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La storia, il cielo e la tenda

 La storia, il cielo e la tenda  QUO-201
02 settembre 2023

Pregando per la pace, momento centrale del primo discorso, quello alle autorità, Papa Francesco ha definito la Mongolia paese «ricco di storia e di cielo». E quindi poi ha parlato dello sguardo: «Entrati in una ger tradizionale, lo sguardo è portato a elevarsi verso il punto centrale più alto, dove c’è una finestra sul cielo. Vorrei sottolineare questo atteggiamento fondamentale che la vostra tradizione ci aiuta a riscoprire: saper tenere gli occhi rivolti in alto. Alzare gli occhi al cielo — l’eterno cielo blu da voi sempre venerato — significa restare in un atteggiamento di docile apertura agli insegnamenti religiosi». La ger è la tenda in cui vive gran parte del popolo della Mongolia, un popolo ancora in buona parte nomade. Questo viaggio, già in queste prime tappe, sembra configurarsi non solo come uno spostamento nello spazio, ma anche nel tempo. Ci muoviamo in un “altrove” che non è solo lontano migliaia di chilometri ma diventa l’occasione per vivere una esperienza vera, profonda, ri-generativa. Il Papa nelle parole dette in aereo nel volo di andata ha invitato tutti a cogliere questa occasione, “entrando” nella dimensione del silenzio che è la peculiarità di un «popolo piccolo in una terra grande […] Credo che ci farà bene capire questo silenzio, così lungo, così grande. Ci aiuterà capire cosa significa, ma non intellettualmente: capirlo con i sensi. La Mongolia si capisce con i sensi», e in aiuto dei sensi il Papa ha suggerito l’ascolto della musica di Aleksandr Borodin, questo genio multiforme della Russia dell’800, ad un tempo chimico e compositore famoso tra l’altro anche per gli schizzi sinfonici Nelle steppe dell’Asia centrale. Una musica che permette di “sentire” quel silenzio a cui gli uomini dell’Occidente non sono più abituati, chiusi come sono nelle loro case e palazzi. In Mongolia invece c’è la tenda, che non è chiusa ma aperta, perché la finestra è posta in alto, sul soffitto e il soffitto diventa il cielo, l’eterno cielo blu.

L’uomo è l’unico essere vivente che guarda il cielo, la conformazione anatomica stessa glielo consente. Per dormire l’homo erectus si stende supino mentre gli altri animali si accovacciano e da supino può contemplare la volta stellata e provare l’esperienza sorgiva dello stupore. È il tema della filosofia e della poesia come dimostra in modo chiaro e fulgido il Canto notturno del pastore errante dell’Asia di Giacomo Leopardi. Nel primo discorso il Papa ha ricordato questo senso di stupore che «suggerisce umiltà e frugalità, scelta dell’essenziale e capacità di distacco da tutto ciò che non lo è». Tutto questo diventa antidoto rispetto allo «spirito consumistico» che crea «tante ingiustizie, porta a un individualismo dimentico degli altri e delle buone tradizioni ricevute» e contiene in sé il «pericoloso tarlo della corruzione».

C’è quindi già una “lezione” che scaturisce da questi primi passi del Papa in terra mongola: l’invito ad una conversione dello sguardo verso l’alto, il cielo limpido e “incorruttibile” e verso l’essenziale. Sguardo stupito e grato e stile di vita frugale teso all’essenziale costituiscono sin dall’inizio due elementi costanti dell’intero pontificato di Francesco. Entrambi trovano nella tenda una figura emblematica. Il Levitico tra le altre cose contiene le istruzioni per la Festa delle Capanne: «Dimorerete sette giorni sotto le tende […] perché di generazione in generazione sappiate che ho fatto abitare sotto la tenda i figli d’Israele, quando li feci uscire dal paese d’Egitto» (Lv 23, 42-43) e il gesuita Jean Pierre Sonnet, nel saggio Il canto del viaggio, commenta: «Sette giorni per abbandonare la sicurezza delle case di mattone e di pietra e sperimentarsi di nuovo sotto la mano potente di Dio, soprattutto di notte, quando tra i rami del tetto brillano le stelle. Sette giorni per sperimentare, nella precarietà della condizione umana e della capanna, Dio come rifugio. Sette giorni per scoprire di nuovo che il cammino nel deserto — tale è ogni vita — è rimesso nelle mani di una guida sicura».

Alla “sicurezza” delle case e dei palazzi (e se vogliamo anche del Tempio), risponde una altro tipo di “sicurezza”, quella a cui rinvia la dimensione della tenda: l’abbandono filiale nelle mani di un Padre che non è rimasto impassibile nell’alto dei cieli ma è sceso dentro la storia degli uomini, per “abitare in mezzo a noi” (dove quell’abitare, eschènosen in greco, significa esattamente “ha messo la sua tenda”). 

di Andrea Monda