· Città del Vaticano ·

Povertà educativa Non solo dati

Ivan, Amal e Giovanni

 Ivan, Amal  e Giovanni  ODS-013
02 settembre 2023

Il mio lungo viaggio, durato 30 anni, nelle “scuole di frontiera” è iniziato sulle montagne dell’Aspromonte. Partivo alle 5 del mattino per raggiungere un paesino arroccato su un’altura. Rientravo a casa, a Messina, il fine settimana.

In Calabria e, poi, in Sicilia, dove mi sono trasferita per stare più vicina alla mia famiglia, ho toccato con mano la povertà educativa. In quelle zone dimenticate da tutti, non esistevano strutture per attività sportive, ricreative, culturali, niente mense scolastiche, palestre, cinema, parchi giochi… le famiglie vivevano in case fatiscenti, roulotte abbandonate, baracche, ambienti angusti dove alloggiavano anche 10 persone. I ragazzi si presentavano a scuola con un quaderno stracciato e qualche foglio su cui scrivere, con le scarpe bucate, che, quando arrivava la neve, era un morire di freddo, senza riscaldamenti.

La dispersione scolastica, in quei contesti, è molto elevata. I minori sono facile preda della criminalità e della mafia. Succedeva che, ogni tanto, si aveva la triste sorpresa di leggere il nome di qualche alunno nelle pagine di cronaca nera: per droga, rapina o altro.

La realtà delle “scuole di frontiera” è dura, inimmaginabile. Per capirla sono scesa anche in strada, tra solitudine, sofferenza e abbandono. Per entrare nel vissuto dei più fragili ho usato gli occhi del cuore, libera da ogni pregiudizio, senza prediche paternalistiche o pietismi. Ed è stata l’esperienza più gratificante della mia vita.

Ci vorrebbero pagine e pagine per raccontare tutto: volti, storie, emozioni, giovani vite che hanno incrociato la mia dando un senso al mio cammino di donna e di insegnante.

Ivan viveva in una baracca. La mattina, a scuola, arrivava sempre infreddolito, appoggiava la testa sul banco e dormiva per qualche ora. Non era un ribelle, sembrava proprio assente. Quando gli sfioravo il viso per accarezzarlo si tirava indietro. Mi faceva tanta tenerezza, c’era qualcosa in lui che lo tormentava. Sapemmo poi, attraverso gli assistenti sociali, che la madre, ogni sera, portava i figli a prostituirsi in un’altra città. Iniziarono così i colloqui con una psicologa, ma solo due incontri, poi non venne più a scuola. Dopo due mesi di procedimenti burocratici, il ragazzo venne allontanato dalla famiglia e messo in un istituto.

Amal, marocchina, sembrava molto più grande dei suoi 13 anni. Vivace, estroversa, maliziosa, s’infatuava, spesso, di qualche attore che vedeva in televisione e s’inventava delle storie d’amore che, con molta fantasia, narrava minuziosamente sul quaderno. Ricordo quella con il commissario Montalbano. Aveva buone capacità di apprendimento, ma non era proprio interessata alla scuola. Vagava con la mente in altri mondi, ma si raccontava facilmente. Si sentiva attratta da uomini adulti, e un giorno mi disse che, all’uscita della scuola, aveva incontrato un signore che l’aveva invitata a salire in macchina per accompagnarla a casa. E così ogni giorno lui l’aspettava davanti alla scuola. Subito comunicammo alla famiglia l’accaduto, e una mattina si presentò la sorella maggiore, i genitori non si facevano mai vedere, dicevano di essere impegnati con il lavoro. La sorella ci raccontò che Amal a casa era sempre sola, per cui preferiva girovagare per la strada. Anche in questo caso, a tutti gli interventi programmati con gli specialisti, la ragazza non si presentava, e si assentava continuamente. Verso gennaio del secondo anno di scuola media, non si fece più vedere. Dopo mesi, la sorella ci comunicò che Amal era incinta, che la madre l’aveva fatta abortire, e poi era tornata in Marocco da una parente.

Giovanni era quello che picchiava la madre e ogni mattina lei veniva a sfogarsi con noi insegnanti. Di lui ricordo l’irrequietezza e i momenti in cui andava su di giri. Si era molto affezionato a me. La mattina quando arrivavo correva a salutarmi con un bacio. La madre era molto avvilita, non riusciva a reggerlo in casa. Spesso veniva a raccontarmi quello che combinava il figlio, tanto che era finita pure al pronto soccorso. Aveva deciso di metterlo in un istituto. Cercai di esserle di aiuto in tanti modi, e, soprattutto, la convinsi a fargli finire l’anno scolastico: era già in terza media. Giovanni con me parlava di tutto e riuscivo un po’ a smorzare la sua vivacità eccessiva. Tra mille problemi, nonostante le assenze e poca attitudine allo studio, riuscimmo a fargli prendere la licenza media. Dopo mesi del nuovo anno scolastico, Giovanni venne a trovarmi a scuola per informarmi che non viveva più con la madre, ma con la nonna, e che sarebbe partito con lei e lo zio per trovare lavoro a Milano. La madre mi telefonò che avrebbe lasciato la Sicilia pure lei, perché il compagno si era messo in un brutto giro, e lei si sentiva in pericolo.

Poi non ebbi più notizie, provai a chiamare qualche volta la madre, ma quel numero risultava inesistente.

di Rosanna Affronte