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La messa nella basilica di San Pietro e i lavori nell’Aula

Al servizio della missione

 Al servizio della missione   QUO-240
18 ottobre 2023

La vita e l’opera di san Luca «mostrano una mentalità sinodale» e indicano «cosa dobbiamo ricordare durante il nostro lavoro». Lo ha sottolineato l’arcivescovo di Vilnius e presidente del Consiglio delle Conferenze episcopali europee (Ccee), monsignor Gintaras Grušas, durante la messa celebrata per i partecipanti al Sinodo, nella basilica di San Pietro, mercoledì mattina, 18 ottobre, memoria liturgica dell’evangelista.

Delineando i tratti della sua personalità, il celebrante ne ha evidenziato prima di tutto «la fedeltà e la forza d’animo»: infatti, il santo medico e patrono degli artisti rimane fedele, come testimoniato da Paolo nella seconda Lettera a Timoteo: «solo Luca rimane con me». Anche i membri sinodali sono «chiamati a rimanere fedeli nell’impegno di camminare insieme nella vita della Chiesa e nelle difficoltà del cammino, anche quando non è chiaro dove Dio ci sta portando a breve termine», ha commentato l’arcivescovo lituano.

D’altra parte, ha aggiunto, san Luca è «l’evangelista mariano per eccellenza, che tiene la Madre di Dio davanti ai nostri occhi e il suo Magnificat che loda l’opera del Signore sulle nostre labbra ogni giorno nella liturgia delle ore». In effetti, Luca sottolinea «spesso il ruolo importante delle donne nella vita della Chiesa e nell’annuncio della Buona Novella»; non solo Maria, ma anche «la samaritana al pozzo che annunciò il Messia, Maria Maddalena, la prima ad annunciare il messaggio della Risurrezione», così come le varie donne che, negli Atti degli apostoli, «assistono la crescita della Chiesa primitiva».

L’evangelista, ha aggiunto il presule, è inoltre colui che «meglio di tutti descrive i tratti del Cuore di Gesù» e «rivela l’immensità della misericordia divina». Egli mostra come «Dio faccia sempre il primo passo verso il peccatore». Sia nel suo Vangelo sia negli Atti, Luca testimonia «che è lo Spirito Santo il protagonista della vita e della crescita della Chiesa, così come deve esserlo nel guidare il nostro processo sinodale». Se stesse «documentando il Sinodo, grazie a Dio, troverebbe molti dei temi da lui privilegiati in prima linea nelle nostre deliberazioni di questi giorni», ha osservato il presule. Nell’annuncio del Regno, ha detto ancora il presidente del Ccee, «l’uguaglianza di tutti i battezzati viene in primo piano: tutti sono chiamati a questo, non solo i ministri ordinati». Tuttavia, è importante che «tutti i battezzati sentano questa chiamata, questa vocazione e vi rispondano, impegnando la loro vita, le loro parole e le loro azioni nella missione di Gesù». Per questo si deve «continuare a pregare».

D’altra parte, la pace interiore è «il segno della ricezione e dell’accoglienza della misericordia di Dio: il Signore risorto offre questa pace ai suoi apostoli». Il presule ha concluso, ribadendo che la sinodalità, «comprese le sue strutture e le sue riunioni, deve essere al servizio della missione di evangelizzazione della Chiesa e non diventare fine a se stessa, proprio come la Parola di Dio che san Luca ci ha aiutato a trasmettere, è stata fornita come strumento per la nostra salvezza».

Successivamente, i sinodali si sono ritrovati nell’Aula Paolo vi per la dodicesima congregazione generale, apertasi con la preghiera e con l’introduzione del cardinale segretario generale Grech. Quindi dopo l’articolata relazione del cardinale Hollerich (ne pubblichiamo integralmente la traduzione italiana nella stessa pagina), sono seguite due riflessioni: una biblica offerta dal domenicano Timothy Radcliffe, assistente spirituale al Sinodo, e una teologica da parte di Dario Vitali, coordinatore degli esperti teologi.

In inglese, Radcliffe ha sottolineato che l’evangelista Luca racconta — nel capitolo 15 degli Atti degli apostoli — del concilio di Gerusalemme, «chiamato ad affrontare la prima grande crisi della Chiesa», la quale era «profondamente spaccata». In effetti, «all’interno della Chiesa di Gerusalemme i farisei convertiti sono divisi dagli altri, e gli apostoli guidati da Pietro sono probabilmente divisi dagli “anziani” che guardavano a Giacomo, il fratello del Signore». Così la Chiesa «affrontò una crisi di identità che supera qualsiasi cosa possiamo immaginare oggi».

