· Città del Vaticano ·

Parole e gesti di Papa Francesco

Un atto di speranza un atto di amore

 Un atto di  speranza un atto di  amore    ODS-013
02 settembre 2023

«Domani andiamo a compare il diario nuovo?»: questa domanda ha contrassegnato ogni estate della mia infanzia e della mia adolescenza. A rivolgermi il quesito, musicato dal dolce suono dell’accento abruzzese, era la mia vicina di casa al mare: una mia coetanea, Monia, con la quale avevo fatto amicizia sin dal primo giorno di vacanze e con la quale condividevo lunghe ore di giochi sulla spiaggia e di corse in bicicletta. Quella domanda arrivava sempre i primi giorni di settembre e racchiudeva un vero e proprio rito: quello di andare insieme in cartoleria per scegliere il diario scolastico che ci avrebbe accompagnato per l’intero anno formativo che stava per iniziare. La scelta doveva essere accurata, meditata e ponderata in base alle mode del momento, alle necessità e ai gusti personali. Insieme al diario, spesso compravamo anche l’astuccio, le penne, gli evidenziatori. Un rito, appunto, che aveva il sapore dell’amicizia, ma anche della possibilità: pur non essendo ancora adulte, io e Monia ci sentivamo già forti e sicure, perché potevamo studiare.

Il dramma dell’analfabetismo

Ma per due bambine felici come noi, quanti ce ne sono nel mondo che non hanno o non hanno mai provato questa gioia? Tantissimi. Troppi. Basti dire che, secondo l’ultimo rapporto sugli Obiettivi per lo sviluppo sostenibile, ancora oggi, sul pianeta, ci sono 617 milioni di minori che non sono in grado di leggere e far di conto. E un bambino su cinque tra i 6 e i 17 anni non frequenta la scuola. Ciò accade soprattutto nell’Africa subsahariana, in Paesi come Etiopia, Liberia, Senegal e Gambia in cui si registrano tassi di analfabetismo che si aggirano intorno al 50 per cento della popolazione totale. La causa principale di tale drammatica situazione è, spesso e volentieri, la povertà: in molte parti del mondo, le scuole sono troppo care e le famiglie non guadagnano abbastanza per pagare la retta, le divise, i libri e il materiale scolastico dei figli.

Di conseguenza, in mancanza di risorse, i bambini comincino a lavorare fin da piccoli, perdendo quello che è un loro diritto fondamentale: il diritto all’istruzione.

La povertà
educativa

La mancanza di educazione non è altro, dunque, che uno dei mille volti della povertà, che diventa proprio “povertà educativa”. Un tema particolarmente sentito da Papa Francesco, fautore, nel settembre 2019, del “Patto educativo globale”, ovvero un incontro «per ravvivare l’impegno per e con le giovani generazioni, rinnovando la passione per un’educazione più aperta ed inclusiva, capace di ascolto paziente, dialogo costruttivo e mutua comprensione».

«Mai come ora — affermava il Pontefice quattro anni fa —, c’è bisogno di unire gli sforzi in un’ampia alleanza educativa per formare persone mature, capaci di superare frammentazioni e contrapposizioni e ricostruire il tessuto di relazioni per un’umanità più fraterna». Una nuova educazione, dunque, che sia in grado di aiutare concretamente a crescere nella solidarietà, nella responsabilità e nella cura basata sulla compassione.

Il Patto educativo
globale

L’iniziativa promossa dal Vescovo di Roma punta, in particolare, a intraprendere «un cammino educativo che coinvolga tutti», così da «costruire un “villaggio dell’educazione” dove, nella diversità, si condivida l’impegno di generare una rete di relazioni umane e aperte». A contrassegnare questo “villaggio”, però, deve essere il coraggio e il Papa lo afferma con chiarezza: avere il coraggio di mettere al centro la persona, il valore proprio di ogni creatura, in modo da respingere la cultura dello scarto. Poi, ci deve essere il coraggio di investire le migliori energie con creatività e responsabilità, in modo che l’educazione abbia una progettualità di lunga durata, che non si areni nella staticità delle condizioni, ma arrivi a comporre un nuovo umanesimo. Infine, occorre il coraggio di formare persone disponibili a mettersi al servizio della comunità, perché «il servizio è un pilastro della cultura dell’incontro».

