· Città del Vaticano ·

La XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi
La meditazione di suor Maria Ignazia Angelini

Nello spirito della “minorità” di Francesco d’Assisi

 Nello spirito della “minorità” di Francesco d’Assisi  QUO-229
05 ottobre 2023

Di seguito il testo della meditazione offerta ai presenti dalla religiosa benedettina Maria Ignazia Angelini.

Abbiamo intronizzato il Vangelo. Dal Vangelo scaturisce ogni nuovo inizio, la luce e la forza per viverlo. Non si può iniziare se non dal Vangelo.

«Sì, Padre!». Questo grido di giubilo di Gesù, al cuore del Vangelo di oggi (Lc 10, 21-22), al cuore dell’Eucaristia, è la grazia che ci convoca qui ora come sua chiesa, grazia che precede, converte e rigenera ogni passo e conversazione, tutto l’intenso lavorio che ci ha condotti fin qui. Apre la via, dà il passo per procedere oltre.

Il “sì” del Figlio che è dall’Inizio (Gv 1, 1-2.18), segna la sua venuta nel mondo (Eb 10, 5), — è stato pronunciato “in quel preciso momento” — ed oggi, qui è confermato in preghiera, nel giubilo dello Spirito. Un “sì” provocato in Gesù, il Figlio amato, dalla sorprendente percezione della eudokia del Padre: Dio non si lascia intralciare dai rifiuto dei potenti e degli intelligenti, rivela il suo mistero ai piccoli.

Accogliamo questo “sì” del Signore Gesù in timore e gioia grande al cuore di questo inizio: «In lui c’è stato — e c’è — solo il “sì”» (2 Cor 1, 19), fino all’ultimo. Così, oggi, nel “sì” del Figlio, Gesù, Dio nuovamente si rivela, agisce nella Chiesa, nella storia. Così il suo Spirito si muove — tenace, generativo — negl’intricati percorsi della comunicazione umana, nel groviglio degli eventi della storia, nei patimenti dei poveri, nell’inquietudine di chi ricerca, nella apertura dei piccoli.

Anche oggi: il «Sì, Padre!», di Gesù attualizzato nell’Eucaristia, ci raduna, ed è la nascosta forza di questa convocazione, che viene dall’Alto: «Venite a me, voi, tutti…!».

Misterioso intreccio di controversi sentimenti sembra animare il “sì” di Gesù, in un preciso momento della sua storia, lo sappiamo dalla narrazione evangelica.

Gesù aveva appena espresso un accorato lamento per l’ottusità incredula delle città del lago — ma qui si svincola da ogni delusione risentita, e benedice. È questa la giustizia di Dio, la nuova giustizia.

Gesù ringrazia, benedice: e con la sua mitissima autorità c’insegna l’arte di benedire, che potrebbe essere il cantus firmus, la corda di recitazione di questa Assemblea. “Benedire in ogni tempo” (Sal 34, 2: vedi s. resp.). Gesù, in un contesto che lo attornia e anzi lo stringe, che disprezza e rifiuta l’annuncio del Regno, benedice: e così esorcizza, trasfigura il dubbio del precursore, e il rifiuto delle città del lago, sua terra di elezione (Mt 11, 1-24). La grande, autorevole, mitissima rivelazione del Figlio ci convoca. Che come tale si riverbera sui nostri cammini, li spalanca: anche e proprio, oggi, al percorso sinodale.

«Ai piccoli hai rivelato… Venite!». I piccoli, ecco la forza dinamica della sinodalità, da riscoprire per noi, in noi, generazione stressata e dispersa in conversazioni, talora davvero estenuanti. San Francesco è ancora oggi per noi testimone luminoso, eloquente della piccolezza, della minorità beata generata dalla convocazione del Figlio. Non diamo per scontato il suo messaggio volto a riedificare la Chiesa.

«Sì, Padre!»: da Gesù, a Francesco. Da stupore a stupore. A noi. Sapremo accoglierlo e lasciarci convocare?

Insofferente a una società litigiosa, il giovane Francesco, il giullare di Dio, ardito nella sua passione per Madonna Povertà, confuso con gli eretici e perseguitato, egli persegue, sulle orme di Gesù, la perfetta letizia. La differenza rispetto a eretici e contestatori divisivi è in lui limpida, disarmante: l’umile amore trova linguaggi sorprendenti, semplicissimi, in lui, che aveva compreso la chiamata di Dio a farsi come “quendam pazzus”. Ma quale follìa?