«Noi maturiamo attraverso le crisi, da quella della nascita a quella della morte» ha affermato. Se dunque «accogliamo le crisi con speranza, fioriamo»; ma «se cerchiamo di evitarle, non cresciamo mai». Negli Atti, ha spiegato il domenicano, gli apostoli e gli anziani si riunirono per esaminare la questione. La Chiesa «è sempre riunita, come lo siamo noi oggi nel Sinodo». La parola greca che indica la Chiesa, ekklesia, significa infatti “raduno”: si è «riuniti nell’Eucaristia per essere inviati», «per scoprire la pace tra noi» e andare «ad annunciarla al nostro povero mondo, crocifisso da una violenza sempre maggiore, in Ucraina, in Terra Santa, in Myanmar, in Sudan e in tanti altri luoghi». Il domenicano ha sottolineato che oggi «il nostro Dio sta già facendo nascere una Chiesa che non è più principalmente occidentale: una Chiesa cattolica orientale, asiatica, africana e latino-americana». È una Chiesa in cui «le donne stanno già assumendo responsabilità e stanno rinnovando la nostra teologia e spiritualità». I giovani di tutto il mondo, «come abbiamo visto a Lisbona, ci stanno già portando in nuove direzioni, nel Continente digitale».

Da parte sua, il teologo italiano Vitali ha sottolineato come una Chiesa che voglia essere ad extra, «sacramento universale di salvezza» per il mondo, è sempre chiamata a essere e a pensarsi ad intra come «sacramento di questa unità salvifica». Ma può questa categoria, che «certamente spiega la dimensione misterica della Chiesa», essere applicata a temi come «partecipazione, responsabilità, autorità»? In proposito il sacerdote ha osservato: «sappiamo tutti che il capitolo de populo Dei costituisce la “rivoluzione copernicana” dell’ecclesiologia conciliare». Infatti, «prima delle funzioni viene la dignità dei battezzati; prima delle differenze, che stabiliscono gerarchie, sta l’uguaglianza dei figli di Dio». In questo senso, «affermare la pari dignità di tutti non significa negare le differenze: la Chiesa è il corpo di Cristo, vivo e bello per la varietà dei doni, dei carismi, dei ministeri, delle vocazioni».

Affermare «due forme di partecipazione al sacerdozio di Cristo ordinate l’una all’altra significa riconoscerne la diversità complementare, che li rende irriducibili l’uno all’altro». In realtà, la sinodalità «altro non è che la communio stessa della Chiesa in quanto Popolo santo di Dio. Sinodalità e communio si identificano, a patto di comprendere la Chiesa come popolo di Dio in cammino».

La mattina si è conclusa con tre testimonianze. La prima, del vescovo di Troyes, monsignor Alexandre Joly, membro del Sinodo per la Conferenza episcopale francese, il quale ha condiviso la sua esperienza appena nominato pastore della diocesi. In particolare, ha detto che quando ha consultato i sacerdoti, i diaconi e i vari leader laici «per sapere quale nuovo vicario generale scegliere», alcune delle risposte sono state che avrebbe dovuto essere «un diacono o un laico». Ma ciò, non è «consentito dal diritto canonico», quindi si è convinto «a chiamare un’altra persona accanto al vicario generale, un delegato generale». Di recente «si era resa disponibile una fedele laica, riconosciuta da tutti per il suo impegno e la sua competenza al servizio della diocesi». E ora ella agisce come «moderatore della Curia per i servizi pastorali e supervisiona la trasformazione pastorale e missionaria della diocesi».

La seconda testimonianza, in inglese, è stata quella di monsignor Shane Anthony Mackinlay — vescovo di Sandhurst e membro del Sinodo per la Conferenza episcopale australiana — il quale ha parlato del consiglio plenario d’Australia che si è svolto dal 2018 al 2022. Per molti aspetti, ha spiegato, «è stato più simile a un sinodo che a un consiglio: ha utilizzato un processo molto sinodale e solo alcuni elementi dei decreti finali erano strettamente legislativi». Il processo, ha detto, «è iniziato con una consultazione molto ampia che ha coinvolto 220.000 persone».

Infine, nella terza testimonianza, sempre in inglese, la filippina Estela P. Padilla — membro non insignito del munus episcopale, testimone del processo sinodale, e rappresentante della Federazione delle Conferenze Episcopali dell’Asia (Fcea) — ha sottolineato che il suo più grande apprendimento in questo Sinodo è il «discernimento comunitario». Si è resa conto che il processo decisionale, «un’importante funzione di governo», può dare «gloria a Dio solo quando attraversiamo e cresciamo in un processo di discernimento spirituale comunitario». In questo senso, «camminare a piedi nudi davanti allo Spirito significa essere radicalmente aperti nel percepire la volontà di Dio per il nostro tempo».