimana di svago con la sua ragazza Sharon nel sud di Israele, a Bersheva. Se non avessero deciso di fare quella gita, Nadav non sarebbe qui ora a raccontarci come in quelle ore la sua vita sia stata stravolta per sempre.
Sabato 7 ottobre erano stati svegliati presto dai rumori lontani di esplosioni, ma lui e Sharon non si erano preoccupati più di tanto: chi vive in Israele poco fuori dei confini con Gaza è abituato a quei rumori sinistri e alle fughe negli scantinati protetti. Un’ordinarietà assurda, che però non smuove la convinzione a vivere a Be’eri, un kibbutz che si trova a soli 4,5 chilometri da Gaza. Nadav è nato lì e vi ha sempre vissuto. Suo nonno è stato tra i fondatori di quel kibbutz in un tempo lontano, quando ancora non c’era la guerra. La famiglia di Nadav d’altronde non ha mai sentito di essere parte di una guerra. I kibbutzhim di Be’eri hanno fama di essere gente pacifica che non si dà ragione del fatto che ogni tanto i razzi volino sulle loro teste. La mamma di Nadav è una delle leader del movimento “Women for peace”. «Anche per questo, tutto quello che è poi successo mi era assolutamente inimmaginabile».
Le tracce dei razzi continuano a stagliarsi all’orizzonte e si vede anche del fumo, così Nadav decide di chiamare i suoi genitori: paradossalmente è lui che vuole rassicurare i suoi sulle sue condizioni. Ma i telefoni squillano a vuoto. Lui immagina: avranno lasciato i telefoni di sopra prima di scendere nel rifugio. «Pensai che era meglio allora collegarmi alla app del nostro kibbutz, e dai messaggi che vi comparivano cominciai a capire che qualcosa di molto grave stava accadendo. Case in fiamme, uomini armati che erano entrati nel villaggio, tutti gli abitanti nascosti nei rifugi mentre sopra le case bruciavano. L’unico e ultimo contatto che ho avuto con la mia famiglia è stato con Paul, il fedele badante di mio padre che era molto malato, le sue ultime parole che ho sentito sono state “Stanno entrando! Stanno entrando!”».
Dodici membri della sua famiglia sono risultati dispersi e irraggiungibili. Pochi giorni dopo, Nadav ha ricevuto la notizia che Paul (42 anni), il badante di suo padre, era stato trovato morto. Dopo qualche altro giorno, ha ricevuto la notizia che anche suo padre, Evyatar Kipnis (65), e suo zio, Avshalom Haran (66), erano stati uccisi. È di poco fa la notizia della morte anche di sua madre, Lilach Kipnis (60 anni).
Sette membri della sua famiglia, tra cui sua zia, Shoshan Haran (67), insieme a sua figlia, Adi Shoham (38), suo marito, Tal Shoham (38), e i loro due figli, Yahal Shoham (3) e Neve Shoham (8), sono ancora classificati come rapiti. «Solo più tardi mi è stato detto che anche mio zio è stato ucciso». Sono state rapite anche la sorella di suo zio, Sharon Avigdori (52), e sua figlia, Noam Avigdori (12). Questi zii e cugini erano nel rifugio della loro casa, a poca distanza da loro. Con loro c’erano altre parenti venute da Chicago per celebrare le feste in Israele, Judith Raanan (59) e Nathalie Raanan (17), che sono state anch’esse rapite e poi rilasciate pochi giorni fa.
Come hai saputo che fossero stati rapiti?
Ho ricevuto un video dei loro vicini che erano riusciti a riprendere mentre venivano trascinati via. Non sono più tornato a casa. E penso che non ci tornerò per un po’ di tempo. Ho saputo che più di 100 dei miei amici del kibbutz sono stati uccisi. Ma ora dobbiamo guardare avanti, ora dobbiamo mettere tutta la nostra forza residua per liberare gli ostaggi. Per questo ora sono qui a parlare con te. Questo è ora il mio impegno per onorare mia madre, mio padre, i miei cari: liberare gli ostaggi. Per me questa è la priorità.
Nadav come vivevi a Be’eri?
Io sono laureato in scienze dell’educazione e lavoro come counselor nella scuola del kibbuz. La mia vita è con i bambini. L’idea che alcuni di loro non ci siano più, che la loro grande potenzialità umana sia stata soppressa, mi atterrisce. Così come l’idea che anche quelli che sono stati i miei maestri, che mi hanno educato all’umanità, siano stati uccisi è terribile.
È difficile dover raccontare quello che mi stai raccontando. Ci vuole molto coraggio.
Guarda è inimmaginabile quello che ci è successo. Ma mi risulta inimmaginabile anche la mia reazione. Non avrei mai immaginato due settimane fa di essere qui a parlare di questa tragedia immane. Non sapevo di avere tanta forza dentro. Ma sento che questo è quello che ora devo fare. Ho perso tutto, la mia ragione ora è riportare a casa ciò che resta della mia famiglia. In queste ore mi viene da pensare a mia madre che scrisse un libro per i bambini (anche lei si occupava come me di educazione) su come comportarsi e reagire quando sei colpito da un trauma, da una tragedia come questa. In fondo sto facendo quello che mia madre ha scritto e mi ha insegnato: ritrovare una forza interiore per lottare e non arrendersi.
Lottare per cosa?
Lottare per liberarci dal terrore. Anche in Palestina devono liberarsi dal terrore di Hamas. Lo so che anche in Palestina sono in molti a volere la pace. Ma devono intanto liberarsi di Hamas.
Nadav, sai che questo con cui stai parlando è il giornale del Papa?
Noi ebrei e voi cristiani condividiamo non solo una parte delle Scritture, ma anche un sistema di valori che ci porta a poter dire insieme che quello che è accaduto il 7 ottobre è semplicemente disumano. Voi cristiani avete una grande influenza morale su molta parte del mondo, per questo vi chiedo di far sentire forte la vostra voce: siano liberati e restituiti alle famiglie tutti gli ostaggi. Subito.
di Roberto Cetera