· Città del Vaticano ·

La buona Notizia
Il Vangelo della XXV domenica del tempo ordinario (Mt 20,1-16)

Può esistere una vera giustizia senza la bontà?

 Può esistere una vera giustizia senza la bontà?  QUO-215
19 settembre 2023

Che cosa è giusto e cosa non lo è? Parlare di giustizia oggi è rischioso come camminare sul filo di un rasoio. Da un lato si lotta per la parità di genere e l’uguaglianza dei diritti, dall’altro si afferma l’unicità di ciascuno contro tutto e contro tutti. Da una parte si loda questa modernità che avrebbe finalmente spazzato via i vecchi regimi oppressivi, dall’altra proprio il capitalismo ha creato disuguaglianze di portata planetaria. Da una parte si spinge per legalizzare tutto, dall’altra così facendo si finisce per giustificare persino ciò che fa male all’uomo.

Il problema è questo: oggi è difficile parlare di giustizia perché non si sa più parlare del Bene. Se Dio è morto o diventa insignificante, allora non esiste più il sommo Bene da cui derivano il Giusto, il Vero, il Bello. La Giustizia effettivamente giusta è solo quella intrisa d’amore; ma se oggi l’Amore non è più quello di Dio e — anzi — si chiama amore anche ciò che amore non è, allora dietro al termine giustizia rischiano di nascondersi forme più o meno subdole di giustificazione del male o di interessi privati ed egoistici.

Il Vangelo della xxv domenica del tempo ordinario ci insegna il senso profondo della giustizia, ossia l’amore. In altre parole, tutte le volte che ci chiediamo se questo o quello è giusto o meno, dobbiamo anche immediatamente chiederci se è buono (per me o per gli altri). Ad esempio, è giusto che degli uomini, presi a giornata come lavoratori di una vigna, vengano pagati dal padrone tutti allo stesso modo anche se hanno lavorato chi dall’alba, chi da mezzogiorno, chi dal pomeriggio? Ovviamente no, diremmo noi. Infatti i primi si lamentano: «Gli ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo». E il padrone, rispondendo a uno di loro: «Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Oppure sei invidioso perché io sono buono?». Appunto, il padrone è giusto perché prima di tutto è buono, ossia fin da subito vuole il bene di tutti coloro che prende a lavorare a giornata. E il suo amore consiste in questo: quegli uomini stavano tutto il giorno a far niente, senza nessuno che li chiamasse a far qualcosa, a esprimere e onorare la loro umanità, quindi li prende a lavorare e dà valore alla loro esistenza. Il padrone è giusto perché è buono ed è buono perché vuole il bene di ciascuno dei suoi lavoratori, che ovviamente sono tutti diversi.

L’anno scorso ho conosciuto Emma, una ragazza che aveva abbandonato la scuola all’inizio delle superiori per non poche difficoltà personali. Emma si apre, frequenta l’oratorio, si fa volere bene da me e da tanti nuovi amici. Scopre l’amore di Dio e rinasce. Prima se ne stava a casa a fare niente tutto il giorno, senza stimoli, senza passioni, senza l’impegno quotidiano della scuola. Poi, al culmine del suo cambiamento, decide di riprendere gli studi. Si iscrive ad un istituto di recupero anni scolastici e, se tutto andrà bene, l’anno prossimo si diplomerà insieme ai suoi coetanei.

Ora, è giusto che Emma possa avere lo stesso diploma degli altri nonostante abbia abbandonato la scuola per diversi anni? Ovviamente no, potrebbero dire i suoi compagni. Ma Dio è buono e vuole il bene di ciascuno dei suoi figli, quindi vuole che anche Emma possa onorare la sua umanità proprio come hanno potuto fare gli altri. E chi si lamenta forse è solo invidioso perché Dio è buono. 

di Alberto Ravagnani