· Città del Vaticano ·

Il passato viene dal futuro

Essere padri oggi Cioè domani

 Essere padri oggi Cioè domani   QUO-199
31 agosto 2023

Due fatti semplici, quasi banali, da me vissuti negli ultimi giorni, una passeggiata in centro e la visione di un film in tv, hanno provocato un cortocircuito mentale sul tema del rapporto padre-figlio inteso come questione della responsabilità tra le generazioni. Qui di seguito le due riflessioni.

Il padre che sarà

Qualche giorno fa, passeggiando per il centro di Roma con mia moglie, siamo entrati in un negozio di scarpe. Non c’era la titolare del negozio ma, in piedi sulla soglia, la figlia, una ragazzina di circa 10-12 anni. Ci guarda e ci informa parlando con tono meccanico: «Mia madre non c'è in questo momento, ma arriva subito». Passano neanche due minuti e lei, guardando fuori dal negozio, verso due persone, dice (con lo stesso tono meramente informativo, neutro): «Ecco, quella è mia madre.. l'altro è il mio futuro padre». L'affermazione (e il tono) mi colpisce e mette in moto una serie di pensieri. Il primo è ovviamente sul fatto che oggi una frase come quella non è poi così strana, e che quel tono così tranquillo di fatto suona promettente, forse i rapporti tra questi tre soggetti saranno buoni e lieti. Il secondo pensiero mi impegna di più e si presenta in forma interrogativa: chi è, che cosa è, infine, un padre? Qui la questione non è tanto sulla differenza tra padre biologico e padre spirituale, ma ruota intorno proprio su quella parola: “futuro”. Perchè automaticamente si associa (ed anch'io lo faccio) l'idea di padre all'idea del passato, di chi ci ha preceduto e generato. E invece la ragazza aveva associato il padre al futuro: “quell'uomo lì sarà mio padre”. Ho quindi pensato: forse c’è una verità in questa frase paradossale. Forse il padre non è solo dietro di noi, alle nostre spalle, ma anche davanti a noi, ancora di là da venire. Forse l'essere padre non è qualcosa che si è, una volta per tutte, ma che si diventa. Una sfida continua, una faticosa conquista. Quell'uomo sarà in futuro il padre di questa ragazza se riuscirà ad esserlo veramente. E terzo e ultimo pensiero: come si fa, cosa si deve fare, per diventare padre? Faccio fatica a organizzare la risposta. Allora penso a Gesù. Che chiama Dio Abbà, papà. E grida verso il Padre quando si sente abbandonato. Nella Bibbia e nel Vangelo infatti Dio viene spesso chiamato con questa parola: padre. Dio di sicuro lo sa cosa bisogna fare per essere veramente padri. Lui che ci ha creati e ci attende, percorrendo e precorrendo in Gesù tutte le nostre strade, anche quelle buie del sepolcro. Forse diventare Padre vuol dire imparare a morire, e farlo per primi rispetto ai figli, davanti a loro per mostrargli la strada e indicargli il passo, lo stile con cui attraversare tutti i passaggi della vita, fino all'ultimo. Penso a mio figlio e sento un brivido lungo la schiena: quale grande peso ha messo sulle spalle di quell'uomo (di ogni uomo), la ragazzina che sulla soglia del negozio ci indicava il suo futuro padre!

Essere padri cioè responsabili
fino alla fine

Nel saggio postumo Altri mondi del 1966, lo scrittore inglese C.S.Lewis parla della fantascienza che «spesso tratta di argomenti molto più seri di quelli trattati dalla narrativa realistica: problemi reali sul destino umano e cose del genere». Mi è venuta in mente questa affermazione di un grande scrittore ed esperto di fantascienza e dintorni, qualche giorno fa, mentre vedevo su una piattaforma televisiva un film di quelli “apocalittici”, a suo modo divertente (per chi ha lo stomaco bello resistente), The War of Tomorrow il titolo, La guerra di domani o, meglio, si dovrebbe dire, “per il domani”. Dopo circa mezz'ora il film diventa quasi splatter, con molto sangue e uccisioni violente, una sorta di videogioco, troppo veloce e feroce per chi ha una certa età, un film insomma “vietato ai maggiori”. Però la trama escogitata dagli sceneggiatori è ricca di spunti molto interessanti.

