· Città del Vaticano ·

Hic sunt leones
Le iniziative messe in atto dalle Chiese africane per contrastare il “global warming”

Una terra che non intende restare a guardare

Africa map drought or waterless concept isolated on white
08 settembre 2023

Negli ultimi 50 anni, le attività umane — in particolare l’uso dei combustibili fossili — hanno determinato l’emissione di quantità sufficienti di anidride carbonica e altri gas serra in grado di trattenere ulteriore calore nella bassa atmosfera, influenzando così il clima globale. La prova sta nel fatto che dal 1850, cioè da quando abbiamo a disposizione una serie storica delle temperature globali, queste sono sempre state più alte, soprattutto negli ultimi 30 anni. In particolare, il mondo, nel suo insieme, si è riscaldato di circa 1°C dal 1970 e da 1,1°C a 1,3°C dalla metà del 1800. Si tratta del cosiddetto “Global warming” (“Riscaldamento globale”) che si sta manifestando con declinazioni diverse un po’ a tutte le latitudini.

Per correttezza, occorre comunque puntualizzare che mentre le emissioni umane di CO2 e altri gas serra sono effettivamente responsabili di tutto il riscaldamento a lungo termine del nostro pianeta, le temperature in un dato anno sono fortemente influenzate dalle variazioni a breve termine del clima terrestre che sono tipicamente associate agli eventi di riscaldamento (El Niño) o raffreddamento (La Niña) delle acque. Queste fluttuazioni di temperatura tra l’oceano e l’atmosfera nel Pacifico tropicale contribuiscono a rendere alcuni anni più caldi e altri più freddi.

Sta di fatto che, nell’attuale segmento del decennio in corso, questa fenomenologia climatica continua progressivamente ad aggravarsi, con il risultato che il livello dei mari sta aumentando, i ghiacciai continuano a ridursi di spessore e gli eventi meteorologici estremi diventano sempre più intensi e frequenti. In questo contesto, il continente africano è indubbiamente quello più vulnerabile. Nonostante sia stato ampiamente dimostrato che ha contribuito in minima parte al riscaldamento globale rispetto ad altri continenti e le sue emissioni siano relativamente basse, deve misurarsi con danni d’ogni genere prodotti dai cambiamenti climatici. A pagare il prezzo più alto in Africa sono i minori, essendo quelli più esposti agli effetti del cambiamento climatico. Secondo un nuovo rapporto dell’Unicef, l’agenzia per l’infanzia delle Nazioni Unite, i giovani presenti in 48 dei 49 Paesi africani presi in esame «sono classificati come ad alto o estremamente alto rischio per gli impatti dei cambiamenti climatici». Gli estensori dello studio dell’agenzia Onu hanno espresso le proprie valutazione in base all’esposizione dei bambini agli shock climatici e ambientali, come cicloni e ondate di caldo, valutando al contempo la loro vulnerabilità rispetto alle limitazioni nell’ accesso ai servizi essenziali.

I risultati di una recente indagine della Banca europea per gli investimenti (Bei) indicano con chiarezza le condizioni in cui versa l’Africa, in vista del “Climate Summit” tutto africano che si è svolto nei giorni scorsi a Nairobi. Partendo dal presupposto che occorre rinnovare il sistema finanziario globale per mobilitare in modo più equo le risorse a vantaggio dei Paesi che, eufemisticamente, si trovano nell’occhio del ciclone, l’indagine della Bei sul clima mostra che per milioni di persone nel continente africano, i cambiamenti climatici stanno avendo un impatto estremamente negativo sulla vita quotidiana, come nel caso dell’accesso all’acqua e la garanzia del cibo, per non parlare del crollo dei redditi e la mancanza in termini generali dei mezzi di sussistenza. L’88 per cento degli africani intervistati ritiene che il cambiamento climatico stia già influenzando la loro vita quotidiana; il 61 per cento ritiene che il cambiamento climatico e i danni ambientali connessi abbiano influito sul loro reddito o sulla loro fonte di sostentamento; il 76 per cento afferma che le energie rinnovabili dovrebbero avere la priorità. Lo studio della Bei conclude sottolineando che «esiste un chiaro consenso sulla via da seguire: più di tre quarti degli intervistati affermano che per prevenire il riscaldamento globale, le economie devono dare alla decarbonizzazione una priorità assoluta».

