· Città del Vaticano ·

In un Paese giovane e antico

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02 settembre 2023

«Pellegrino di pace in questo Paese giovane e antico, moderno e ricco di tradizione, sono onorato di percorrere le vie dell’incontro e dell’amicizia, che generano speranza». Con la sua grafia minuta Papa Francesco ha così riassunto i motivi del viaggio in Mongolia, giunto oggi al secondo giorno. «Il grande cielo terso, che abbraccia la terra mongola, — ha aggiunto — rischiari nuovi sentieri di fraternità».

Motivazioni e auspici scritti sul Libro d’onore del Palazzo di Stato di Ulaanbaatar, durante la visita di cortesia al presidente della Repubblica mongola Ukhnaagiin Khürelsükh. La mattinata di sabato 2 settembre per il Pontefice era iniziata poco prima con la celebrazione della messa in privato nella cappella della prefettura apostolica, che lo ospita in questo soggiorno in terra mongola. Quindi in automobile — una berlina scura con davanti la bandierina gialla e bianca del Vaticano — si è recato in Piazza Sükhbaatar, l’enorme spazio all’aperto che celebra l’eroe dell’indipendenza nazionale su cui affaccia il complesso di Stato, noto come Saaral Ordon, con le sedi della Presidenza della Repubblica e delle principali magistrature del Paese. È qui che, in una bella mattinata di sole appena velato da qualche bianca nuvola, ha avuto luogo la cerimonia di benvenuto.

Su questo stesso spazio fino all’inizio del ventesimo secolo sorgevano il monastero buddista e il principale tempio sacro della capitale. Poi la trasformazione in un perfetto esempio di architettura socialista, con al centro la statua dell’eroe rivoluzionario da cui prende il nome. Oggi lo slargo è il cuore pulsante a livello istituzionale di una nazione impegnata per i diritti umani e per la pace, determinata a ritagliarsi un ruolo in Asia e nel più ampio scenario internazionale.

Sul lato settentrionale dello spiazzo, di fronte all’ingresso del “Palazzo grigio” — questa la traduzione del nome Saaral Ordon per il colore che aveva prima di essere dipinto di bianco nel 2007 — svetta l’enorme monumento bronzeo del padre fondatore della nazione, Gengis Khan, di cui ricorre l’860° anniversario della nascita: il condottiero è raffigurato seduto, con ai lati due cavalieri, anch’essi scolpiti nel bronzo, in groppa a magnifici destrieri.

Accolto da una bambina in abiti tradizionali, che ha offerto un mazzolino di fiori rossi, e dal presidente Khürelsükh anch’egli in abbigliamento tradizionale, con tunica (deel) beige e un caratteristico cappello, il Papa ha assistito alla guardia d’onore — i militari erano in alta uniforme e con tanto di scimitarra e copricapi che richiamano quelli delle due statue equestri —, all’esecuzione degli inni e all’onore alle bandiere, accompagnato da una parata di cavalieri in armatura, seguiti dalla presentazione delle delegazioni. Dopodiché Francesco e il presidente si sono ritrovati ai piedi della statua di Gengis Khan, per salutare dall’alto quanti erano intervenuti — tra loro anche fedeli giunti dalla Cina e da altri Paesi asiatici — e poi entrare nell’edificio. Durante la visita di cortesia al capo dello Stato, in una sala del palazzo il Pontefice ha firmato il libro d’onore, applaudito dal presidente e dai pochi che hanno potuto partecipare. A seguire, l’incontro privato nella Gran ger perché anche l’ufficio del presidente della Repubblica rende omaggio alla tradizionale abitazione in feltro bianca con un foro circolare in alto, dei pastori nomadi (del resto un’altra è piantata nel cortile). All’interno oggetti tradizionali come un arco con frecce, un morin khuur — strumento musicale noto come violino a testa di cavallo — e un dipinto raffigurante il potere politico. Prima che si chiudesse la porta in legno intarsiato, che qui chiamano “Khalga”, per il colloquio privato, il Papa ha chiesto all’interprete di tradurre per il capo dello Stato un breve pensiero, espressione dei propri sentimenti di gioia per essere in un Paese così antico e così giovane al contempo.

Al momento dello scambio dei doni, il vescovo di Roma ha offerto una medaglia d’oro del Pontificato e una formella di quella del viaggio: sullo sfondo vi svetta la frastagliata catena delle Altaj, le “montagne d’oro”; sulla sinistra vi è raffigurata la cattedrale cattolica dei Santi Pietro e Paolo, anch’essa a pianta circolare come le ger; accanto, la fontana dell’Angelo, chiamata anche l’Albero d’argento, riproduzione immaginaria di un’opera scultorea che si pensa fosse collocata nel palazzo imperiale del Gran Khan; in basso, al centro, la cartina geografica del Paese e i cinque animali che ne sostengono il popolo (cavallo, cammello, bue, capra e pecora); sulla destra, in basso, lo strumento musicale nazionale, mentre poco più in alto si nota l’Erdene Zuu Khiid, primo monastero buddista stanziale della Mongolia. Ancor più significativo il dono del fac-simile della lettera di Guyuk Khan indirizzata a Papa Innocenzo iv tra la fine di agosto e gli inizi del settembre del 1246 — esattamente 777 anni fa, dunque — di cui Francesco ha poi parlato nel primo discorso pronunciato in questo viaggio apostolico, incontrando poco dopo, nella sala Ikh Mongol dello stesso edificio presidenziale, le principali autorità del Paese. Leader politici e religiosi, diplomatici e imprenditori, rappresentanti della società. civile e della cultura, per un totale di circa 700 persone, hanno apprezzato l’intermezzo di musiche e danze che ha introdotto l’arrivo di del Pontefice, ma soprattutto le parole di quest’ultimo. In particolare quando ha elogiato le politiche ecologiche responsabili e la libertà religiosa del Paese, la Pax mongolica del passato e la determinazione attuale a fermare la proliferazione nucleare e per aver eliminato la pena di morte. Il Papa ha anche fatto riferimento al trentennale delle relazioni diplomatiche e al negoziato in corso per la stipula di un accordo bilaterale tra Santa Sede e Mongolia; ma soprattutto ha arricchito il proprio intervento attingendo all’antica cultura e alle tradizioni locali, concludendolo con l’esortazione, molto apprezzata dalla platea, del poeta nazionale Dashbalbar a essere «come il cielo».

Il Pontefice ha quindi concluso la mattinata nello stesso complesso con due distinti incontri, riservati rispettivamente al presidente del Grande Hural di Stato, ovvero il Parlamento unicamerale, Gombojav Zandanshatar, e al primo ministro Luvsannamsrai Oyun-Erdene. Alla presenza di piccole delegazioni, a entrambi ha lasciato in dono un trittico di medaglie e quella d’argento del viaggio.

dal nostro inviato
Gianluca Biccini