Sabato 9
Dalla fraternità e non dalla prevaricazione nasce una |
In questi quarantacinque anni, ispirati dal comandamento dell’amore di Gesù, vi siete impegnati per la riscoperta del sacramento del Matrimonio e di quello dell’Ordine, cercando non solo di approfondirne la ricchezza in modo distinto, ma anche facendo emergere la relazione tra queste due vocazioni. |
Matrimonio e Ordine sacro benché in modo diverso e secondo il carisma di ciascuno, sono intimamente legati perché entrambi manifestano l’amore di Dio.
Questi due sacramenti per strade diverse ma complementari, parlano di sponsalità: da una parte la donazione totale, unica e indissolubile degli sposi, dall’altra l’offerta di vita del sacerdote per la Chiesa, sono segni dell’amore sponsale di Dio per noi.
Riprendendo il tema che avete scelto per questa circostanza, “Siamo il sogno di Dio”, vorrei dirvi che il vostro “carisma sponsale” è una profezia per la realizzazione del sogno di Dio.
Il sogno di Dio è unirci nel suo amore, nella sua comunione, per farci scoprire la bellezza della figliolanza divina e della fraternità tra noi. Per questo Gesù ha pregato.
E ci manda sulle strade del mondo ad annunciare che la via per generare una nuova umanità si fonda sulla fraternità, frutto della carità, non sulla prevaricazione e sull’egoismo.
In tal senso il servizio che offrite alla Chiesa, ma anche alla società, cioè l’accompagnamento dei coniugi e dei sacerdoti, rappresenta un prezioso tassello che contribuisce a realizzare il sogno di Dio.
Non lo fate con parole o teorie astratte, ma entrando con amore nella realtà della vita concreta delle persone.
Il vostro carisma ricorda che la fede è anzitutto esperienza di relazione e di incontro. Guardate da vicino il dialogo a volte non facile tra i coniugi e le situazioni complesse a cui sono chiamati a far fronte i sacerdoti, favorendo uno scambio fecondo, per apprendere insieme l’arte della relazione, della comunione.
Così portate avanti il sogno di Dio, sogno di comunione sponsale, in un tempo che a volte preferisce battere i sentieri paludosi dell’individualismo invece di avventurarsi verso le splendide vette dell’amore.
Siete anche un segno per la vita della Chiesa, chiamata a percorrere la strada di una sempre maggiore reciprocità tra i doni, i carismi e i ministeri.
Lo scambio tra i coniugi e i pastori favorisce l’azione evangelizzatrice.
Attraverso le relazioni, anzitutto testimoniando la bellezza delle relazioni, riusciamo ad annunciare la ricchezza del Vangelo e a mostrare l’amore che Dio nutre per ogni creatura.
Vi incoraggio a mettere in circolo le esperienze dei coniugi, dei sacerdoti e dei religiosi; ad aprire le porte del vostro cammino ai giovani e ai fidanzati; a non avere paura di battere nuove strade che aiutino le comunità cristiane a realizzare la convergenza tra gli sposi e i pastori.
E a lasciarvi guidare dallo Spirito Santo, che è l’amore di Dio, senza il quale le nostre attività sono sterili e vane.
Lo Spirito apre i cuori e le menti, e ci fa protagonisti, tutti, del sogno di Dio!
(Ai membri dell’Associazione di promozione della famiglia “incontro matrimoniale”)
Lunedì 11
Sinodalità |
Il riavvicinamento delle nostre Chiese, dopo secoli di separazione, è iniziato con il Vaticano ii , al quale la Chiesa ortodossa sira malankarese inviò alcuni osservatori. In quello stesso periodo, San Paolo vi incontrò il Catholicos Baselios Augen i a Bombay nel 1964. |
Ora, la Sua venuta giunge nel quarantesimo anniversario della prima visita a Roma di un Catholicos della vostra cara Chiesa, compiuta nel 1983 da Sua Santità Baselios Marthoma Mathews i, al quale tre anni più tardi San Giovanni Paolo ii rese visita nella Cattedrale di Mar Elia a Kottayam.
Quest’anno ricorre anche il decimo anniversario dell’abbraccio fraterno con il Suo immediato predecessore, Sua Santità Baselios Marthoma Paulose ii , di benedetta memoria, che ho avuto la gioia di ricevere agli inizi del mio pontificato.
Desidero salutare fraternamente i vescovi, il clero e i fedeli della Chiesa ortodossa sira malankarese, le cui origini risalgono alla predicazione dell’Apostolo Tommaso.
Egli, dinanzi al Risorto, esclamò: «Mio Signore e mio Dio!»: questa professione, che proclama la signoria salvifica e la divinità di Cristo, fonda, nella preghiera e nello stupore, la nostra fede comune.
