· Città del Vaticano ·

Intervento dell’arcivescovo Paul Richard Gallagher al dibattito generale della Settimana d’Alto livello
all’apertura della 78° Assemblea generale dell’Onu

«Aprire cammini di pace
e ricostruzione»

Archbishop Paul Richard Gallagher, Secretary of Relations with States of the Holy See, addresses the ...
27 settembre 2023

Pubblichiamo in una traduzione dall’originale inglese l’intervento che l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, Segretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni internazionali, ha tenuto ieri, 26 settembre, a New York, in occasione del dibattito generale della Settimana d’Alto livello all’apertura della 78° Sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite.

Signor Presidente,

sono lieto di portare a Lei e ai rappresentanti delle nazioni qui riuniti i cordiali saluti di Papa Francesco, mentre mi congratulo con Lei, Eccellenza, per la sua elezione a presidente di questa augusta Assemblea.

La Santa Sede desidera esprimerLe anche il suo apprezzamento per il tema di questo dibattito generale e non può essere più d’accordo di così sul fatto che c’è un grande bisogno di incominciare a ricostruire la fiducia per riaccendere la stabilità globale, la pace e la prosperità. Di fatto, «stiamo attraversando un momento cruciale per l’umanità, nel quale la pace sembra soccombere davanti alla guerra. I conflitti aumentano e la stabilità è messa sempre più a rischio» (Papa Francesco, Discorso al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, 14 giugno 2023).

Negli ultimi decenni, questa Organizzazione ha assistito a un aumento di attività su diversi fronti, tra le quali anche encomiabili iniziative volte a ridurre la povertà, aiutare i migranti, contrastare il cambiamento climatico, promuovere il disarmo nucleare e offrire assistenza umanitaria e molto altro ancora.

D’altro canto, negli ultimi anni abbiamo visto sgretolarsi la fiducia tra nazioni, fatto testimoniato chiaramente dall’aumento del numero e della gravità di conflitti e guerre. Inoltre, «l’attuale conflitto in Ucraina ha reso più evidente la crisi che da tempo interessa il sistema multilaterale, il quale abbisogna di un ripensamento profondo per poter rispondere adeguatamente alle sfide del nostro tempo» (Papa Francesco, Discorso ai membri del Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, 9 gennaio 2023).

Tutto ciò ha portato a un inevitabile e ugualmente significativo aumento del numero d’incontri tenuti a vari livelli, sebbene non sempre direttamente proporzionati all’efficacia necessaria per perseguire gli obiettivi proposti.

In tali fori, se da un lato le delegazioni spendono fiumi di parole per spiegare le loro rispettive posizioni su una determinata questione, dall’altro non sempre si trova, da parte di singoli Stati, la stessa disponibilità ad ascoltare. Piuttosto, assistiamo a una marcata tendenza a imporre le proprie idee e la propria agenda. Papa Francesco definisce ciò una colonizzazione ideologica. Ossia, il fenomeno per cui Paesi più ricchi e potenti cercano di imporre la propria visione del mondo a Paesi più poveri, promovendo valori culturali estranei che essi non condividono. Peggio ancora, l’aiuto viene offerto, ridotto o perfino bloccato a condizione, o sotto la “minaccia” che quelle posizioni vengano accettate, attraverso l’imposizione di politiche e programmi che questi Paesi esportano all’estero. Lo Stato di diritto a volte sembra essere sostituito dalla legge del più forte.

È pertanto necessario ritornare ad ascoltare e a dialogare al fine di risolvere ed evitare altri conflitti e di ridurre la sofferenza dell’umanità. Oggi stiamo osservando una tendenza opposta; non solo le persone non ascoltano, ma vogliono far tacere o escludere chi non è d’accordo con le loro idee, con argomentazioni in apparenza plausibili. Ciononostante, l’effetto, qualunque sia la ragione addotta, è di escludere certe parti dalla conversazione. Ciò mina la natura stessa dei fori multilaterali globali, che dovrebbero continuare a corrispondere alla loro primaria vocazione di luoghi di incontro autentico e di dialogo tra Stati ugualmente sovrani. Perciò, la comunità internazionale deve mantenere l’universalità dei fori multilaterali globali e non trasformarli in circoli riservati a poche élite che la pensano allo stesso modo e dove alcuni vengono semplicemente tollerati fintanto che non danno fastidio a nessuno.

