· Città del Vaticano ·

Colloquio con il politico israeliano Benny Begin

I rischi dei civili a Gaza

 I rischi  dei civili a Gaza  QUO-245
24 ottobre 2023

Binyamin “Benny” Begin è un politico israeliano più volte membro della Knesset, il parlamento israeliano, due volte ministro nei governi di Benjamin Netanyahu, ha sempre militato nel Likud o in altre formazioni dello schieramento liberal-conservatore. È figlio di Menachem Begin, che fu primo ministro israeliano dal 1977 al 1983, ricevendo il riconoscimento del Nobel per la pace per aver sottoscritto nel 1978 gli accordi di pace con l’Egitto. In seguito all’invasione del Libano nel 1982, e alle stragi di Sabra e Shatila, nel 1983 Begin padre lasciò l’incarico di primo ministro al suo collega del Likud Yitzhak Shamir. Abbiamo raggiunto Benny Begin nella sua casa di Gerusalemme per chiedergli un’opinione sugli eventi di queste ore.

 

«Credo che la sostanza degli eventi sia molto evidente non solo a tutti gli israeliani, ma a qualsiasi persona onesta e di buona volontà: l’attacco di Hamas è stato abominevole, non ci sono parole per descrivere le atrocità di cui si sono resi colpevoli — afferma in un’intervista a L’Osservatore Romano —. L’ efferatezza delle loro azioni non ha un fondamento politico, né può essere spiegata in relazione ad uno stato di frustrazione e rabbia, ma solo in ragione di una deriva fondamentalista estrema, che legge l’Islam alla stessa maniera dell’Isis. Da Daesh hanno ormai mutuato ideologia e crudeltà. D’altronde basta guardare alla loro carta costitutiva che nei suoi primi due punti afferma la negazione del diritto all’esistenza di Israele, e la discriminazione razziale dell’antisemitismo. Ha un senso parlare di pace in un contesto simile? Due anni fa Hamas tenne un convegno — facilmente rintracciabile su Internet — intitolato “The day after”. Dove per giorno dopo si intende quello successivo alla loro conquista delle terre di Israele e della realizzazione dello stato di Palestina “dal fiume al mare”. Il tema del convegno era: quali sono gli ebrei che il giorno dopo è necessario eliminare fisicamente, e quali no».

Quindi lei vede prevalente l’aspetto del carattere religioso dell’azione di Hamas? E le condizioni di vita dei palestinesi nei territori occupati?

No, io vedo anche la subordinazione e strumentalizzazione degli interessi palestinesi ai disegni di altri paesi arabi. Penso al ruolo, ormai manifesto, che in questi eventi hanno l’Iran e il Qatar. D’altronde la strumentalizzazione della questione palestinese da parte di altri paesi arabi non è cosa nuova nella loro storia. E gli è sempre finita col nuocere.

Cosa pensa della clamorosa debacle della difesa israeliana e della sua intelligence?

Penso che ci sarà tempo e modo per comprendere cosa è successo. E sarà fatto seriamente e approfonditamente. Ma non è questo il tempo. Ora tutta Israele deve essere unita nell’azione militare di difesa, e per mettere Hamas in condizione di non nuocere più alle nostre esistenze individuali, e del nostro paese. Personalmente, non ho alcuna informazione che mi consenta di rispondere alla sua domanda.

Non teme che la risposta di Israele possa concretizzarsi in una reazione militare eccessiva? Non la preoccupano le condizioni dei civili che vivono a Gaza?

L’operazione è in preparazione. E il fatto che siano già trascorsi 12 giorni dal vigliacco attacco di Hamas significa che la preparazione è meticolosa. Anche in relazione ad eventuali danni che può provocare sui civili. Il rischio ovviamente c’è, ma ora mi sembra difficile scorgere alternative diverse dall’ingresso dei militari israeliani a Gaza e alla neutralizzazione dei terroristi di Hamas. Sicuramente si dovrà misurare l’operazione in relazione agli obiettivi: Israele non agisce per rabbia o vendetta. Piuttosto sposterei questo discorso dei pericoli dei civili sul campo avverso. Irresponsabili sui pericoli per i civili sono innanzitutto i capi e i miliziani di Hamas, che si sono già nascosti nei reticoli dei tunnel che hanno costruito negli anni, lasciando i civili fuori, ed impedendogli di uscire dai canali umanitari verso l’Egitto. 

di Roberto Cetera