· Città del Vaticano ·

Federico Alessandrini, uomo di fede e di cultura al servizio della comunicazione nella Chiesa

Quando “Lector”
finì sul tavolo di Kennedy

 Quando “Lector” finì sul tavolo di Kennedy  QUO-209
12 settembre 2023

«Colpito da una forza cosmica che l’intelletto umano è riuscito a sprigionare e dirigere, il Giappone crolla con le rovine delle sue città, ma anche nella difesa vi sono limiti da non valicare» («Il quotidiano», 12 agosto 1945). Così Sandro Federici (pseudonimo di Federico Alessandrini) si esprime, nell’editoriale Pace!, voce unica nella stampa italiana a riprovare l’orrore di Hiroshima. Di seguito verranno gli appelli alla concordia dei grandi ad evitare nei trattati di pace le scelte punitive di Versailles, premessa di rivalse immancabili. Quanto a Yalta e alla partizione mondiale in zone di influenza, come illudersi? Il credo marxista prevede il superamento dialettico e il crollo delle potenze capitaliste. Riguardo alle strategie per il potere, Lenin faceva scuola. La proposta strumentale dei fronti popolari prevedeva la convergenza delle forze popolari anche se affette dal “pregiudizio religioso” destinato peraltro, con la partecipazione alla lotta di classe, ad estinguersi.

L’opuscolo Estremismo malattia infantile del partito comunista tornò utile ad Alessandrini nell’opera di dissuasione nel caso di “Sinistra cristiana” orientata a confluire nel “Fronte”. Per l’elezione dell’Assemblea costituente bisognava giustificare l’appello al voto unitario dei cattolici nella Democrazia Cristiana e insieme sconfessare l’equivoco del “partito cattolico”: miraggio per chi aveva per modello restaurazioni di tipo franchista a dispetto della prescrizione di Benedetto xv relativa al carattere non confessionale del partito di Sturzo. La presente insistenza per l’unità nel voto era solo a difesa della libertà della Chiesa e di tutti. Su «Il quotidiano» Alessandrini s’impegnava a dissipare ogni equivoco: in un quadro come quello inglese, a fronte di un partito conservatore o affine al laburista, libero da presupposti lesivi di libertà religiose e civili, l’unità nel voto non avrebbe avuto motivo né senso, proprio come per noi, nell’imminente 2 giugno, nella la scelta tra monarchia e repubblica.

Un ulteriore dibattito si apriva sul fronte laicista dove molti, con Croce, sostenevano l’inaffidabilità storica dei cattolici nella lealtà verso lo Stato per i loro presupposti dogmatici. Alessandrini replicava argomentando, storicamente. Inoltre, con la tradizione popolare cattolica, denunciava la frattura tuttora aperta tra liberali e base popolare. Urgeva uno sforzo formativo con la riqualificazione della scuola per una promozione sociale e culturale più adeguata rispetto alla riforma Gentile.

La linea del giornale godeva dell’avallo concorde di Montini e Tardini. Quanto all’Azione Cattolica, la piena sintonia con la presidenza centrale sarebbe venuta meno solo dopo l’avvicendamento tra Veronese e Gedda. Questi, dopo il successo elettorale del ’48 in cui avevano avuto parte i comitati civici da lui mobilitati, legato ai ceti più conservatori e infervorati nello zelo anticomunista, avanzava pretese per la conduzione politica del Paese, dimentico che all’Azione Cattolica spetta il mandato formativo e non quello di militanza diretta nell’agone politico. Era stato il rassicurante raduno dei trecentomila “baschi verdi” a spostare su Gedda la fiducia del Papa rispetto alla linea Montini-Veronese. Gedda, affiancando ad Alessandrini un vicedirettore, intendeva tenerlo sotto stretto controllo: non restava per lui che rientrare a «L’Osservatore Romano».

Checché ne pensasse il direttore Dalla Torre, il carattere semiufficiale del giornale imponeva di limitare gli interventi sulla politica corrente. Il veterano di battaglie antiche mal sopportava censure che non fossero dal Papa; tuttavia dalla Segreteria di Stato comunicati e articoli arrivavano senza coordinamento. Il vuoto era da colmare e a farsene carico fu Federico Alessandrini presto coinvolto nella “terza loggia” in questioni di ufficio. Il materiale in esame era soggetto a mutamenti nel linguaggio, ma non erano escluse valutazioni d’opportunità concordate coi minutanti, col sostituto talvolta e, non di rado, con lo stesso Tardini.

L’archivio Alessandrini restituisce in bozza articoli con in margine modifiche chieste dai superiori. Tra questi, uno in cui si trattava di ovviare, senza aperta sconfessione, a un intervento politico di un cardinale non nuovo a sconfinamenti azzardati: ben quattro risultano le redazioni prima di quella definitiva concertata assieme a Tardini. Ancora da Tardini l’incarico di riferire su «L’Osservatore Romano» sui processi a vescovi e personalità cattoliche nei paesi in prevalenza d’“oltrecortina”. Quel blocco ponderoso di denunce redatte in stile scarno e obiettivo, è oggi una fonte storica più che rilevante.