In questo senso, vorrei sottolineare le seguenti parole chiave per un multilateralismo efficace: dialogo, responsabilità comune e cooperazione, tutto nella ricerca del bene comune. Tutto ciò sotto la bandiera della solidarietà che «deriva dal saperci responsabili della fragilità degli altri cercando un destino comune» (Papa Francesco, Fratelli tutti, n. 115).

Tutti gli Stati devono riscoprire uno spirito di servizio con l’intento di costruire una solidarietà globale che si esprima concretamente aiutando quanti soffrono. Di fatto, servire significa prendersi cura di quanti sono fragili nelle nostre società, nei nostri popoli. Come parte di questo impegno comune, i governanti devono mettere da parte le proprie esigenze e aspettative, nonché i loro desideri di sovranità o onnipotenza dinanzi allo sguardo concreto dei più fragili. Un impegno al servizio che guarda al volto di chi soffre, che sia per la fame, per gli effetti della guerra o per la mancanza di rispetto dei diritti umani basilari. «Per tale ragione il servizio non è mai ideologico, dal momento che non serve idee, ma persone» (Ibid.).

Come dice Papa Francesco, «ciò esige una riforma degli organi che ne consentono il funzionamento, affinché siano realmente rappresentativi delle necessità e delle sensibilità di tutti i popoli, evitando meccanismi che diano ad alcuni maggior peso a scapito di altri. Non si tratta dunque di costruire blocchi di alleanze, ma di creare opportunità perché tutti possano dialogare» (Papa Francesco, Discorso ai membri del Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, 9 gennaio 2023). Di fatto, qualsiasi riforma delle Nazioni Unite non deve essere basata in primo luogo sulla moltiplicazione di incontri, discorsi, strutture o istituzioni, ma sul rendere ciò che già esiste più efficace e in linea con il tempo attuale nel quale stiamo vivendo.

A tale riguardo, il sistema multilaterale ha spostato il centro della propria attenzione dalla pacifica coesistenza degli Stati verso questioni che non sono tanto importanti a tale fine, preferendo temi pertinenti alla vita e ai modelli di individui. Pertanto, una vera riforma delle Nazioni Unite risponde necessariamente alle domande sulla funzionalità del sistema multilaterale, favorendo un “rovesciamento” delle priorità attuali, rendendo le Nazioni Unite davvero “adatte allo scopo” e ravvivando il coordinamento tra Stati per realizzare fini davvero comuni. In altre parole, ritornare ai principi fondamentali.

Qui suggerisco che un importante punto di svolta potrebbe essere quello di ripristinare la sana distinzione tra le azioni degli Stati e quelle della società civile, o di quanti pretendono di rappresentarla, concentrandosi al contempo sul ricostruire sane relazioni e fiducia tra le nazioni, al fine di promuovere pace e sicurezza.

Signor Presidente,

«è diventato sempre più evidente che nel mondo multipolare del ventunesimo secolo la ricerca della pace è strettamente collegata al bisogno di sicurezza e alla riflessione sui mezzi più efficaci per garantirla. Tale riflessione deve necessariamente tenere in considerazione il fatto che la sicurezza globale deve essere integrale, capace di abbracciare questioni come l’accesso a cibo e acqua, il rispetto dell’ambiente, l’assistenza sanitaria, le fonti energetiche e la equa distribuzione dei beni del mondo». (Papa Francesco, Lettera al vescovo di Hiroshima in occasione del Vertice g7 , 19 maggio 2023.

Il conflitto in Ucraina è stato strumentale nel riportare nel dibattito l’elevata minaccia di una escalation nucleare. Ancora una volta, è ferma convinzione della Santa Sede che «l’uso dell’energia atomica per fini di guerra è, oggi più che mai, un crimine, non solo contro l’uomo e la sua dignità, ma contro ogni possibilità di futuro nella nostra casa comune» (Papa Francesco, Discorso al Memoriale della pace, Hiroshima, 24 novembre 2019), mentre è immorale anche il mero possesso di armi nucleari (cfr. Papa Francesco, Messaggio a Sua Eccellenza l’Ambasciatore Alexander Kmentt, presidente della prima Riunione degli Stati Parte al Trattato sulla proibizione delle armi nucleari, 21 giugno 2022).

