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Il grande show

 Il  grande show  QUO-209
12 settembre 2023

«Gioco a zona o marcatura a uomo? Due o tre punte in attacco? Regista più o meno avanzato?». Questi erano gli argomenti che motivavano lunghe e appassionate chiacchiere nei bar, articolesse dotte di tecnicalità calcistiche, interminabili processi televisivi al campionato.

Ora non più. Da mesi l’argomento calcistico che domina, escludendo tutti gli altri, è il calcio-mercato. «Il Napoli ha ceduto Tizio per x milioni», «La Roma ha affittato Caio ma con l’opzione del riscatto fra due anni», «Sempronio è volato all’estero perché gli offrono il triplo», «Bilanci ed ammortamenti della tale squadra sono platealmente truccati», «Gli sceicchi hanno messo le mani sui campionati europei». Non si parla d’altro.

Come era in fondo prevedibile ormai il calcio ha preso l’irreversibile strada del business dell’intrattenimento, con una parvenza di competitività sportiva. Tutto gira intorno ai soldi, non solo il calcio-mercato, ma anche i diritti televisivi, le sponsorizzazioni, gli stadi trasformati in centri commerciali, lo sfruttamento economico dei brand delle squadre. Solo sullo sfondo 22 ragazzi milionari che giocano con un pallone. Ma anche sul campo il sospetto che a decidere il risultato sia la convenienza economica dell’uno o dell’altro è forte. E legittimo, visti i non pochi scandali e scommesse che si sono succeduti negli anni.

Si prova una certa tenerezza ad osservare il pathos che comunque anima tanti tifosi. Nessuno ne è indenne quando gioca la squadra del cuore. Poi ogni tanto, davanti alla tv, ti assale un dubbio: ma è vero quello che sto vedendo? O sono un consumatore sciocco e manipolato di una grande farsa? Il calcio, nel suo insieme, è forse la più grande fake dei nostri tempi? E se è vero che il dominus del football sono oggi i soldi, è naturale che essi si portino dietro, come in tanti altri campi, le degenerazioni che gli sono connaturali. Anche sul piano dei comportamenti individuali. Per esempio la carica di aggressività che si registra in campo, dove più che avversari si incontrano nemici.

Guardando i recenti mondiali di atletica leggera colpiva vedere la gentilezza reciproca che gli atleti si usavano tra loro. Barshim che appena sconfitto da Tamberi nel salto in alto si precipita ad abbracciarlo e a farsi un selfie con lui e il figlioletto. Le fantastiche ragazze azzurre della staffetta 4x100, che arrivate un filino fuori della zona medaglia corrono a festeggiare le vincitrici. Nulla di più lontano dai fallacci cattivi, dagli insulti reciproci, le patetiche simulazioni che fanno da coreografia ai professionisti del pallone. E deprime pensare che questi comportamenti divengano poi uno stile di comportamento per i tanti ragazzini che rincorrono una palla sui campetti dell’oratorio o del centro sportivo. L’emulazione del cattivo agire.

Forse, senza voler mortificare la passione di tanti, sarebbe meglio se cominciassimo a pensare al calcio professionistico non più come uno sport, ma come un grande show. Sarebbe più onesto.

di Roberto Cetera