
Come quotidianamente per la Chiesa in preghiera il giorno si apre con la benedizione, così anche un evento significativo come il Sinodo in cui essa è radunata è chiamato «a ricevere, ad assumere il passo e il proprio ritmo quotidiano dal mistero che celebra». È sulla parola “benedire” che suor Ignazia Angelini, religiosa benedettina, ha incentrato la meditazione che oggi, lunedì 2 ottobre, durante il ritiro spirituale a Sacrofano, ha introdotto la celebrazione delle Lodi.
«Ogni mattina la Chiesa in cammino anzitutto benedice», ha sottolineato la religiosa; e «mai e poi mai dovrà perdere di vista questa consegna» che Gesù le ha insegnato più volte. Il benedire, infatti, «raccoglie e condensa come in una sintesi suprema ogni parola di Gesù, ogni rito memoriale mediante il quale Egli rimane nella sua Chiesa»; la quale è pertanto chiamata tutti i giorni a questo «esercizio elementare della fede» in virtù di una scelta fatta alle origini, una scelta carica di futuro «nel ricevere dalla preghiera e assumere il Benedictus quale vademecum e stile della propria chiamata a essere “homo vivens, gloria Dei” (Ireneo, Adversus haereses, iv , 20, 7)». Un esercizio fondamentale, questo, per non cadere nell’atteggiamento contrario — ha ammonito suor Angelini — che è quello della «ragione calcolante e strumentale» che «guarda la realtà per cercarne il dominio attraverso congetture e strategie», togliendo ogni spazio al confronto e strumentalizzando «l’altro, le situazioni, il creato».
Il Benedictus invece è capace di offrire, «con stupenda densità simbolica, l’avvio per il cammino» come ricorda il brano evangelico di Zaccaria: «da sacerdote incredulo e quindi muto, incapace di benedire il popolo, Zaccaria è trasformato dallo Spirito in profeta che esultante benedice», ha evidenziato la religiosa. Un “infante” con il cuore di puer che gli «consente di benedire pur appartenendo a un mondo umiliato dal disfacimento», proprio come la Chiesa tutta è chiamata a fare, per procedere sulla via della pace.
La partecipazione all’Assemblea sinodale, con le sue tensioni e le sue speranze, e l’apertura al possibile e all’impossibile, impegna a rispondere alla domanda che Gesù rivolge ai suoi apostoli nella parabola dei due figli: «Che ve ne pare?». Su questo tema si è articolata la meditazione di ieri sera, con cui madre Angelini — introducendo la celebrazione della messa — ha rimarcato la necessità dell’apporto di ciascuno alla vigna del Signore. Dalla risposta negativa del figlio, che inizialmente rifiuta di lavorare, viene la speranza, ha puntualizzato la religiosa. Nel suo cambiare idea, infatti, possiamo «vedere tutte le complesse tappe del processo della Chiesa sinodale, oltre i sì e i no di facciata». Si tratta, in sostanza, «di cambiare modo di sentire, di cambiare l’orientamento del sentire profondo, degli interessi vitali, delle aspirazioni motivanti», guidati dall’«autorità della mitezza»; ma anche di lasciarsi precedere, come Gesù più volte ha insegnato, da chi sembra inadeguato ma è in grado di aprire il cammino. Compito della Chiesa è allora «percepire l’attesa e la forza rivelativa di questa presenza che ci sollecita, e che ci schiude il cammino».
Il Cristo faro del percorso sinodale e il suo incontro con lui, pietra scartata, è stato il concetto base della meditazione tenuta dalla religiosa ieri mattina in occasione della recita delle Lodi. La Chiesa sinodale, ha fatto presente la religiosa, non è solo quella in cui «ci confrontiamo scambiandoci pareri», ma anche e soprattutto quella in cui «da capo attingiamo nuovamente al Fondamento». E quella “voce” cui concordare lo spirito, secondo san Benedetto, in concreto sono i Salmi, dove l’invocazione diviene rivelazione. Nel Salmo 117 (118), in particolare, ha osservato la religiosa, il procedere del canto coinvolge tutti, piccoli e peccatori, come un gigante richiamo: l’orante chiama “tutti” a raccolta per «avviare, un cammino festoso, un “sinodo” potremmo dire» sui passi della pietra scartata e verso la pienezza della vita ecclesiale.