In questo contesto, c’è la necessità di instillare un programma di lavoro ambizioso per la seconda Riunione delle Stati Parte al trattato sulla proibizione delle armi nucleari (Tpnw), come anche la proposta di discussioni sulla creazione di un Fondo fiduciario internazionale per sostenere un approccio riparativo ai danni umani e ambientali causati dall’uso e dai test nucleari. La Santa Sede esorta gli Stati a firmare e a ratificare il Tpnw, come anche il Trattato sulla messa al bando totale degli esperimenti nucleari (Ctbt) e il Trattato di non proliferazione (Npt), che insieme, in modo complementare, costituiscono la base per il regime di disarmo e di non proliferazione.

Signor Presidente,

un’altra importante sfida con cui ci dobbiamo confrontare potrebbe essere definita, in modo più generale, come la galassia digitale in espansione nella quale abitiamo e, più in particolare, l’intelligenza artificiale. L’innovazione digitale tocca ogni aspetto della nostra vita e comunità, da quella governativa a quella sociale e personale. «È sempre più presente nell’attività e perfino nelle decisioni umane, e così sta cambiando il modo in cui pensiamo e agiamo […]. L’atto personale viene a trovarsi al punto di convergenza tra l’apporto propriamente umano e il calcolo automatico, cosicché risulta sempre più complesso comprenderne l’oggetto, prevederne gli effetti, definirne le responsabilità» (Papa Francesco, Discorso ai partecipanti alla Plenaria della Pontificia Accademia per la vita, 28 febbraio 2020).

Per questo c’è l’urgente necessità di impegnarsi in una riflessione etica seria sull’uso e l’integrazione di sistemi e processi di supercomputer nella nostra vita quotidiana. Inoltre, Papa Francesco insiste sul fatto che occorre «vigilare e […] operare affinché non attecchisca l’uso discriminatorio di questi strumenti a spese dei più fragili e degli esclusi […]: non è accettabile che la decisione sulla vita e il destino di un essere umano venga affidata a un algoritmo» (Papa Francesco, Discorso ai partecipanti all’Incontro “Rome call” promosso dalla Fondazione RenAIssance, 10 gennaio 2023). Ciò vale in tutte le situazioni, anche nello sviluppo di sistemi d’arma autonomi letali (Laws).

Di recente è stato sollevato un numero crescente di preoccupazioni legali ed etiche riguardo all’uso di Laws nei conflitti armati. È evidente che il loro utilizzo dovrebbe essere in linea con il diritto umanitario internazionale. Occorre iniziare negoziati per uno strumento legalmente vincolante che governi le Laws e attuare una moratoria su di loro in attesa della conclusione dei negoziati. È essenziale assicurare una supervisione umana adeguata, significativa e coerente dei sistemi d’arma: solo gli esseri umani sono davvero capaci di vedere e giudicare l’impatto etico delle loro azioni, nonché di valutarne le responsabilità conseguenti.

A tale riguardo, la Santa Sede sostiene l’istituzione di una Organizzazione internazionale per l’intelligenza artificiale, volta ad agevolare lo scambio più completo possibile di informazioni scientifiche e tecnologiche per usi pacifici e per la promozione del bene comune e dello sviluppo umano integrale.

Di fatto, c’è la necessità di promuovere lo sviluppo umano di nuove tecnologie. Ciò esige anzitutto dialogo tra tutti gli attori, in un approccio che coinvolga l’intera società, specialmente nel dibattito sul Global Digital Compact. A tale riguardo, «nell’incontro tra diverse visioni del mondo, i diritti umani costituiscono un importante punto di convergenza per la ricerca di un terreno comune. Nel momento presente, peraltro, sembra necessaria una riflessione aggiornata sui diritti e i doveri di questo ambito. Infatti, la profondità e l’accelerazione delle trasformazioni dell’era digitale sollevano inattese problematiche, che impongono nuove condizioni all’ethos individuale e collettivo» (Ibid.)

Ad ogni modo, lo sviluppo di nuove tecnologie dovrebbe andare di pari passo con la cura per la nostra casa comune. Le nuove tecnologie dovrebbero essere usate per mitigare le crisi planetarie del cambiamento climatico, dell’inquinamento e della perdita di biodiversità, e l’urgenza è di agire ora per salvaguardare il mondo in cui viviamo. «I cambiamenti climatici sono un problema globale con gravi implicazioni ambientali, sociali, economiche, distributive e politiche, e costituiscono una delle principali sfide attuali per l’umanità. Gli impatti più pesanti probabilmente ricadranno nei prossimi decenni sui Paesi in via di sviluppo» (Papa Francesco, Laudato si’, n. 25). È una grande ingiustizia che siano coloro che contribuiscono meno all’inquinamento a pagare il prezzo più alto e a essere più esposti agli effetti avversi del cambiamento climatico.

