· Città del Vaticano ·

La drammatica fuga dal sud all’ovest dell’Ucraina, le sofferenze indicibili e la fede profonda

Da Mariupol alla rinascita:
la storia di Pavlina
e della sua famiglia

 Da Mariupol alla rinascita: la storia di Pavlina e della sua famiglia  QUO-246
25 ottobre 2023

«La cosa peggiore è stata vedere andare al rogo tutto ciò che avevamo costruito in quarant'anni di vita», racconta la signora Pavlina, la donna di 76 anni scappata all’inizio della guerra insieme al marito da Mariupol, la città nel sud dell’Ucraina rasa al suolo e occupata dall’esercito russo.

Racconta che grazie al sostegno degli altri e alla possibilità di parlarne, oggi riesce a convivere con i ricordi e ad essere ancora più grata per la vita.

Adesso la coppia vive nella regione della Transcarpazia con la nipote Iryna e la sua famiglia. Ha trovato un alloggio grazie al sostegno della Congregazione delle suore di Maria della Medaglia Miracolosa. Nonostante siano passati 20 mesi da quegli eventi, Pavlina ricorda ogni dettaglio. Il 24 febbraio del 2022, gli abitanti di Mariupol, come anche quelli delle altre città ucraine, iniziarono a sentire le prime esplosioni: Iryna, con la sua famiglia, decise di lasciare la città e chiese ai nonni di partire insieme a loro. I nonni decisero di non andare. «Ho 76 anni e — racconta Pavlina — mio marito ne ha 70. Per noi era difficile lasciare tutto, pensavamo che in un paio di giorni la situazione si sarebbe sistemata». Invece, peggiorava ogni giorno. Il 1° marzo nel loro quartiere andarono via luce, gas e acqua. I razzi russi cadevano uno dopo l’altro, distruggevano tutto. «Per proteggerci — ricorda Pavlina — scendevamo negli scantinati, anche se per noi anziani era faticoso. Un giorno, mentre eravamo giù, abbiamo sentito odore di bruciato. Quando siamo saliti, abbiamo visto il nostro palazzo andare in fiamme».

Nel frattempo Iryna era arrivata nella regione della Transcarpazia, nell’ovest del Paese. «Nei primi giorni, nella zona — ricorda la giovane donna — tutti gli alberghi erano pieni. Per un po’ siamo stati ospitati da persone del posto. Per tutto il mese non sapevo nemmeno se i nonni fossero vivi, perché non c'era alcun collegamento». Le immagini di Mariupol distrutta giravano in tutto il mondo. Iryna vide su Internet una foto in cui si scorgeva il palazzo dei nonni bruciato. «Quel mese è stato per me un inferno», dice.

Dopo che il proprio palazzo fu inghiottito dalle fiamme, i nonni di Iryna, come gli altri condomini, non sapevano dove andare. Trascorsero una quindicina di giorni in un grande negozio abbandonato. «Abbiamo dormito sul cartone e — ricorda Pavlina con commozione — sui pezzi di gommapiuma. Nessuno ci procurava né cibo, né acqua. Le donne più giovani riuscivano a trovare qualcosa e condividevano ciò che racimolavano anche con noi». Così si faceva anche con le piccole scorte di cibo. Dopo due settimane, i militari russi permisero alla gente di andare a piedi alla fermata degli autobus, per poi essere trasferita nella zona controllata dall’esercito ucraino. Dopo tre ore e mezzo di camminata, Pavlina e suo marito erano esausti. «Il mio corpo si era gonfiato, anche perché ho soltanto un rene», racconta la donna. Con l’autobus la coppia arrivò a Zaporizhzhia e da lì con il treno a Berdychiv, dove vive la sorella di Pavlina. «Siamo rimasti per un mese e mezzo e ci siamo un po’ ripresi. Nel frattempo — va avanti — mia nipote trovò una casa nella regione della Transcarpazia e andammo a vivere con lei, suo marito e i loro due figli».

La sofferenza subita ha lasciato altri segni in Pavlina: le hanno diagnosticato un glaucoma ad un occhio, probabilmente a causa della polvere. Non dimentica quel vissuto così terribile, però non ha smesso di credere nel bene, non ha perso la fiducia in Dio. «Ho iniziato a credere ancora di più che Dio esiste. Grazie a Dio, siamo riusciti ad uscire da quel terribile inferno, da quell'incubo. Siamo sopravvissuti — afferma — grazie al Signore e alle persone buone». Tra loro, c’è anche Iryna.

di Svitlana Duckhovych