· Città del Vaticano ·

La sete il deserto e la speranza

Siamo tutti nomadi di Dio

 Siamo tutti nomadi di Dio   QUO-202
04 settembre 2023

Nel discorso pronunciato domenica durante l’incontro ecumenico e interreligioso svoltosi nello Hun Theatre di Ulaanbaatar, Papa Francesco ha affermato la possibilità e la necessità della speranza, che è sempre una via difficile, più lunga e faticosa della disperazione, ma più forte e feconda per continuare a vivere da esseri umani. Ha detto precisamente che «Sperare è possibile.  In un mondo lacerato da lotte e discordie, ciò potrebbe sembrare utopico; eppure, le imprese più grandi iniziano nel nascondimento, con dimensioni quasi impercettibili. Il grande albero nasce dal piccolo seme, nascosto nella terra».

Le dimensioni della Chiesa in Mongolia sono molto piccole, “quasi impercettibili”, circa 1500 cattolici in tutto il Paese, ma Dio ama la piccolezza come ha ricordato il Papa il giorno prima nel discorso nella cattedrale invitando a guardare a Maria che nel suo nascondimento ha compiuto grandi cose. Il Vangelo di Luca già nel suo incipit indica la logica e lo stile nascosto, discreto, di Dio. Da una parte c’è l’imperatore Augusto, l’uomo più potente del mondo, che impone il censimento, vuole contare i suoi sudditi, conoscere i numeri: gli uomini (come i mattoni di Babele) ridotti a dati da assemblare, contabilizzare; dall’altra Dio manda il suo angelo a Nazaret in Galilea, nella periferia della periferia (al punto che Natanaele di Cana può chiedersi «Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?»), a proporre ad una giovane ragazza un progetto che scompiglia la sua vita e cambierà la storia del mondo.

La speranza è questa via difficile, che non si fida dei grandi numeri ma accoglie con coraggio la sfida della vita. Una via che spesso porta ad attraversare il deserto.

L’immagine del deserto è stato il punto centrale su cui si è sviluppata l’omelia pronunciata dal Papa domenica, in cui si è riferito alla condizione nomade della popolazione mongola estendendola a tutta l’umanità: «tutti noi infatti, siamo “nomadi di Dio”, pellegrini alla ricerca della felicità, viandanti assetati d’amore. Il deserto evocato dal salmista si riferisce, dunque, alla nostra vita: siamo noi quella terra arida che ha sete di un’acqua limpida, di un’acqua che disseta in profondità; è il nostro cuore che desidera scoprire il segreto della vera gioia, quella che anche in mezzo alle aridità esistenziali, può accompagnarci e sostenerci. Sì, ci portiamo dentro una sete inestinguibile di felicità; siamo alla ricerca di un significato».

Il deserto e con esso la sete e, in fondo, la morte. Da qui la paura, lo smarrimento che assale ogni uomo e ogni donna nel corso del cammino della vita. Quella paura che spinge Pietro a scandalizzarsi della croce e a voler “proteggere” Gesù staccandolo dal suo destino di sofferenza. La reazione di Gesù è netta, tagliente. E ancora di più le sue ultime parole sulla croce che esprimono a assumono tutto questo mistero: prima «ho sete» e poi «Dio mio, perché mi hai abbandonato?».

A questa domanda, a questa sete, la fede cristiana ha risposto. Lo ha detto in modo forte, vibrante, il Papa nell’omelia, invitando i credenti a stare, dimorare, dentro questa domanda, senza evitarla o fuggire: «la fede cristiana risponde a questa sete; la prende sul serio; non la rimuove, non cerca di placarla con palliativi o surrogati: no! Perché in questa sete c’è il nostro grande mistero: essa ci apre al Dio vivente, al Dio Amore che ci viene incontro per farci figli suoi e fratelli e sorelle tra di noi. […] È vero, a volte ci sentiamo come una terra deserta, arida e senz’acqua, ma è altrettanto vero che Dio si prende cura di noi e ci offre l’acqua limpida e dissetante, l’acqua viva dello Spirito che sgorgando in noi ci rinnova liberandoci dal pericolo della siccità. Quest’acqua ce la dona Gesù».

Il Papa poi cita un passaggio bellissimo di sant’Agostino: «Se ci riconosceremo nell’assetato, ci riconosceremo anche nel dissetato» (Sul Salmo 62, 3).

Infatti, se tante volte nella nostra vita sperimentiamo il deserto, la solitudine, la fatica, la sterilità, non dobbiamo però dimenticare questo: «Affinché non veniamo meno in questo deserto — aggiunge Agostino — Dio ci irrora con la rugiada della sua Parola […]. Ci fa, sì, provare la sete ma poi viene ad appagarla. […] Dio ha avuto misericordia di noi e ha aperto per noi una via nel deserto: il Signore nostro Gesù Cristo», e questa è la via nel deserto della vita». C’è il deserto ma c’è una via, c’è la sete ma c’è l’acqua.

La scrittrice danese Karen Blixen ha guardato in faccia questo mistero, è questo il destino dei veri artisti, ha dimorato dentro quella domanda e ci ha donato questa riflessione: «Fino ad oggi, nessuno ha veduto gli uccelli migratori dirigersi verso sfere più calde che non esistono, o i fiumi dirottare attraverso rocce e pianure per correre in un oceano che non può essere trovato. Perché Dio non crea una brama, un desiderio, o una speranza senza aver pronta una realtà che li esaudisca. La nostra brama è la nostra certezza e beati siano i nostalgici perché torneranno a casa».

Nel momento in cui il Papa sta tornando a casa dal viaggio in Mongolia, ci dona questa speranza, possibile, necessaria e credibile. 

di Andrea Monda