In tal senso, la comunità internazionale deve focalizzarsi su un esito positivo della prossima Cop28 negli Emirati Arabi Uniti, senza ridurre i dibattiti sul cambiamento climatico a questioni di finanziamento. Sebbene queste siano una componente integrante dei discorsi sul clima, le questioni del finanziamento non dovrebbero mai far passare in secondo piano l’obiettivo ultimo di proteggere la nostra casa comune. Piuttosto questi devono servire per unire la famiglia umana al fine di cercare uno sviluppo sostenibile e integrale.

Signor Presidente,

quest’anno ricorrono il 75° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani e il 30° anniversario della Dichiarazione di Vienna e del Programma d’azione. «Mediante questi due documenti, la famiglia delle Nazioni ha voluto riconoscere l’eguale dignità di ogni persona umana, dalla quale derivano diritti e libertà fondamentali che, in quanto radicati nella natura della persona umana — unità inscindibile di corpo e anima — sono universali, indivisibili, interdipendenti e interconnessi. Al contempo, nella Dichiarazione del 1948 si riconosce che “ogni individuo ha dei doveri verso la comunità, nella quale soltanto è possibile il libero e pieno sviluppo della sua personalità”» (Papa Francesco, Messaggio ai partecipanti alla Conferenza internazionale “I diritti umani nel mondo contemporaneo: conquiste, omissioni, negazioni”, 10 dicembre 2018).

Gli importanti anniversari di quei documenti invitano a una riflessione approfondita sulle fondamenta dei diritti umani e sul loro rispetto nel mondo contemporaneo al fine di rinnovare gli impegni a favore della difesa della dignità umana. «Persistono oggi nel mondo numerose forme di ingiustizia, nutrite da visioni antropologiche riduttive e da un modello economico fondato sul profitto, che non esita a sfruttare, a scartare e perfino ad uccidere l’uomo. Mentre una parte dell’umanità vive nell’opulenza, un’altra parte vede la propria dignità disconosciuta, disprezzata o calpestata e i suoi diritti fondamentali ignorati o violati» (Ibid.)

Anzitutto e soprattutto tra questi ci sono i non nati, ai quali viene negato il diritto di venire al mondo, in qualche caso per via del loro sesso o di una disabilità. Poi ci sono coloro che non hanno accesso ai mezzi indispensabili per una vita dignitosa. Come anche tutti coloro che sono esclusi da un’educazione adeguata. Coloro che vengono ingiustamente privati del lavoro o costretti a lavorare come schiavi; coloro che sono detenuti in condizioni disumane, che subiscono torture o ai quali viene negata l’opportunità di redimersi; le vittime delle scomparse forzate e le loro famiglie; coloro che vivono in un clima dominato da sospetto e disprezzo, che sono oggetto di atti d’intolleranza, discriminazione e violenza a causa del loro sesso, dell’età, razza, appartenenza etnica, nazionalità o religione. Infine, coloro che sopportano una moltitudine di violazione dei loro diritti fondamentali nel tragico contesto dei conflitti armati, mentre commercianti di morte senza scrupoli si arricchiscono a spese del sangue dei loro fratelli e delle loro sorelle (cfr. Ibid.).

Non dimentichiamo mai che la vera cartina di tornasole per vedere se i diritti umani vengono tutelati è la misura in cui le persone hanno libertà di religione o di fede in un Paese. È inquietante che continuiamo a vivere in un mondo in cui delle persone vengono perseguitate solo perché professano la loro fede in pubblico. Esistono molti Paesi in cui la libertà di religione è fortemente limitata. Di fatto, circa un terzo della popolazione mondiale vive in questa condizione e sembra che il numero continui a crescere. Accanto alla mancanza di libertà religiosa, c’è anche la persecuzione religiosa vera e propria, pure nella vita religiosa privata delle persone. Non posso non menzionare, come dimostrano alcune statistiche, che un cristiano su sette è perseguitato. Inoltre, la violenza contro i cristiani è in aumento e non solo in Paesi in cui sono una minoranza. Anche l’espressione “crimine d’odio” o “discorso d’odio” viene ora usata in modo soggettivo e manipolata per impedire alle persone di esprimere le loro fedi religiose, equiparando la pratica della religione alla violenza. Questa agenda volutamente disonesta, basata su motivazioni politiche, particolarmente vergognosa in Occidente, deve finire.

