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Lezione alla mensa della Caritas

 Lezione  alla mensa  della Caritas  ODS-013
02 settembre 2023

Pur non seguendo il corso di religione, ho aderito con entusiasmo alla proposta dell’insegnante della mia classe (ormai ex classe, essendo del “quinto”) di fare un’esperienza di volontariato alla Caritas di Roma. Non mi sono sentito frenato da alcuno scetticismo: la carità, ho pensato, è un valore universale, non è importante la bandiera sotto la quale ci si pone. Mi considero convintamente agnostico e, dunque, non colloco alcunché di sacro alla base delle questioni etico-morali.

Ciò che è particolarmente degno di nota nel fare un’esperienza di volontariato, ed è ciò che mi ha portato a voler continuare, è il contatto diretto con coloro che sono i destinatari della caritas che i volontari dispensano. Ci si aspetterebbe una massa di senzatetto e di persone severamente disabili o anziane, ma accanto a loro mangiano famiglie, a volte persino gente benvestita, persone comunissime, che in una piazza non darebbero affatto nell’occhio. Quella caritas viene dispensata senza distinzioni, a chiunque. E non stupisce solo questo: molti si fanno riempire il piatto per poi lasciare sul tavolo grandi quantità di cibo. Oltre una certa soglia, il cibo non sembra più soddisfare: la fame psicologica supera quella corporale.

Molti, tra i commensali, sono gentili e cercano la compagnia quanto il cibo: accontentarli è fonte di conversazioni affascinanti, spesso surreali e sempre istruttive. Ma anche a chi è scortese (ingrato, apostroferebbe qualcuno), e ve ne sono, si dispensa la stessa caritas. D’altra parte, l’ego si alimenta spesso con l’altruismo e bisogna stare attenti a non nutrire quest’ultimo con una carità recitata che pretende gratitudine.

Proprio un’esperienza come questa alla Caritas (nome adattissimo, perché caritas in latino significa carità ed affetto, ma anche penuria e deficienza, rappresentando così entrambe le facce del servizio a chi ha bisogno) può, a mio avviso, aiutare a mettere da parte l’ego e a vivere l’altruismo come sincera empatia, che fa soffrire un uomo per le sofferenze altrui, “specchiandole”. È dunque un contesto in cui uno dei più belli tra i valori cattolici si declina nella maniera più autentica, e potenzialmente vicina anche a chi, come me, cattolico non è e nemmeno cristiano.

di Federico Timpe