· Città del Vaticano ·

In ascolto
di un “filo sonoro di silenzio”

 In ascolto  di un “filo sonoro  di silenzio”  QUO-227
03 ottobre 2023

«La verità», ha detto Papa Francesco nell’omelia della Veglia ecumenica di preghiera di sabato scorso, in vista del Sinodo che comincerà mercoledì 4 ottobre, «non ha bisogno, per giungere al cuore degli uomini, di grida violente. Dio non ama i proclami e gli schiamazzi, le chiacchiere e il fragore: preferisce piuttosto, come ha fatto con Elia, parlare nel «sussurro di una brezza leggera» (1 Re 19, 12), in un “filo sonoro di silenzio”». E ha ripetuto questa espressione: un filo sonoro di silenzio. Il silenzio ha infatti un suono, un sussurro, una voce. Si tratta di sintonizzarsi con quella voce. Non è facile farlo nel frastuono dei suoni di oggi, suoni che sono grida, gossip, pubblicità, post, video, immagini.. non è semplice trovare la lunghezza d’onda di quel filo sonoro di silenzio, eppure se l’uomo ci riesce allora le sue parole e le sue opere saranno piene, feconde, ricche di significato. Quel filo infatti tiene insieme le opere e le parole che diventano generative, creative.

All’inizio della creazione da parte di Dio troviamo un’immagine potente: «La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque. Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu» (Gn 1, 2-3). Una scena avvolta nel silenzio che viene spezzato dalla parola creatrice di Dio. Si intuisce che il silenzio è come il grembo della parola, una forza che cova, custodisce e poi lascia esprimere, quasi esplodere la parola in tutta la sua pienezza.

Come ha ricordato Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero per la comunicazione, nella conferenza stampa di presentazione del Sinodo citando la lettera pastorale Effatà del cardinale Martini (ripubblicata in parte ieri su queste pagine): «Ogni comunicazione autentica nasce dal silenzio. Infatti ogni parlare umano è dire qualcosa a qualcuno: qualcosa che deve anzitutto nascere dentro».

Così pure la vita di Gesù sembra ripetere lo stesso schema: innanzitutto c’è un lungo silenzio, di circa trent’anni, la vista nascosta di Gesù a Nazareth, e solo successivamente c’è la parola audace e potente che viene lanciata nel mondo: il regno di Dio è vicino! È molto breve la vita pubblica di Gesù, quella della predicazione, rispetto alla lunga parentesi silenziosa, un po’ come il concerto di un musicista dopo settimane di prove, come una recita per l’attore, come l’incontro di boxe per il pugile che si allena per lunghi mesi. Così dovrebbe essere il parlare umano, la realizzazione di un capolavoro che solo giustifica l’interruzione del silenzio.

Ma il silenzio non è solo questo grembo fecondo per una parola bella, buona, vera. A volte è anche fratello dell’ombra e dell’oscurità, a volte è un silenzio che nasce dall’ammutolimento. «Oggi sulla terra c’è grande silenzio, grande silenzio e solitudine» recita un’antica omelia per il Sabato Santo, il giorno a-liturgico del calendario cristiano, «Grande silenzio perché il Re dorme: la terra è rimasta sbigottita e tace perché il Dio fatto carne si è addormentato». Il Sabato Santo è il giorno senza parola, senza la Parola, Gesù, che giace morto nel sepolcro. È il momento del silenzio di Dio. È forse questa l’immagine di tutta la storia umana, questo viaggio degli uomini oranti, che parlano ad un Silenzio (per dirla con Karl Rahner) eppure continuano a camminare sperando in un nuovo ascolto che spezzi l’inquietante silenzio. Perché anche il silenzio del Sabato Santo non è disperato, ma aperto alla luce della Domenica di Pasqua, perché nella sua discesa nell’abisso della morte Gesù «ha svegliato coloro che da secoli dormivano» prosegue l’antica omelia, «Dio è morto nella carne ed è sceso a scuotere il regno degli inferi».

Bene prezioso, potente e fragile il silenzio va custodito, con l’atteggiamento proprio della custodia: la fede. Quella fiducia espressa efficacemente dalla breve parabola del seme che Gesù racconta nel Vangelo di Marco: «Il regno di Dio è come un uomo che getta il seme nella terra; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa. Poiché la terra produce spontaneamente, prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga. Quando il frutto è pronto, subito si mette mano alla falce, perché è venuta la mietitura» (Mc 4, 26-29)

Domani la Chiesa inizierà un’avventura grande, quella del Sinodo sulla sinodalità, una sfida alta e impegnativa che si può affrontare solo con questa fede che il seme fiorirà e che la verità poi non ha bisogno, per giungere al cuore degli uomini, né di proclami né tantomeno di grida violente. 

di Andrea Monda