Questa stessa fede celebreremo, auspico insieme, in occasione del 1700° anniversario del primo Concilio Ecumenico, quello di Nicea; io voglio che lo celebriamo tutti insieme.
Con la fede dell’apostolo Tommaso |
La fede di San Tommaso è tuttavia inseparabile dalla sua esperienza delle piaghe del Corpo di Cristo. Le divisioni che si sono verificate nel corso della storia tra noi cristiani sono lacerazioni dolorose inferte al Corpo di Cristo che è la Chiesa. |
Ne tocchiamo ancora con mano le conseguenze. Ma, se mettiamo insieme la mano in queste ferite, se insieme, come l’Apostolo, proclamiamo che Gesù è il nostro Signore, se con cuore umile ci affidiamo stupiti alla sua grazia, possiamo affrettare il giorno tanto atteso in cui, con il suo aiuto, celebreremo allo stesso altare il mistero pasquale: che arrivi presto!
Intanto camminiamo insieme nella preghiera che ci purifica, nella carità che ci unisce, nel dialogo che ci avvicina.
Penso alla Commissione mista internazionale per il dialogo tra le nostre Chiese, che ha portato a uno storico accordo cristologico, pubblicato nella Pentecoste 1990.
Si tratta di una Dichiarazione congiunta, la quale afferma che il contenuto della nostra fede nel mistero del Verbo incarnato è lo stesso, anche se, nella formulazione, sono sorte differenze terminologiche.
Annunciare Cristo unisce, non divide; l’annuncio comune del nostro Signore evangelizza il cammino ecumenico stesso.
Dalla Dichiarazione congiunta in poi, la Commissione si è riunita nel Kerala quasi ogni anno e ha dato frutti, favorendo la collaborazione pastorale.
Vorrei ricordare con gratitudine gli accordi del 2010 sull’uso comune dei luoghi di culto e dei cimiteri, nonché sulla possibilità per i fedeli di ricevere l’unzione degli infermi, in determinate circostanze, nell’una o nell’altra Chiesa.
Questi sono begli accordi... perché l’ecumenismo pastorale è la via naturale alla piena unità.
Andando avanti fraternamente nell’annuncio del Vangelo e nella cura concreta dei fedeli, ci riconosciamo un unico gregge di Cristo in cammino.
Che possano aumentare gli accordi pastorali tra le nostre Chiese, che condividono la stessa eredità apostolica, soprattutto in contesti in cui i fedeli si trovano in situazione di minoranza o diaspora.
Mi rallegro della vostra attiva partecipazione alle visite di studio per giovani sacerdoti e monaci organizzate annualmente dal Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, che contribuiscono a una migliore comprensione tra i pastori.
Nel nostro cammino verso la piena unità, un’altra importante via è quella della sinodalità. Sono lieto che un Delegato fraterno della vostra Chiesa parteciperà alla prossima sessione dell’Assemblea del Sinodo dei Vescovi.
Sono convinto che noi possiamo imparare dalla secolare esperienza sinodale della vostra Chiesa. Il movimento ecumenico sta contribuendo al processo sinodale in corso della Chiesa cattolica, e mi auguro che il processo sinodale possa a sua volta contribuire al movimento ecumenico.
Sinodalità ed ecumenismo sono due vie che procedono insieme, condividendo il medesimo approdo, quello della comunione, che significa una migliore testimonianza dei cristiani «perché il mondo creda».
Non dimentichiamo che il protagonista del Sinodo è lo Spirito Santo, non siamo noi.
Interceda per il nostro cammino di unità e di testimonianza l’Apostolo Tommaso, le cui reliquie sono custodite nell’Arcidiocesi di Lanciano-Ortona, qui rappresentata dall’Arcivescovo Cipollone.
Il Signore mostrò le piaghe all’Apostolo, i cui occhi increduli divennero credenti: la comune contemplazione del Signore crocifisso e risorto favorisca la completa guarigione delle nostre ferite passate, perché davanti ai nostri occhi, al di là di ogni distanza e incomprensione, risalti Lui, “il nostro Signore e il nostro Dio”, che ci chiama a riconoscerlo e ad adorarlo attorno a un solo altare eucaristico. E che questo avvenga presto.
(A Sua Santità Baselios Marthoma Mathews iii Catholicos della Chiesa ortodossa sira-malankarese)
Mercoledì 13
Sporcarsi |
Continuiamo a incontrare testimoni appassionati dell’annuncio del Vangelo. Questa è una serie di catechesi sullo zelo apostolico, sulla volontà e anche l’ardore interiore per portare avanti il Vangelo. |
Oggi andiamo in America Latina, in Venezuela, per conoscere un laico, il Beato José Gregorio Hernández Cisneros. Nacque nel 1864 e apprese la fede soprattutto dalla madre, come raccontò. Siamo attenti: sono le mamme a trasmettere la fede.
