· Città del Vaticano ·

Papa Francesco in Mongolia

Un “gregge” così piccolo
da stare in una foto

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02 settembre 2023

Quello della Mongolia è un “gregge” così piccolo da stare tutto in una foto. Un’istantanea storica, scattata nel pomeriggio di sabato 2 settembre all’esterno della cattedrale dei Santi Pietro e Paolo a Ulaanbaatar, al termine dell’incontro del Pontefice con i vescovi della regione, i sacerdoti, i missionari, i consacrati, le consacrate e gli operatori pastorali. Sì, la Chiesa di questo sterminato Paese asiatico era tutta lì, ad accogliere il vescovo di Roma venuto a confermarla nella fede. Un “piccolo gregge” fiero delle proprie tradizioni, per l’occasione raffigurate sul muro esterno della cattedrale – un edificio di mattoni rossicci dalla caratteristica forma circolare di ger — in un dipinto dedicato al Papa: una giornata dei nomadi mongoli in cui si mostra la vicinanza di Dio alla vita di ogni singola persona. Francesco lo ha potuto vedere quando dalla propria residenza presso la sede della prefettura apostolica ha raggiunto a bordo di una berlina scura di fabbricazione coreana la chiesa madre della Mongolia.

Prima dell’ingresso nell’edificio di culto consacrato esattamente 20 anni fa, il 30 agosto 2003, Francesco ha vissuto un momento di intimità domestica: davanti a una ger piantata nel giardino della chiesa una donna mongola gli ha offerto una coppa di latte di yak, sostenendo la tazza con le mani avvolte in una sciarpa azzurra. Accompagnato dal cardinale prefetto apostolico il Papa ha varcato la soglia della dimora, dov’era ad attenderlo la signora Tsetsege, la donna, madre di undici figli, che una decina di anni fa aveva rinvenuto tra i rifiuti una statuetta in legno della Madonna, poi intronizzata proprio in cattedrale, dove i cattolici mongoli e i missionari qui attivi la venerano come Madre del Cielo. Davanti a questa immagine mariana, lo scorso 8 dicembre il cardinale Marengo ha consacrato il Paese alla Vergine.

Salito su una golf car per un giro tra i fedeli in festa, il Papa ha benedetto e incoraggiato lungo il percorso i rappresentanti delle nove comunità (8 parrocchie e una cappellania) che compongono il piccolo gregge della Chiesa mongola. Ognuna di esse era riconoscibile dagli stand allestiti per l’occasione nel perimetro della cattedrale. E neanche l’improvviso temporale abbattutosi sulla città poco prima è riuscito ad ingrigire la palpabile atmosfera di gioia contagiosa che si respirava oggi pomeriggio nel distretto di Bayanzurkh, nel quadrante orientale della capitale.

Direttosi poi con l’ascensore all’ingresso principale della cattedrale, il vescovo di Roma è stato accolto dal parroco e dal vicario parrocchiale che gli hanno presentato la croce e l’acqua benedetta per l’aspersione. Attraversata la navata centrale si è recato all’altare, dove, dopo un canto di benvenuto, ha ricevuto il saluto del presidente della Conferenza episcopale dell’Asia centrale, cui appartiene anche la Chiesa della Mongolia.

Le testimonianze di una suora indiana Missionaria della Carità, di uno degli unici due sacerdoti autoctoni — il più applaudito perché ha parlato nella lingua locale — e di una giovane operatrice pastorale, intervallate da una coreografia danzante e canora eseguita da adolescenti in camicia candida, hanno introdotto il discorso del Pontefice. Il quale ha anzitutto esortato a «spendere la vita per il Vangelo» citando gli esempi del primo prefetto apostolico, il filippino Wenceslao Padilla, morto per infarto nel settembre 2018; di Giovanni da Montecorvino, che tradusse in lingua mongola il libro dei salmi e il nuovo testamento; e di Kim Stephano Seon Hyeon, fidei donum sudcoreano scomparso improvvisamente a maggio, la settimana prima dell’annuncio del viaggio papale, a soli 55 anni.

Francesco ha anche voluto spiegare perché ha creato cardinale il prefetto apostolico Marengo e ha concluso chiedendo ai presenti di «fare squadra», di non aver «paura dei numeri esigui, dei successi che tardano, della rilevanza che non appare».

Del resto la storia di questa Chiesa si potrebbe articolare in tre parti, coincidenti più o meno con gli gli ultimi tre decenni. La prima, dal 1992 al 2002, segnata dai progressi dell’esordio nel campo della promozione umana; la seconda con la nascita e il radicamento delle prime comunità locali; e la terza simboleggiata dall’ordinazione del primo prete mongolo, Joseph Enkhee-Baatar, nel 2016.

Oggi, secondo dati aggiornati, si contano circa 1.500 battezzati contro gli appena 14 del 1995, a fronte di un totale di oltre 60mila cristiani di varie denominazioni. Ad occuparsene sono un vescovo, ovvero il giovane cardinale missionario Marengo, venticinque sacerdoti, sei seminaristi, oltre trenta religiose, cinque consacrati non sacerdoti e trentacinque catechisti, in rappresentanza di una trentina di nazionalità.

Per questi operatori pastorali l’attività prevalente continua a essere nei campi sociale, educativo e sanitario. Secondo le statistiche più recenti la Chiesa gestisce cinque scuole (un istituto tecnico, due elementari e altrettante materne), un ambulatorio medico che assicura cure e medicinali agli indigenti, un centro per disabili e due case per l’accoglienza di anziani abbandonati e poveri. In più, ogni parrocchia è impegnata in progetti caritativi che si sommano a quelli di Caritas Mongolia: mense e docce pubbliche, servizi di doposcuola, corsi per l’istruzione di giovani donne.

Con la preghiera dell’Ave Maria e il canto Salve Regina si è concluso l’incontro, mentre il Papa benediceva la statuina lignea della Madre del Cielo, illuminata dalla luce filtrata attraverso alcune delle 36 vetrate policrome semicircolari della cupola. Sono state realizzate nel 2005 nello stile di Taizé e in quattro di esse un’artista sudcoreano ha dipinto un leopardo delle nevi, un’aquila, un angelo e uno yak, che nella sua visione rappresentano i quattro evangelisti.

Prima di congedarsi per rientrare nella residenza della prefettura apostolica per il pernottamento, Francesco ha salutato sull’altare i vescovi presenti, molti dei quali della vicina Corea che sostiene la Chiesa mongola; quindi i missionari e le missionarie, e, prima di salire in auto, si è fermato qualche istante in una sala attigua con alcuni fedeli. Infine, lo storico scatto all’esterno della cattedrale, dove, secondo le autorità locali, erano presenti duemila persone.

Da oggi la sfida da raccogliere è il passaggio da Chiesa missionaria a comunità adulta, autosufficiente, con clero e religiose nativi di questo Paese in cui quasi il 40 per cento della popolazione si dichiara non credente, retaggio dei settant’anni di ateismo di stato.

dal nostro inviato
Gianluca Biccini