Se da una parte è dunque vero che il “Global warming” amplificherà drammaticamente eventi già oggi molto ricorrenti, quali piogge violente, inondazioni, siccità e desertificazione, sottraendo il terreno ai contadini, soprattutto nelle regioni più povere del continente; dall’altra il cambiamento climatico acuirà inesorabilmente la mobilità umana all’interno dei Paesi interessati e oltre le loro frontiere. Da questo si evince chiaramente che i cosiddetti “migranti economici” — al centro del dibattito politico in Europa — saranno sempre più “migranti climatici”, accentuando la conflittualità sociale per l’uso delle terre, ma anche nei Paesi di destinazione.

Un altro tema scottante, connesso ai cambiamenti climatici, è quello degli incendi legati ai prolungati periodi di siccità. Secondo gli esperti, la causa scatenante è dovuta in parte alle pratiche agricole e zootecniche ancestrali per cui contadini e pastori bruciano tradizionalmente la vegetazione per ripulire e fertilizzare savana e foreste. Per non parlare della deforestazione della fascia tropicale per mano di aziende straniere: una progressiva soppressione delle aree boschive in modo da poterne sfruttare il legno per scopi industriali. Se a queste tecniche si associano i disastri ambientali e soprattutto i lunghi periodi di siccità sempre più frequenti, lo scenario complessivo è oltremodo inquietante. Infatti, le terre arse nel continente africano rappresentano quasi il 70 per cento dell’intero scacchiere andato a fuoco nel mondo.

D’altronde, è sempre più evidente l’importanza dell’ecosistema forestale per la regolamentazione e la stabilizzazione del clima, non solo in Africa, ma anche a livello planetario. Emblematico è il ruolo funzionale del grande fiume Congo nella regolazione e stabilizzazione del clima e nella promozione dello sviluppo socio-economico del suo vasto bacino idrografico.

Di fronte a questo scenario è evidente che occorre passare dalle parole ai fatti. «Il Gruppo intergovernativo delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico (Ipcc) afferma che un’azione urgente per il clima può garantirci di non perdere l’occasione di creare un mondo più sostenibile e giusto» ha ricordato Papa Francesco nel messaggio in occasione della Giornata mondiale di preghiera per la cura del Creato che si è celebrata lo scorso 1° settembre. D’altronde è sempre più evidente l’urgenza di promuovere un’ecologia integrale — in linea con l’Enciclica sociale Laudato si’ — intesa come paradigma concettuale e come percorso spirituale, non solo per l’Africa, ma per l’intero consesso delle nazioni. Da questo punto di vista, le Chiese africane hanno la grande responsabilità di promuovere e ricondurre, anche attraverso l’inculturazione, il tema dell’integrità del Creato nel contesto dell’annuncio del Regno di Dio.

Numerose sono le iniziative che in questi anni sono state promosse a livello ecclesiale. Ad esempio, nel marzo 2015, a Windhoek, in Namibia, le Commissioni regionali e nazionali Giustizia e pace del Simposio delle Conferenze episcopali di Africa e Madagascar (Secam) hanno lanciato l’idea della creazione della Rete ecclesiale per il bacino del fiume Congo (Rebac), seguendo l’esempio della Rete ecclesiale panamazzonica (Repam). L’iniziativa nella sua fase iniziale aveva come target i sei Paesi della foresta equatoriale (Camerun, Gabon, Guinea Equatoriale, Repubblica Centrafricana, Repubblica del Congo, Repubblica Democratica del Congo). Queste Chiese hanno optato per l’advocacy con l’intento dichiarato di sensibilizzare l’opinione pubblica e in particolare le comunità cristiane. Sempre in linea con questo indirizzo, la Conferenza episcopale nazionale del Congo (Cenco) ha istituito una Commissione episcopale per le risorse naturali (Cern).

Un’altra esperienza virtuosa è stato il progetto promosso dalla Commissione episcopale per l’educazione in Uganda denominato: “Rinverdire le scuole”. Nella prima fase sono stati piantati alberi su circa 15.000 ettari di terreno di otto diocesi. Questo progetto, avviato nel 2019, un anno prima dell’inizio della pandemia, è stato sostenuto dal ministero dell’ambiente ugandese. In tempi più recenti, lo scorso luglio, presso il Centro spirituale francescano di Kabgayi, in Rwanda, è stato organizzato un seminario sulla promozione della giustizia, pace e integrità del Creato per ogni creatura, organizzato da fra’ Jean Eric Mutabazi, Ofm, animatore provinciale su questi temi per la Provincia di San Francesco in Africa, Madagascar e Mauritius. Sono tutte iniziative, queste, in cui il tema ambientale è predominante, con particolare riferimento alla questione dei “peccati ecologici” connessi al “Global warming”. Una conferma che le Chiese non intendono stare alla finestra a guardare.

di Giulio Albanese