La libertà di religione è uno dei minimi requisiti per vivere nella dignità. I governi hanno il dovere di proteggere la libertà religiosa dei loro cittadini. Creare un ambiente adatto alla libertà di religione significa garantire a ogni persona, in conformità con il bene comune, l’opportunità di agire secondo la sua coscienza. Di fatto, la libertà di religione non è solo la libertà di culto, ovvero che si possa rendere culto nel giorno e negli spazi messi a disposizione, ma anche il poter vivere secondo il proprio credo e, per le religioni, di potersi organizzare per aiutare i loro fedeli in questo. La libertà di religione, come l’educazione e altri diritti fondamentali, possono essere elementi importanti per permettere agli emarginati di essere agenti dignitosi del proprio destino.

Signor Presidente,

Nonostante quest’anno tante tragedie abbiano colpito e stiano ancora sconvolgendo la famiglia delle nazioni, tra catastrofi naturali, gravi problemi di sicurezza alimentare e instabilità politica, causando angoscia, difficoltà e incertezza riguardo al futuro, l’attacco della Russia contro l’Ucraina rimane una delle ferite più dolorose e sanguinanti, che invece di guarire sta diventando più grande e profonda. Indubbiamente in più di 18 mesi di guerra abbiamo assistito all’impegno ammirevole e continuamente rinnovato di tanti Paesi ad aiutare la malridotta Ucraina a difendere il suo popolo e il suo territorio. Purtroppo, però, ciò non è stato accompagnato da un pari sforzo per trovare vie per superare il conflitto. Continuiamo a essere lontani dal vero incontro e dialogo per porre fine a odio, distruzione e morte, per aprire cammini di pace e ricostruzione. Questo è ciò che, al di là dell’assistenza umanitaria, la Santa Sede auspica e cerca di promuovere con ognuno dei suoi innumerevoli appelli e le sue iniziative, dipendenti dalla cooperazione di tutti gli attori internazionali.

La situazione umanitaria in Sira è senz’altro preoccupante. I siriani, tormentati da dodici anni di guerra, terremoto e grande povertà, ancora una volta stanno suonando l’allarme, esprimendo le loro grandi difficoltà e chiedendo che si trovi una soluzione alle loro sofferenze. La Santa Sede, oltre a incoraggiare la ripresa di un processo politico di riconciliazione, esorta a non valutare le emergenze umanitarie sulla base delle rigidità delle posizioni politiche, ma di avere il coraggio di guardare alla sofferenza delle persone con verità e onestà, di modo che le sanzioni internazionali imposte al governo siriano dall’Unione europea, dagli Stati Uniti e dal Regno Unito non colpiscano la popolazione locale.

Anche la situazione in Sudan continua a essere molto preoccupante. Negli ultimi sei mesi, gli scontri armati hanno comportato un numero elevato di vittime e di profughi, come anche una grave crisi umanitaria, allontanando sempre più la possibilità di raggiungere la pace e ripristinare la stabilità nel Paese. La Santa Sede lancia un sentito appello perché vengano deposte le armi di modo che possa prevalere il dialogo e si possa alleviare la sofferenza della popolazione.

La Santa Sede segue da vicino gli avvenimenti politici nell’Africa subsahariana e rinnova il proprio impegno alla promozione di pace, giustizia e prosperità. Le Chiese locali contribuiscono ai processi di riconciliazione nazionale e agiscono nella prospettiva del bene comune, specialmente in campo educativo, caritativo e sanitario. Particolarmente preoccupanti nell’Africa subsahariana sono stati i numerosi episodi di violenza, come anche i frequenti golpe che arrestano processi democratici, causano morte e distruzione e provocano crisi umanitarie e migratorie.

È doloroso scoprire che, a volte, dietro a episodi di terrorismo e di violenza, ci sono anche interessi economici internazionali che incoraggiano le ingiuste dinamiche del colonialismo. A tale riguardo, mi appello alla famiglia delle nazioni qui riunita in questa Assemblea generale affinché faccia prevalere lo spirito di dialogo, ponga fine a ogni genere di sfruttamento economico e finanziario e sia attenta a promuovere una cooperazione internazionale generosa e rispettosa.

Un pensiero speciale va al Nicaragua, con il quale la Santa Sede Spera di impegnarsi in un dialogo diplomatico rispettoso per il bene della Chiesa locale e di tutta la popolazione.

