· Città del Vaticano ·

Bailamme

Nessuno prega in prosa

 Nessuno prega in prosa  QUO-236
13 ottobre 2023

Ho un amico che si professa «ateo incoerente», perché dice che, se anche non crede, ogni tanto gli scappa di pregare. Non sa bene perché questo accade, ma si accorge che pregare in qualche modo lo fa stare bene, gli fa bene.

Al mio amico piace la musica ed è fissato con il ritmo come elemento che ne è alla base. Certamente la musica non può prescindere dal ritmo, come del resto la poesia, che infatti è canto, cioè musica, quindi ritmo. Ma a ben vedere anche la preghiera, che non a caso somiglia spesso alla poesia, segue sempre un ritmo. Ovvero una metrica, che in ogni religione, in ogni lingua, non fa altro che assecondare il ritmo del nostro respiro (per noi il metro giusto è quasi sempre quello dell’irrinunciabile endecasillabo).

Chi prega, anche quando lo fa senza premeditazione, disordinatamente, così come viene, deve comunque porsi intimamente in una condizione di intonazione, deve mettersi in quella dimensione dinamica della mente e dello spirito, ma sempre avendo sottotraccia un ritmo. Insomma, deve assecondare la pulsazione profonda, emozionale o spirituale che sia, deve starci dentro. E nel farlo assume verso il mondo una postura composta, per stare in quello spazio e soprattutto nel tempo.

La poesia, la musica, la preghiera, almeno come fatti umani, hanno molto in comune. Quando le avviciniamo, sentiamo un ordine elementare e istintivamente lo seguiamo, scandiamo bene le parole e la loro dinamica sonora, battiamo il piede seguendo la melodia e ci rivolgiamo al Signore cercando un’armonia. In ogni caso, lo facciamo senza pretese, semplicemente perché sentiamo che ci provoca un benessere. La musica ha un potere evocativo enorme, bastano due note per immergerci in una atmosfera nuova.

La libertà della poesia ci consente di esprimere quello che vogliamo senza condizionamenti, di dire anche l’indicibile. La preghiera certamente non funziona come un bancomat; cioè, non è che se preghiamo bene e intensamente e accoratamente, poi dal cassettino esce fuori quanto richiesto. La preghiera (anche quando nasce in contesti di sofferenza) ci consente di trascendere la realtà e in primis la nostra natura, per accedere a una percezione diversa, affidarsi a una consapevolezza sottile e profonda. Così, al mio amico ho risposto: vedi la preghiera non è una pratica amorfa e polverosa. Anzi, la preghiera ha ritmo. Conseguentemente, chi prega va sempre a tempo. E infatti, nessuno prega in prosa. 

di Nicola Bultrini