Nella prima scena tutto il mondo sta vedendo in tv la finale dei campionati mondiali di calcio quando proprio nel centro del campo di gioco sbucano, da un ormai classico varco spazio-temporale, un gruppo di soldati armati fino ai denti che interrompono la partita e cominciano a parlare: “Noi siamo voi tra 30 anni. La terra è stata invasa da una razza aliena che ci sta distruggendo e siamo rimasti in pochi, molto pochi.. abbiamo bisogno del vostro aiuto. Venite in nostro soccorso e ce la faremo, venite in soccorso dei vostri figli”.

Ecco la guerra di domani, per il domani. Il futuro viene incontro all'uomo, mostrando il suo volto più inquietante e terribile, e l'uomo è costretto a fare i conti con se stesso e chiedersi quale sia il senso e il destino della sua esistenza su questo pianeta. E provare a rispondersi. La risposta prevalente è quella della solidarietà, questa volta non per i prossimi, i vicini, i connazionali, ma per “i futuri”. Le nazioni provvedono ad un arruolamento di massa e a questi improvvisati soldati viene detto: “non andate a difendere quelli del vostro paese, ma tutti, gli esseri umani in quanto tali”. Non è male. Ma questa non è l'unica risposta: ci sono anche quelli che rifiutano di andare a combattere e protestano: “Questa non è la nostra guerra!” è la frase che campeggia sui cartelloni dei manifestanti che davanti ai palazzi dei governi di tutto il mondo, protestano per la scelta di andare a combattere nel pianeta Terra del 2053.

C'è un altra “reazione” che si manifesta man mano che procede questa guerra tra i nonni e i genitori di oggi che vanno in soccorso dei figli e nipoti di domani e questa ferocissima e apparentemente invincibile razza aliena, ed è la reazione dello sconforto. La guerra infatti sembra volgere al peggio, nonostante l'arrivo dei rinforzi, nulla riesce ad invertire le sorti dello scontro che conduce quindi a milioni, anzi miliardi di vittime. Da qui la sfiducia, lo sgomento, lo svuotamento che colpisce soprattutto i giovani: una scena del film è ambientato a scuola, dove si vede un professore che insegna scienze naturali agli studenti ma questi non lo seguono, sono apertamente con la testa altrove e fanno altro o dormono. Alla domanda del professore sul perchè di quella condotta, i ragazzi rispondono prontamente: “a cosa serve studiare?”, “non abbiamo più il nostro futuro, è finito, morto”, “niente ha più senso se non c'è futuro”.

Ecco qui, in estrema sintesi, la trama di partenza di questo film che ha il merito indiscutibile di porci una domanda tremendamente inquietante: ma questa storia fantascientifica, assurda e irreale, non suona forse come una precisa fotografia della realtà quotidiana dei nostri giorni? Una fotografia senza dubbio alterata con potenti filtri colorati ma che nella sostanza dice le cose come stanno, oggi. Il rapporto tra le generazioni, in particolare la questione della responsabilità tra le generazioni, il dramma della percezione di un futuro che non esiste più o che, se esiste, è ostile e disperato.. non sono tutti temi che oggi emergono prepotentemente? Su questi temi vale dunque la pena interrogarsi, magari anche stimolati da un film d'azione e “di cassetta”.

Per inciso, nel finale che non rivelerò, il protagonista, che ovviamente è il professore di scienze naturali sopra citato (e chi se non un professore è la persona più adatta a sentire ed esercitare la responsabilità verso le nuove generazioni?) andrà a parlare con l'anziano padre, con il quale aveva rotto ogni rapporto e questo fatto si rivelerà decisivo. Quando il futuro viene incontro è lì che rispunta il passato, torna a vivere come esperienza e saggezza e quindi a generare nuova vita, anche quando sembrava definitivamente “passato”. La via della memoria e della misericordia sembra rivelarsi, anche in un film molto semplice e senza pretese, l'unica via percorribile per aprire e allargare lo spazio della possibilità per un futuro veramente umano.

di Andrea Monda