La fede si trasmette in dialetto, cioè con il linguaggio che le mamme sanno parlare con i figli.
E a voi mamme: state attente nel trasmettere la fede in quel dialetto materno.
La carità fu la stella polare che orientò l’esistenza del Beato: persona buona e solare, dal carattere lieto, era dotato di una spiccata intelligenza; divenne medico, professore universitario e scienziato.
Ma fu anzitutto un dottore vicino ai più deboli, tanto da essere conosciuto in patria come “il medico dei poveri”.
Alla ricchezza del denaro preferì quella del Vangelo, spendendo l’esistenza per soccorrere i bisognosi.
Nei poveri, negli ammalati, nei migranti, nei sofferenti, José Gregorio vedeva Gesù. E il successo che mai ricercò nel mondo lo ricevette, e continua a riceverlo, dalla gente, che lo chiama “santo del popolo”, “apostolo della carità”, “missionario della speranza”. Bei nomi.
Era un uomo umile, gentile e disponibile. E al tempo stesso era mosso da un fuoco interiore, dal desiderio di vivere al servizio di Dio e del prossimo.
Spinto da questo ardore, diverse volte provò a diventare religioso e sacerdote, ma vari problemi di salute glielo impedirono.
La fragilità fisica non lo portò però a chiudersi in sé stesso, ma a diventare un medico ancora più sensibile alle necessità altrui; si strinse alla Provvidenza e, forgiato nell’animo, andò maggiormente all’essenziale.
Ecco lo zelo apostolico: non segue le proprie aspirazioni, ma la disponibilità ai disegni di Dio.
Così il Beato comprese che, attraverso la cura dei malati, avrebbe messo in pratica la volontà di Dio, soccorrendo i sofferenti, dando speranza ai poveri, testimoniando la fede non a parole ma con l’esempio.
“Sacerdozio del dolore umano” |
Arrivò così — per questa strada interiore — ad accogliere la medicina come un sacerdozio: «il sacerdozio del dolore umano». |
Quanto è importante non subire passivamente le cose, ma, come dice la Scrittura, fare ogni cosa di buon animo, per servire il Signore.
Chiediamoci: da dove veniva a José Gregorio tutto questo entusiasmo? Veniva da una certezza e da una forza.
La certezza era la grazia di Dio. Egli scrisse che «se nel mondo ci sono buoni e cattivi, i cattivi ci sono perché loro stessi son diventati cattivi: ma i buoni sono tali con l’aiuto di Dio» (27 maggio 1914).
E Lui per primo si sentiva bisognoso di grazia, che mendicava sulle strade e aveva estremo bisogno dell’amore.
Ecco la forza a cui attingeva: l’intimità con Dio.
L’offerta |
Era un uomo di preghiera, che partecipava alla Messa. E a contatto con Gesù, che si offre sull’altare per tutti, si sentì chiamato a offrire la sua vita per la pace. |
Il primo conflitto mondiale era in corso. Arriviamo così al 29 giugno 1919: un amico gli fa visita e lo trova molto felice.
José Gregorio ha infatti saputo che è stato firmato il trattato che pone termine alla guerra.
La sua offerta è stata accolta, ed è come se lui presagisca che il suo compito in terra sia terminato.
Quella mattina, come al solito, era stato a Messa e ora scende in strada per portare una medicina a un malato.
Opera |
Ma, mentre attraversa la strada, viene investito da un veicolo; portato in ospedale, muore pronunciando il nome della Madonna. |
Il suo cammino terreno si conclude così, su una strada mentre compie un’opera di misericordia, e in un ospedale, dove aveva fatto del suo lavoro un capolavoro come medico.
Al cospetto di questo testimone chiediamoci: io, davanti a Dio presente nei poveri vicino a me, di fronte a chi nel mondo più soffre, come reagisco?
L’esempio di José Gregorio ci stimola all’impegno dinanzi alle grandi questioni sociali, economiche e politiche di oggi.
Tanti ne parlano, tanti ne sparlano, tanti criticano e dicono che va tutto male.
Impegnarsi non in |
Ma il cristiano non è chiamato a questo, bensì a occuparsene, a sporcarsi le mani: anzitutto, come ci ha detto San Paolo, a pregare e poi a impegnarsi non in chiacchiere — il chiacchiericcio è una peste — ma a promuovere il bene e a costruire la pace e la giustizia nella verità. |
Anche questo è zelo apostolico, è annuncio del Vangelo, e questo è beatitudine cristiana: «beati gli operatori di pace».
Andiamo avanti sulla strada del Beato Gregorio: un laico, un medico, un uomo di lavoro quotidiano che lo zelo apostolico ha spinto a vivere facendo la carità durante tutta la vita.
(Udienza generale in piazza San Pietro)