L’educazione umanizza
il mondo e la storia

Oltre al coraggio, per costruire una educazione più “umana”, ossia in grado di «umanizzare il mondo e la storia», Francesco richiama anche alla speranza: «Educare è scommettere e dare al presente la speranza che rompe i determinismi e i fatalismi con cui l’egoismo del forte, il conformismo del debole e l’ideologia dell’utopista vogliono imporsi tante volte come unica strada possibile», afferma in un videomessaggio diffuso il 15 ottobre 2020, in occasione di un incontro promosso e organizzato dall’allora Congregazione per l’educazione cattolica e dedicato al Patto educativo globale. «Atto di speranza», «questione di amore e di responsabilità che si trasmette nel tempo di generazione in generazione», l’educazione — sottolinea il Pontefice — si propone perciò «come il naturale antidoto alla cultura individualistica». Una cultura contro la quale il Vescovo di Roma suggerisce alcuni specifici passi, tra cui quello di «educarci all’accoglienza, aprendoci ai più vulnerabili ed emarginati».

Per una scuola
accogliente

L’invito all’accoglienza il Pontefice lo lancia anche il 10 giugno 2021, in un videomessaggio trasmesso in occasione del ventesimo anniversario di fondazione della Federazione latinoamericana dei collegi della Compagnia di Gesù (Flacsi): «Desidero che le scuole siano “scuole accoglienti”, ossia luoghi in cui si possano ricomporre ferite proprie e altrui — afferma il Papa —; scuole dalle porte aperte reali e non solo a parole, dove i poveri possano entrare e dove si possa andare incontro ai poveri. Essi incarnano la saggezza evangelica, che è l’ottica privilegiata dalla quale tanto possiamo imparare».

I poveri,
maestri di vita

Ma se il punto di vista del povero è quello dal quale si può apprendere molto, allora significa che, come afferma Francesco, i poveri sono «maestri di vita». E questo è un altro aspetto dell’indigenza che ci piace sottolineare e che il Papa ha messo in luce sin dall’inizio del suo Pontificato: l’8 maggio 2013, ad esempio, dopo neanche due mesi dalla sua elezione al Soglio di Pietro, in un’udienza con i partecipanti all’Assemblea plenaria dell’Unione internazionale delle superiori generali, egli ricorda che «la povertà insegna la solidarietà, la condivisione e la carità, e si esprime anche in una sobrietà e gioia dell’essenziale, per mettere in guardia dagli idoli materiali che offuscano il senso autentico della vita». «La povertà si impara con gli umili, i poveri, gli ammalati e tutti quelli che sono nelle periferie esistenziali della vita — sottolinea ancora Francesco —. La povertà teorica non ci serve. La povertà si impara toccando la carne di Cristo povero, negli umili, nei poveri, negli ammalati, nei bambini».

Promuovere una cultura
della solidarietà

L’anno successivo, il 2014, il tema ritorna nel Messaggio pontificio per la xxix Giornata mondiale della gioventù che, non a caso, come motto ha «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5, 3). Ma «in che senso possiamo concepire la povertà come una benedizione — scrive Francesco nel messaggio —? Gesù è Dio che si spoglia della sua gloria. Qui vediamo la scelta di povertà di Dio: da ricco che era, si è fatto povero per arricchirci per mezzo della sua povertà. È il mistero che contempliamo nel presepio, vedendo il Figlio di Dio in una mangiatoia; e poi sulla croce, dove la spogliazione giunge al culmine». Di qui, i tre suggerimenti che il Papa offre ai giovani per vivere nel modo migliore la povertà spirituale. Il primo passo che i ragazzi possono compiere è quello di «cercare di essere liberi nei confronti delle cose», senza cedere alla cultura del consumo, bensì vivendo con sobrietà. «Così come è necessario il coraggio della felicità, ci vuole anche il coraggio della sobrietà», esorta Francesco. In secondo luogo, è necessaria «una conversione per quanto riguarda i poveri», rimettendo al centro della cultura umana la solidarietà. «Dobbiamo imparare a stare con i poveri — ammonisce il Pontefice —. Non riempiamoci la bocca di belle parole sui poveri! Incontriamoli, guardiamoli negli occhi, ascoltiamoli. I poveri sono per noi un’occasione concreta di incontrare Cristo stesso, di toccare la sua carne sofferente». Anche perché — e questo è il terzo suggerimento — i poveri non sono soltanto persone alle quali possiamo dare qualcosa. Anche loro hanno tanto da offrirci, da insegnarci. Abbiamo tanto da imparare dalla saggezza dei poveri!». Sì, sottolinea Francesco, «i poveri sono come maestri per noi. Ci insegnano che una persona non vale per quanto possiede, per quanto ha sul conto in banca. Un povero, una persona priva di beni materiali, conserva sempre la sua dignità. I poveri possono insegnarci tanto anche sull’umiltà e la fiducia in Dio».

