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La beatificazione a Piacenza del martire don Giuseppe Beotti

Uomo di carità

 Uomo di carità  QUO-225
30 settembre 2023

«Se mancasse ancora un sacrificio per far cessare questa guerra, Signore, prendi me!»: parole di don Giuseppe Beotti alla messa domenicale del 16 luglio 1944, a Sidolo (Parma). I soldati tedeschi stanno arrivando e le formazioni partigiane si sono disperse sui monti. Don Giuseppe è consapevole dell’importanza e della serietà di quell’offerta, l’ha maturata nel tempo, fino a sentirla necessaria, compimento della sua missione di pastore. Verrà ucciso in odium fidei il 20 luglio successivo. Nel pomeriggio di oggi, 30 settembre, nella cattedrale di Piacenza, il cardinale Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero delle cause dei santi, in rappresentanza di Papa Francesco, lo beatifica.

Giuseppe Beotti nasce alla vigilia della prima Guerra mondiale il 26 agosto 1912 a Gragnano Trebbiense (Piacenza). I genitori erano braccianti agricoli. La sua crescita umana è segnata indelebilmente dal dolore del conflitto. I reduci, la mancanza di lavoro, il dolore delle famiglie dei caduti: in questo ambiente trascorre i suoi primi anni. Dalla vita in comune del grande cortile, dall’ambiente semplice e rurale di Gragnano, dalla dignità dei suoi genitori, impara a conoscere l’uomo e a farsi prossimo.

Sente da adolescente la chiamata al sacerdozio e da subito, a causa delle difficoltà di salute ed economiche, capisce che il servizio al popolo di Dio impone dolore ed esige di sperimentare le sofferenze di Cristo. Impara a sorridere davanti a tutto quello che potrebbe sembrare difficile o impossibile. Affronta in pace i ricoveri in ospedale, la malattia ai polmoni: dovrà stendere la mano all’elemosina per pagare la retta annuale del seminario. Tutti questi abbassamenti non lo scoraggiano, ma lo confermano della verità della sua chiamata a seguire Gesù debole e povero.

Don Beotti fu giudicato un uomo di carità da tutti quelli che hanno testimoniato sulla sua vita. Quest’espressione rischia di relegare le persone a cui è attribuita in un’aurea di “specialità” che la Chiesa non riconosce. Non si ha la carità per natura o per volontà propria, la si ha per grazia di Dio e la si conserva con il combattimento spirituale. Chi ha conosciuto don Giuseppe fin dai tempi del seminario ha visto in lui i segni di questa lotta. Per lui carità voleva dire innanzitutto soccorso al povero. La cura del bisognoso, l’attenzione alle necessità altrui, l’aveva sperimentata sulla sua persona. Figlio di un bracciante agricolo che in inverno era disoccupato, è nato povero e ha fatto la scelta di esserlo anche da prete. Le due povertà con cui si confronta nella sua vita sono la mancanza di mezzi e la mancanza di salute. Entra in seminario grazie alla carità di don Faustino Grilli, che promette a suo padre di pagare una parte della retta e di dedicare al suo mantenimento tutte le offerte ricevute per le messe. Riceve il corredo necessario grazie ad una colletta tra le donne cattoliche di Gragnano e durante le vacanze, come attestato dal cardinale Ersilio Tonini suo compagno al seminario vescovile, Giuseppe deve chiedere «l’elemosina ad alcune famiglie di Gragnano per racimolare qualche offerta con cui alleggerire la quota mensile che gravava pesantemente sul bilancio famigliare».

Dopo essere entrato nel seminario vescovile, viene ammesso poi al collegio Alberoni di Piacenza e il 2 aprile 1938 ordinato sacerdote per la stessa diocesi. Viene inviato come coadiutore a Borgonovo Val Tidone, dove trascorre quindici mesi molto intensi per la dedizione ai giovani e ai poveri. Il 20 gennaio 1940 è nominato arciprete di Sidolo, un piccolo paese dell’alto appennino piacentino-parmense. Le intuizioni che reggeranno la sua fede saranno essenziali: il povero è colui che non conosce e non sa amare Dio, il peccato va combattuto in sé prima che negli altri.

Nonostante la scarsa popolazione di Sidolo, si impegna in un’appassionata attività pastorale rivolta ai giovani, agli anziani, ai malati e, nel periodo della guerra, si distingue per la carità verso sbandati, partigiani, soldati feriti e soprattutto per l’assistenza a gruppi di ebrei in fuga. Quando la sua sperduta parrocchia si viene a trovare al crocevia delle strade di tanti destini umani — soldati, sfollati, partigiani — don Giuseppe sa cosa deve fare: amare e farsi padre di chi lo cerca. Sente che non possiede più la vita per sé, ma prima di tutto per la sua gente e poi per il mondo intero.

Infatti, darà rifugio ad un centinaio di ebrei in fuga e per la loro salvezza materiale e spirituale, offrirà a Dio la sua vita. La notizia di quanto fa a favore di questi perseguitati viene denunciata alle autorità locali.

Nel luglio del 1944, nell’ambito dell’operazione Wallestein ii , le forze nazi-fasciste operano un rastrellamento che comporta il saccheggio e la distruzione dei paesi della zona di Bardi e l’uccisione di civili. Quando si capisce che avrebbero puntato su Sidolo, molti abitanti scappano e offrono al parroco la possibilità di seguirli, ma don Beotti non vuole lasciare la sua parrocchia per assistere fino all’ultimo i più deboli che non sono potuti fuggire.

La legislazione tedesca puniva con la morte chi dava ricetto agli ebrei: don Beotti, ma anche tutti i montanari di Sidolo, sono disposti a correre questo rischio, pur di non venire meno al comandamento dell’amore verso il prossimo. Egli peraltro non si limita all’assistenza materiale, ma trova il modo, con la delicatezza che lo contraddistingue, di parlare loro di Cristo e del suo amore. Il desiderio di farsi battezzare scaturisce in loro spontaneamente, tanto che in molti hanno ricevuto il Sacramento.

Passa la notte in preghiera assieme a don Francesco Delnevo, parroco di Porcigatone, e al chierico Italo Subacchi, seminarista di Parma, che hanno trovato rifugio presso di lui. Arrivate le truppe la mattina del 20 luglio vengono catturati, trascinati poco distante dalla casa canonica, allineati contro il muro di sostegno della strada e tenuti in ostaggio per alcune ore. Passano questo tempo pregando. Al momento del posizionamento del plotone di esecuzione i sacerdoti si scambiano l’assoluzione e la impartiscono al seminarista. Dopo essersi stretti in un ultimo abbraccio, cadono sotto una raffica di mitragliatrice. Nessuno dei suoi parrocchiani viene ucciso. Dio gradì l’offerta della sua giovane vita e lo premiò con l’onore del martirio.