La Santa Sede esorta al dialogo e a negoziati tra l’Azerbaigian e l’Armenia, con il sostegno della comunità internazionale, che favorisca un accordo sostenibile, al più presto, ponendo così fine alla crisi umanitaria e risolvendo la situazione drammatica nel Nagorno-Karabakh. Inoltre, esprimo le mie condoglianze alle famiglie delle vittime dell’esplosione presso un deposito di carburante nei pressi della città di Stepanakert.

La Santa Sede esprime profonda preoccupazione per ciò che sta accadendo a Gerusalemme, e in particolare per gli attacchi contro le comunità cristiane. Tali episodi non stanno semplicemente minando la coesistenza tra le diverse comunità, ma anche minacciando l’identità stessa della città di Gerusalemme, che alcuni non riescono a concepire come luogo d’incontro tra le tre fedi: cristianesimo, ebraismo e islam. Rinnovo il mio appello non solo a israeliani e palestinesi perché si aprano a un dialogo sincero, ma anche all’intera comunità internazionale, affinché Gerusalemme non venga dimenticata, di modo che il progetto di una Città Santa quale luogo di pace per tutti e di tutti, con uno status speciale garantito a livello internazionale, non venga abbandonato.

Signor Presidente,

Papa Francesco, nel suo discorso al Consiglio di sicurezza del giugno scorso, ha detto che «nel mondo globalizzato di oggi siamo tutti più vicini, ma non per questo più fratelli. Anzi, soffriamo una carestia di fraternità, che emerge da tante situazioni di ingiustizia, povertà e sperequazione, dalla mancanza di una cultura della solidarietà. Le nuove ideologie, caratterizzate da diffuso individualismo, egocentrismo e consumismo materialistico, indeboliscono i legami sociali, alimentando quella mentalità dello “scarto”, che induce al disprezzo e all’abbandono dei più deboli, di coloro che vengono considerati “inutili”. Così la convivenza umana diventa sempre più simile a un mero do ut des pragmatico ed egoista. Ma l’effetto peggiore di questa carestia di fraternità sono i conflitti armati e le guerre, che inimicano non solo le persone, ma popoli interi, e le cui conseguenze negative si ripercuotono per generazioni» (Papa Francesco, Discorso al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, 14 giugno 2023).

Con l’istituzione delle Nazioni Unite sembrava che il mondo avesse imparato, dopo due terribili guerre mondiali, a procedere verso una pace più stabile, a procedere verso il diventare letteralmente una famiglia di nazioni. Tuttavia, pare che stiamo arretrando nella storia, con l’insorgere di nazionalismi miopi, estremisti, risentiti e aggressivi che hanno alimentato conflitti che non solo sono anacronistici e datati, ma anche più violenti di quanto ricordiamo.

Di fatto, «per costruire la pace dobbiamo uscire dalla logica della legittimità della guerra: se essa poteva valere nei tempi passati, nei quali i conflitti armati avevano una portata più limitata; oggi, con le armi nucleari e di distruzione di massa, il campo di battaglia è diventato praticamente illimitato e gli effetti potenzialmente catastrofici» (Ibid.).

Effettivamente, «la pace è possibile, se veramente voluta; e se la pace è possibile, essa è doverosa» (Paolo vi , Messaggio per la celebrazione della vi Giornata della pace, 1° gennaio 1973). Questo è il dovere di ogni persona presente in questa aula, perché è solo nella ricerca della pace e nella vita pacifica tra Stati che possiamo diventare nazioni veramente unite, in una sola famiglia umana.

Grazie, Signor Presidente.


Puntare sul disarmo per costruire una fiducia reciproca


New York, 27. «Il mondo deve invertire la rotta» sugli armamenti nucleari. Lo ha detto l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, Segretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni internazionali, intervenendo al meeting di alto livello per la Giornata internazionale per l’eliminazione delle armi nucleari, tenutosi ieri all’Onu. 

 Gli Stati «sperperano per le armi nucleari le risorse necessarie per le  questioni di sviluppo»,  ha sottolineato  il rappresentante della Santa Sede, ricordando che Papa Francesco «insiste sul fatto che l’obiettivo finale dell’eliminazione totale delle armi nucleari diventa sia una sfida che un imperativo morale e umanitario».

 Inoltre, ha esortato ancora monsignor Gallagher, «gli Stati devono anche rafforzare altre misure di disarmo nucleare», perché «le armi nucleari offrono un falso senso di sicurezza basato sulla paura» con  conseguenze umanitarie e ambientali catastrofiche. Occorre invece costruire collettivamente una «fiducia reciproca», ha concluso.