· Città del Vaticano ·

Una favola lungo il Rio delle Amazzoni su Madre Natura e l’armonia del buon vivere

La storia di Árbol Pequeño che remò senza mai fermarsi

 La storia di Árbol Pequeño che remò senza mai fermarsi  QUO-218
22 settembre 2023

Condividiamo una fiaba scritta da una suora che unisce diverse questioni che devono affrontare i popoli indigeni in America Latina. Fra gli aneddoti c’è l’uso di rimedi naturali per curare il covid.

Questa è la storia di Árbol Pequeño. Árbol Pequeño è il nome di un indio capace di remare in ogni meandro del Rio delle Amazzoni. Da bambino, scivolò dalla schiena della madre e cadde nel fiume. Lei, per lo spavento, lasciò cadere tutti i tronchi che aveva in mano. Resasi subito conto che la corrente del torrente era implacabile, gridò a suo figlio con voce dolce e potente: «Tieniti forte al tronco e rema, bambino mio! Rema con le mani senza mai smettere, non fermarti, perché verrò a prenderti sull’altra sponda». E così fu. Árbol Pequeño sopravvisse all’impetuosa corrente e divenne quindi un esperto rematore.

Quando vennero quelli del primo mondo a cercare le ricchezze della foresta, lo assunsero per percorrere il fiume Mamoré, noto per le sue rapide che rendono la navigazione difficile. Árbol Pequeño si sentiva confuso perché, se si rifiutava di aiutarli, rischiava di perdere una buona fonte di guadagno; ma se lavorava con loro sapeva che avrebbero danneggiato i suoi fratelli alberi e tutta la natura. Che dolore provava nel cuore! Ma all’improvviso, gli tornò in mente il messaggio di sua madre: rema senza mai fermarti. Allora, quando gli “estrattivisti” scesero a terra, lui cominciò a remare su un tronco in modo che non si accorgessero che li stava abbandonando al loro destino. Si coprì con dei rami per non essere scoperto e rimase mimetizzato tra il fogliame. Si addormentò esausto per la stanchezza e, quando i raggi del sole del mattino accarezzarono il suo volto, si alzò e si diresse al villaggio più vicino.

Da lontano scorse le capanne ma, man mano che si avvicinava, iniziò a sentire dei lamenti. Erano i suoi fratelli della comunità colpiti dal covid. Una voce flebile, ma al tempo stesso ferma e decisa, si udì in lontananza: era il capo Ojos de Águila. Camminava trascinando a fatica le sue deboli gambe e diceva: «Vattene fratello, torna indietro, non ti avvicinare. La peste è arrivata fin qui. È giunta l’ora di riunirci con i nostri antenati». Ma Árbol Pequeño restò immobile; si ricordò ancora una volta delle parole della May (madre): «Rema senza mai fermarti». Corse allora a cercare lo Sciamano. Sapeva bene dove viveva perché conosceva il luogo nascosto tra gli alberi rigogliosi del Pequiá Piqui. Corse resistendo alle spine del cammino, aprendosi la strada con le braccia tra le canne, senza che gli importasse di sprofondare nel fango.

Di tanto in tanto chiedeva il permesso alla Madre Terra di passare di corsa, perché era una questione di vita o di morte; e dentro di sé pregava il Dio Creatore dicendo: «Signore del cielo e della terra, Signore del vento e dell’acqua: Tu sei il Signore della vita, non permettere che si estinguano le tue creature tanto amate, vieni a dissipare la fitta nebbia dello sconforto e del timore che vuole invadere tutto. Vieni con il tuo Spirito santo, vieni dai quattro venti, soffia su questa comunità per confermare che l’amore è più forte».

Gli animali della foresta si unirono a lui precedendolo lungo il cammino. I raggi del sole illuminavano il suo sentiero, il veloce vento del sud rinfrescava il suo volto arso dal calore estivo. Quasi senza accorgersi del tempo trascorso, giunse alla casa dello Sciamano, gli raccontò con fervore quanto era accaduto nel villaggio, pregandolo di curare la sua gente con le sue erbe. E così fu. Lo Sciamano portò con sé le sue provviste di foglie di guaiava, eucalipto, limone, boldo, olio di coccodrillo e miele, tra gli altri sciroppi per combattere il virus. Con la tenera cura di Árbol Pequeño e del leale guaritore, perseverando nel trattamento con le medicine naturali, tutti riuscirono a guarire. Pian piano recuperarono le loro forze originarie; le loro spalle non dolevano più, il fuoco della febbre non ardeva più, le forze cominciavano a rinascere dal di dentro, le loro gole potevano ora cantare e lodare il Creatore insieme agli uccelli del cielo. Le donne cominciarono a preparare i loro deliziosi piatti, chichas e mocochinchi da bere, e a degustare i gradevoli sapori e aromi di Madre Natura.

E volete sapere che cosa successe agli “estrattivisti” che Árbol Pequeño aveva lasciato in quel viaggio lungo il Mamoré? Ebbene, si persero nella foresta e divennero pasto per gli avvoltoi. E così Madre Natura tornò alle sue origini, ripristinando l’armonia del buon vivere, per cui tutti possono vivere bene, senza distinzioni né esclusivismi, secondo i bisogni di ognuno. Perché tutto è interconnesso.

Árbol Pequeño proseguì la sua missione di “rematore” e continua a remare nel mare della vita e della storia. A volte il suo cuore sente che quelli dell’“avanguardia” pretendono che la gente dimentichi il proprio passato, perché dicono: «Vivi il tuo momento e niente più, guarda la storia prima che si cancelli, leggi prima che scompaia»; ma nel profondo della sua memoria grata nutre la certezza che la storia è come la radice di un albero, quella che sostiene e dà solidità alla crescita integrale di una creatura. In questo tempo di post-pandemia, Árbol Pequeño sente ancora risuonare la dolce e potente voce di sua madre che gli dice: «Continua a remare!». Questa è la storia di Árbol Pequeño, il rematore del post-pandemia.

di Lucia Galiccio


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