· Città del Vaticano ·

Bisogna essere dei bravi cuochi per far tornare a tanti ragazzi l’appetito verso la vita

Cucina dell’intelligenza

 Cucina dell’intelligenza  QUO-216
20 settembre 2023

La scuola è la cucina dell’intelligenza. Troppo facile immaginare l’intelligenza come qualcosa di esclusivamente mentale. In realtà, il suo stesso nome custodisce un mistero variopinto. Infatti, la parola deriva dal latino legĕre che significa “leggere”, la cui antica radice indica però “legare”, “tenere insieme”. In effetti, per leggere è necessario unire le lettere, le sillabe, le parole e le frasi. Esprimendo la capacità di collegare, legĕre è anche lo sfondo di altri verbi come “diligere”, “prediligere” — cioè “amare” — ed “eligere”, vale a dire “scegliere”, “decidersi per qualcosa o qualcuno”. Non si ama né si sceglie senza legarsi. “Intelligenza” significa quindi la capacità di cogliere i legami dentro le cose, i legami tra le cose. Perciò è pressoché impossibile avere una mente aperta senza un cuore largo, sensibile a quanto unisce e collega.

Insomma, l’intelligenza è fatta di diversi ingredienti: la mente, il cuore, ma anche le mani e i piedi senza i quali non saremmo chi siamo. Contiamo a base dieci perché dieci sono le dita delle mani e riusciamo a cogliere più di tutti i viventi i legami tra le cose grazie allo sguardo favorito dalla postura eretta, sostenuta dai nostri piedi. Senza le mani e i piedi non saremmo così intelligenti. Ecco, la scuola aiuta ad assaporare il gusto della vita nella misura in cui tutti gli ingredienti dell’intelligenza saranno ben cucinati. In cucina si trasformano materie prime, accostando, mescolando, cuocendo elementi diversissimi, a volte perfino contrastanti quali il dolce e il salato, l’acido e il basico. Per favorire siffatta integrazione gli ingredienti devono essere modificati, puliti, misurati, aggiunti, ridotti, affinché ciascuno esalti le caratteristiche degli altri.

Quest’opera di trasformazione non impegna un singolo, ma tutto l’ambiente. La cucina è infatti frutto di una cultura. Esiste una cucina francese, giapponese, argentina, eccetera. Tuttavia, perfino nel piatto più tipico si ritrova il mondo intero. L’Italia è famosa per il caffè, ma questo è stato scoperto in Etiopia e proviene in gran parte dall’America del Sud. Esiste un sapere culinario che richiede una trasmissione precisa e una ricezione attenta. Eppure, la cucina promuove l’inventiva, la scoperta originale, il tocco che trasforma la pietanza tradizionale in un piatto dai sapori rinnovati. Essendo molto tradizionale, la cucina è l’ambito della creatività.

Cucinare non è solo in vista del nutrimento, poiché esalta anche un altro aspetto del cibo, vale a dire il piacere e il com-piacere. Cucinando, gli umani amplificano l’esperienza del piacere grazie alla quale il Creatore — con un linguaggio tutto di carne — profetizza alla carne stessa la sua dignità e la sua futura redenzione. Nel momento del piacere, infatti, la carne si sente sollevata dal peso mortale del limite; proprio per questo il piacere è piacere. Certo, si potrebbero assumere pillole di carboidrati, proteine e lipidi, idratarsi con liquidi isotonici e ipotonici, ma mangiare e bere sono altra cosa. Chi cucina intuisce le proprietà nutrizionali e le potenzialità di piacere dei singoli ingredienti e della loro combinazione.

Per cucinare è necessaria la fiducia nella qualità di ingredienti, nella fattibilità del piatto e nell’apprezzamento di chi lo gusterà. È richiesto inoltre un grande rispetto dei tempi e delle cose per evitare che un’azione maldestra rovini il sapore dei piatti. A chi cucina non basta la buona intenzione, ma ha il dovere di conoscere quanto piace al proprio ospite, ciò che può mangiare e ciò che deve o non mangiare. È mancanza di cura preparare un pur ottimo piatto di carne al vegetariano, o una meravigliosa meringata al diabetico.

La grandezza di un cuoco si misura anche nella capacità di rendere appetitosi perfino cibi che non risultano immediatamente graditi, ma sono necessari alla salute. Caso emblematico è il bambino che rifiuta la verdura o la carne; la mamma o il papà abili coi fornelli prepareranno pietanze dove verdura e carne nemmeno si vedono e si sentono, eppure sono ben presenti. Ma, forse, la gloria più grande di un cuoco sta nello stuzzicare l’appetito all’inappetente, a chi non ha fame, ha smesso di averla, o addirittura si è imposto di non sentirla. Se il cuoco riesce a riaprire il varco chiuso nella carne inappetente è come se risuscitasse un morto, visto che fame e sete sono le prime parole pronunciate dal corpo per affermare la propria nascita. Specialmente in Occidente, tantissimi bambini, ragazzi e giovani sono inappetenti verso la vita, verso il sapore del mondo. Bisogna stuzzicare il loro appetito.

All’inizio del nuovo anno, è bello ricordare a tutti i protagonisti della scuola, cucina dell’intelligenza, la scena simpatica e commovente del Risorto che, in riva al lago, annuncia la buona notizia cucinando per i suoi amici un po’ di pesce arrostito e il pane.

di Giovanni Cesare Pagazzi