I missionari, libri

La cura dei bambini con disabilità fisiche e mentali, l’assistenza ai malati e agli anziani abbandonati dalle loro famiglie, l’accoglienza dei senzatetto, il sostentamento di chi non ha da sfamarsi e l’aiuto alle famiglie povere e agli emarginati. Sono le opere delle Missionarie della Carità che suor Salvia Mary Vandanakara ha presentato a Papa Francesco prendendo la parola all’inizio dell’incontro nella cattedrale. Con queste attività, ha spiegato la religiosa, si cerca di far capire alle persone quanto esse «siano preziose agli occhi di Dio, con il profondo desiderio di restituire loro dignità e valore umano».
Al servizio dei più poveri
La suora ha ricordato di essere giunta in Mongolia nel 1998, quando la Chiesa aveva appena iniziato a radicarsi. «Dedicandoci al servizio dei più poveri tra i poveri — ha raccontato — sentivamo che anche noi dovevamo vivere in mezzo a loro e sperimentare alcune delle difficoltà che affrontavano, come la mancanza di acqua e di altri beni di prima necessità». Il clima, ha fatto notare, «era estremamente freddo», allora non c’erano «strutture adeguate per permettere ai bambini di fare i compiti», così è stato organizzato un programma di doposcuola «con l’aiuto di alcuni insegnanti mongoli e in seguito siamo riusciti ad inserirli nelle scuole regolari per permettergli di completare gli studi». Tra i giovani che hanno ricevuto assistenza, c’era anche «un ragazzo che oggi è un sacerdote»: don Peter Sanjaajav, il quale ha presentato successivamente al Pontefice la sua testimonianza.
L’esperienza delle religiose, ha continuato suor Vandanakara, «non è nulla se paragonata a ciò che hanno passato altri missionari e a ciò che continuano ad affrontare per portare avanti la missione in questa terra». Stare insieme e sostenersi «a vicenda è di grande aiuto». Dopo aver ricordato con «amore e gratitudine» il defunto vescovo Wenceslao Padilla, primo prefetto apostolico, la religiosa ha evidenziato che il «terreno» su cui spargere i semi della fede in Mongolia «è molto “roccioso” e a volte sembra che non permetta alcuna infiltrazione», e «non dà facilmente frutti». Per questo, si è «inclini ad abbatterci e a farci prendere dalla delusione»; ma «con l’aiuto e la grazia di Dio e la protezione della nostra Madre Celeste, andiamo avanti senza paura e senza esitazioni».
Per la salvezza del popolo
Questo incontro «ci fa capire che Dio ama il suo popolo, sta accanto alle persone, accanto a noi mongoli»: è meraviglioso capire che «Dio è così vicino alla nostra vita quotidiana». Così si è espresso Peter Sanjaajav rivolgendosi al Papa dopo suor Salvia. Dio, ha sottolineato il sacerdote, «mi ha dato numerose opportunità di crescere come mongolo in terra mongola, e mi ha anche scelto per contribuire alla salvezza del mio popolo». Perché il frutto «dell’amore di Dio è iniziato da tempo, sta maturando in questo momento e sono certo che la sua visita produrrà un ricco raccolto». Don Peter ha chiesto al Papa di pregare per tutta la popolazione del Paese, specialmente per i fratelli e sorelle che non sono ancora credenti.
Imparare la “lingua” cattolica
Infine, Rufina Chamingerel, operatrice pastorale, ha raccontato la sua testimonianza al Papa, confidandogli di non essere cresciuta in una famiglia cattolica ma di essere diventata credente quando era studentessa. Allora le piaceva andare in parrocchia ed era entusiasta di condividere le parole dell’omelia e della catechesi che ascoltava nella parrocchia.
Una volta si è recata a trovare il suo bisnonno. «Per tutta la notte — ha detto — ho parlato della vita di Gesù, dalla sua nascita alla sua resurrezione. Immaginate, una giovane studentessa di 19 anni, che parla di Gesù con il papà di sua nonna! Il mio bisnonno aveva quasi 80 anni».
Poi quell’entusiasmo «si trasformò in un’importante responsabilità»: andare a studiare a Roma e tornare nel suo Paese per aiutare la Chiesa a crescere. Fu da questa decisione che iniziò la sua attuale vita di operatrice pastorale. «Imparando a conoscere il cattolicesimo — ha aggiunto — mi è sembrato di imparare una nuova lingua che si chiama lingua cattolica. Sto studiando questa lingua da 14 anni e continuerò ad impararla».
Quando un anno fa ha ricevuto la porpora il prefetto apostolico Giorgio Marengo, diverse persone si chiedevano chi fosse un cardinale. «La nostra Chiesa — ha evidenziato Rufina — è in quella fase tipica dei bambini che pongono costantemente domande ai loro genitori». E «lei — ha continuato rivolgendosi a Francesco — è venuto in una Chiesa giovane e piccola. A nome di tutti cattolici in Mongolia, la ringrazio profondamente».
«Secondo me — ha assicurato la donna — siamo molto fortunati in quanto non abbiamo molti libri di catechesi nella nostra lingua, ma abbiamo molti missionari che sono libri viventi». Infine, ha sottolineato «l’efficienza del Sinodo e della sinodalità», rimarcando che «durante il nostro Sinodo i nostri fedeli, specialmente gli operatori pastorali, hanno potuto comprendere ancora meglio la vera natura della Chiesa e hanno avuto una visione più completa per le nostre parrocchie».