La «piccola carezza»
della Cappella Sistina

Non solo: dalle persone indigenti ci arriva anche ulteriore insegnamento, legato alla bellezza.

Profondamente consapevole del fatto che la persona umana vada considerata in modo integrale, cioè guardando non solo alle sue necessità materiali ma anche a quelle dell’anima, a marzo del 2015 Papa Francesco si fa artefice di un’iniziativa al di fuori di ogni schema: attraverso l’allora Elemosineria apostolica, invita i poveri a visitare i Musei vaticani e la Cappella Sistina.

Centocinquanta gli indigenti che prendono parte a un evento mai vissuto prima e definito dallo stesso Pontefice «una piccola carezza».

Sotto le mirabili volte affrescate da Michelangelo, il Papa saluta, uno per uno, i partecipanti all’incontro, visibilmente commossi e pieni di meraviglia davanti a tanta bellezza.

«È come andare in paradiso!», commentano con emozione.

E Francesco risponde: «La Cappella Sistina è la casa di tutti, la vostra casa dove le porte sono sempre aperte per tutti».

Anche gli indigenti
hanno bisogno dell’arte

In quello stesso luogo, custode di uno dei massimi capolavori artistici della storia, otto anni più tardi — il 23 giugno 2023 —, il Vescovo di Roma incontra gli artisti partecipanti all’incontro promosso in occasione del cinquantesimo anniversario dell’inaugurazione della collezione d’arte moderna dei Musei vaticani.

E ai più illustri tra pittori, scultori, architetti, scrittori, poeti, musicisti, registi e attori contemporanei, Francesco presenta una richiesta specifica: quella di «non dimenticare i poveri, che sono i preferiti di Cristo, in tutti i modi in cui si è poveri oggi».

«Anche i poveri hanno bisogno dell’arte e della bellezza — spiega il Papa —. Alcuni sperimentano forme durissime di privazione della vita; per questo, ne hanno più bisogno. Di solito non hanno voce per farsi sentire. Voi potete farvi interpreti del loro grido silenzioso».

La bellezza
che guarisce

Un mandato che lo stesso Pontefice ha messo in atto in prima persona in tante occasioni. Ma ce n’è una che ricordiamo, se non altro per un motivo “affettivo”: è il 15 novembre 2019, vigilia della terza Giornata mondiale dei poveri. Sono le ore 17 e Papa Francesco inaugura un nuovo centro di accoglienza notturna e diurna, a pochi metri dal colonnato di piazza San Pietro. Situato all’interno di Palazzo Migliori, oggi quel luogo è divenuto un importante punto di riferimento non solo per tanti bisognosi, ma anche per noi, giornalisti, volontari e amici de «L’Osservatore di strada»: è qui, infatti, che ci diamo appuntamento, la domenica mattina, per iniziare la distribuzione gratuita del nostro giornale. Ed è da qui che, materialmente e idealmente, partono le nostre riflessioni. Perché Palazzo Migliori ci insegna a guardare il mondo proprio dal punto di vista dei poveri. Ebbene: quattro anni fa, entrando nel centro di accoglienza, Francesco esclama: «La bellezza guarisce!». E poi si sofferma sulla «cultura dello scarto», sul bisogno di recuperare un senso di responsabilità verso i più poveri e, soprattutto sulla necessità di «educare i giovani alla compassione».

Il compito
di ogni cristiano

Alla luce di quanto detto, se provassimo ora a tracciare un piano educativo ideale, con le “materie” che Papa Francesco auspica vengano insegnate ai giovani, ne emergerebbero in primo luogo la dignità della persona umana, l’accoglienza e la povertà di spirito. Ma anche la speranza, il coraggio, la compassione e la bellezza, che sono pilastri formativi centrali, non certo complementari. La vera sfida, dunque, è trasporre tutte queste materie dal piano teorico al piano pratico. E questo è il compito che spetta a ogni cristiano. (Isabella Piro)

di Isabella Piro