Gli articoli a sigla F.A., quindi non ufficiosi, se toccavano punti “sensibili,” passavano comunque per “la terza loggia”, Così pure quelli siglati Lector su «L’Osservatore della Domenica». I corrispondenti lo sapevano e rilanciavano. «Sei sul tavolo di Kennedy», fu riferito a Lector dopo lo scontro nel golfo del Tonkino che allargava la guerra vietnamita. Singolare il caso connesso alle tensioni tra i vescovi olandesi e Roma. Alessandrini intuiva dietro certi contrasti anche motivi storici che, se chiariti, potevano ovviare a qualche incomprensione. Il via libera superiore consentì a «L’Osservatore Romano», con tre densi articoli, di entrare nel merito. Il gradimento venne dal cardinale Alfrink, primate d’Olanda.

Un’area in cui Alessandrini si avventurava da recensore attentissimo era quella degli studi storici. Morghen, Candeloro, De Rosa, Spadolini, Montanelli, Missiroli, Scoppola... L’elenco di storici e saggisti potrebbe allungarsi, come quello delle recensioni, attese e talvolta sollecitate. Federico Alessandrini era anche cultore instancabile di storia locale, scrutatore di indizi archeologici, testimonianze artistiche, come pure archivistiche, lettore e raccoglitore di cronache e perciò critico nei confronti di studi costruiti su tesi precostituite, ma se da recensore segnalava elementi da cui dissentiva, insieme metteva in valore ogni aspetto condivisibile.

Nelle intenzioni di Tardini il successore di Dalla Torre avrebbe dovuto essere Alessandrini; ci fu di mezzo l’intervento di persona che credendo di far bene s’interpose tra Papa Giovanni e il suo segretario di Stato: il direttore fu così Raimondo Manzini. Un’amicizia antica avrebbe potuto vacillare: rimase ferma e collaborazione mai fu tanto leale.

di Giorgio Alessandrini


A 40 anni dalla morte


Federico Alessandrini  — morto il  3 maggio 1983 a Roma  — nasce a Recanati il 5 agosto 1905 da Raffaele, originario di Montegiorgio (Fermo), e da Maria Patrignani,  romana. Raffaele è pittore e partecipa alla vita culturale e politica di Recanati, sulla linea di Romolo Murri. La famiglia, che  comprende anche il fratello Adriano, dal 1919 è a Roma, dove Federico dal liceo Visconti passa alla facoltà di Lettere. Qui si laurea con lode nel 1929 con una tesi su: «La fortuna critica del Manzoni». Nella Fuci, con Righetti presidente e Montini assistente, diventa segretario nazionale e dirige il giornale «Azione fucina». Dall’Ufficio stampa dell’Azione Cattolica, durante la crisi del ’31 col “regime”, è trasferito in Vaticano nell’Ufficio giornali, incaricato di redigere una rassegna della stampa dapprima italiana, poi grazie a traduttori dal tedesco e dal russo, allargata a quella internazionale: destinatari il Papa, la Segreteria di Stato e il presidente Ciriaci. Sposa nel 1933 Giuseppina Celani, insegnante di lettere. Nello stesso anno, in collaborazione gratuita con la catena di giornali cattolici nazionali, redige sotto pseudonimo corrispondenze, presto notate anche all’estero, ricorrendo a notizie di cui l’ufficio dispone. Si va dalle vicende della Chiesa nella Germania nazista, ai fatti della tragedia spagnola, della Russia sovietica e altro. Quei pezzi (350 circa fino al 1938), passati al vaglio dal sostituto Pizzardo, riflettono indirettamente la linea della Segreteria di Stato. Insegnante di storia nell’Istituto magistrale “Sedes Sapientiae”, è dal 1940 nella redazione de «L’Osservatore Romano» ma la guerra gli impone un prudenziale riserbo. Con Roma liberata e i corrispondenti delle varie agenzie ai cancelli vaticani, ha luogo una svolta. In risposta alle istanze di chi sprovveduto si affacciava in un mondo nuovo e complesso, tornava in onore la Sala stampa de «L’Osservatore Romano». Alessandrini è ritenuto l’uomo giusto per un servizio in cui dei comunicati occorreva spiegare motivazioni e contesti. Da «Il quotidiano», l’organo ufficiale dell’Azione Cattolica, interviene nel dibattito politico nazionale e internazionale. Numerosi i suoi editoriali.  Dal 1946 al 1950 del giornale sarà il direttore, succedendo a Igino Giordani, per rientrare a «L’Osservatore Romano», dove sarà vicedirettore dal 1960 al 1972, quando Paolo vi lo chiamerà a dirigere fino al 1976 la Sala stampa della Santa Sede. Lasciato l’incarico, continuerà l’attività di titolare di rubriche su «L’Osservatore della Domenica» e di collaboratore sul giornale vaticano e su periodici vari, fino alla morte nel 1983.