· Città del Vaticano ·

La buona Notizia
Il Vangelo della XXIX domenica del tempo ordinario (Mt 22, 15-21)

Liberi per seguire Cristo

 Liberi per seguire Cristo  QUO-239
17 ottobre 2023

«Perché mi mettete alla prova, ipocriti?» (Matteo, 22, 18). La liturgia della prossima domenica ci propone un brano evangelico dal messaggio incontrovertibile. Narrativamente il passo è collocato in un momento del vangelo matteano dalle forti tinte drammatiche: Yeshua è a Gerusalemme, nell’area del Tempio (21, 23). Fin dal giorno precedente, giorno del suo arrivo nella città santa, gli scontri “teologici” che il maestro di Galilea ha con le classi religiose gerosolimitane sono violenti. Il rabbi Yeshua entra a Gerusalemme osannato dalla folla (21, 1-11); giunto all’interno del Tempio ribalta i banchi dei cambiavalute, scaccia i mercanti e, citando Isaia prima e Geremia poi, invoca la preghiera nella casa di Adonai (il Tempio); chiama ladri quanti in essa rubano, facendola diventare un mercato religioso a cielo aperto (21, 12-13). Cura ciechi e zoppi, inquietando così ancora di più i capi dei sacerdoti e gli scribi che, nel frattempo, continuano a udire bambini gridare: «Osanna al Figlio di David» (21, 15).

Dopo aver lasciato le classi religiose nel pieno turbamento, il rabbi pernotta a Betania con i suoi. L’indomani maledice un fico che trova senza frutti (21, 18-19), probabile simbolo, quel fico, dei frutti che Yeshua sente di non raccogliere in mezzo alle classi religiose del popolo eletto. Tornato al Tempio il maestro è presto avvistato e messo alle strette dagli scribi e dai capi dei sacerdoti; a questo punto racconta la parabola del padrone di una vigna e del figlio suo gettato fuori dalla vigna e ucciso dai contadini: «Questi è l’erede! Venite, uccidiamolo e impadroniamoci della sua eredità» (21, 38); e quella degli invitati che decidono di non presentarsi alle nozze del figlio del re: «La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non ne erano degni» (22, 8).

Nel racconto di tutte queste parabole, farisei, scribi e capi dei sacerdoti si sentono molto chiaramente chiamati in causa. Secondo l’evangelista essi interpretano con maestria il messaggio tra le righe; sarebbero loro, secondo Yeshua, a macchiarsi del crimine più grande di tutti: respingere il suo annunzio, respingere lui, l’inviato del Padre.

Ed è proprio qui che si situa il passo evangelico della prossima domenica, che pare avere al centro la disputa tra potere politico e quello divino. «Allora i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù. E gli inviarono i loro discepoli, insieme agli erodiani, a dirgli: “Maestro, sappiamo che sei sincero e insegni la via di Dio in verità, e che non ti lasci influenzare da nessuno, perché non guardi all’aspetto degli uomini. Dicci dunque che te ne pare: è permesso dare il tributo a Cesare oppure no?”. Ma Gesú, avendo compreso la loro malizia, rispose: […] “Rendete ciò che è di Cesare a Cesare, e ciò che è di Dio a Dio!”» (Matteo, 22, 15-21).

Domenica prossima gran parte dell’omiletica volta a commentare questo passo probabilmente si concentrerà sulla doverosa distinzione che il buon cristiano ha da compiere tra potere mondano e potere divino; spingerà in certo modo verso un’interpretazione spiccatamente moraleggiante del passo, e disquisirà sulla necessità per il buon cristiano di essere libero dai beni terreni per seguire il Cristo. Qui pongo l’accento, invece, sulla significatività di un messaggio molto più profondo, nascosto nella trama narrativa in senso ampio: il maestro di Galilea è nel pieno del suo dramma. È, secondo l’evangelista, radicalmente respinto dalla classe religiosa del suo popolo; si sta avviando verso il tragico epilogo della sua missione, è travisato, osannato, stretto da ogni parte; si cerca di farlo cadere, per coglierlo in fallo e condurlo alla morte. Noi, magniloquenti classi religiose di questo nostro oggi, innanzi a questo vangelo, da che parte ci poniamo? 

di Deborah Sutera