Illuminato da un sogno sulla sua missione di convocare nuova realtà ecclesiale, Francesco si paragona a una chioccia nella cura per i suoi fratelli: una minuscola chioccerella nera, troppo piccola per custodire sotto le sue ali i suoi, e perciò vitalmente legata alla grande chiesa. E anche nell’ora in cui si profilava lo sfiguramento dai suoi ideali — spossessato dei suoi progetti che pure aveva arditamente concepiti, la passione per l’altissima povertà — Francesco rimane fedele a quel Mite e quell’Umile che l’aveva convocato in nome del «qui sta perfetta letizia». E oggi Francesco apre, dà il passo a questo alto consesso.

Nella sua Settima Ammonizione Francesco richiamava con parole di fuoco l’Apostolo: «La lettera uccide, lo spirito invece dà vita» (2 Cor 3, 6). «Sono morti a causa della lettera coloro che unicamente bramano sapere le sole parole, per essere ritenuti i più sapienti in mezzo agli altri e potere acquistare grandi ricchezze e darle ai parenti e agli amici. Così pure sono morti a causa della lettera quei religiosi che non vogliono seguire lo spirito della divina Scrittura, ma piuttosto bramano sapere le sole parole e spiegarle agli altri. E sono vivificati dallo spirito della divina Scrittura coloro che ogni scienza che sanno e desiderano sapere, non l’attribuiscono al proprio io, ma la restituiscono, con la parola e con l’esempio, all’altissimo Signore Dio, al quale appartiene ogni bene». Restituire la Parola — ecco l’anima della conversazione spirituale.

Auguro ai partecipanti lo spirito di questa minorità rivelata da Gesù e ben incarnata da Francesco. Come commentava Padre Ghislain Lafont: «Questa piccolezza non è infantilismo. È la radice ancora fresca e tenera del nostro essere più profondo. Una sorta di disponibilità non condizionata a dove possiamo arrivare, che permette di accogliere senza calcoli ciò che accade, di prendere tutto “di buon grado”. Siamo allora messi sul cammino della sapienza, della visione di Dio nelle vicissitudini umane, di ciò che Gesù, che conosce il Padre, vuole rivelarci. Ne risulta una prossimità rispettosa verso tutti gli esseri umani, a cominciare dai più vicini» — che arriva sino al segno della mitezza — far posto all’altro, creandogli lo spazio in cui venga a se stesso.

«Sì, Padre...“Adsumus!”». La preghiera d’inizio, non ripropone forse questa postura? Si tratta di acconsentire — ma non a denti stretti perché non c’è alternativa — bensì benedicendo e rendendo grazie, a un Dio radicalmente “altro” nelle modalità del suo agire salvifico, che rivelano un beneplacito, un “bene che piace”. L’“eccomi!” di Abramo, di Mosè, di Isaia, di Maria, risuonano nel “sì” di Gesù e si riflettono limpidamente in Francesco.

Siamo chiamati ad ascoltare — attraverso, e oltre, la conversazione tra noi — il Figlio amato che ci convoca all’anapausis come sa darla lui, al riposo di una accettazione mite e umile della realtà,...

Siano fecondi questi giorni che ora si inaugurano — di un’Assemblea Universale! — aperti alla Grazia di quella convocazione: «Venite a me, voi tutti!». Sensibili alla perfetta letizia del Figlio che benedice, e alla perfetta letizia dei piccoli che ne ricevono rivelazione.

La pienezza della gioia è affidata alle mani e al cuore di quegli stanchi e oppressi che cercano riposo e sollievo nella mitezza e nell’umiltà di Cristo, portando su di sé il suo giogo dolce e il suo peso leggero. Ma solo a chi fa spazio allo spirito di benedizione e di ringraziamento sarà dato di riconoscere l’agire di Dio nella storia, e di comprendere il linguaggio degli altri, di vedere Dio all’opera nel mondo, perché Dio «rivela agli umili i suoi segreti» (Sir 3, 20), fa loro conoscere la sua volontà (Ps 25, 14).