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Canti dalle periferie Il diritto di parlare e di essere ascoltati

 Canti dalle periferie Il diritto di parlare e di essere ascoltati  ODS-013
02 settembre 2023

La strada maestra di vita? Sì, forse. Almeno così la pensa Mimmo che, prima di ricominciare a “viandare” — come ha scritto sul numero di luglio-agosto —, ci ha lasciato uno suo testo nel quale racconta lo stupore che prova davanti a quella che per lui è la più grande biblioteca del mondo: il mondo stesso. Ma non tutti gli autori di questi “canti dalle periferie” la pensano allo stesso modo. La strada è anche dolore e sofferenza e ci finisci, spesso, proprio perché non hai gli “strumenti” che ti danno consapevolezza di te stesso e dei tuoi diritti. Così, resti ai margini, come nota Antonio e vedi i poveri come te diventare sempre più poveri e i ricchi sempre più ricchi.

Come patate
sotto terra

La povertà, nel 90% dei casi, ti porta alla strada. Ma la strada, nonostante i suoi dolori, le sofferenze, il freddo può insegnare molto e farti crescere a livello umano. Ti mette in contatto con altre persone, con altre sofferenze. Ti dà la possibilità di scambiare esperienze, di raccontare gli errori che hai fatto e di conoscere quelli degli altri. Ti apre al confronto, alla critica. Ti può mettere con le spalle al muro, ma ti dà anche il coraggio di raccontarti senza vergogna, perché non hai più nulla da perdere, non hai più il bisogno di nasconderti, non ti interessa più se gli altri ti giudicano. Tantissime “persone” si rinchiudono in scatole di mattoni (case), per nascondersi (a parte qualche caso) dalle proprie paure, dai propri egoismi, dalle proprie ipocrisie.

Sono nato in una borgata dove la miseria si poteva pesare a chili. Eppure, anche lì, ho avuto dei grandissimi maestri di vita, persone molto anziane e poverissime che mi hanno insegnato a coltivare gli orti, a piantare pomodori, melanzane, zucchine…

Oggi, che ho qualche anno, amo prendermi cura degli orti. Mi emoziona farlo. È stupendo riuscire, da un seme, a far nascere una pianta, a farla crescere fino a raccogliere i suoi frutti. Quando ci penso ho un brivido alla schiena. Mi fa sentire utile.

Per la situazione che sto vivendo mi viene da paragonarmi a una patata che sta e cresce sotto terra. Puoi lasciarla lì, ma continuerà a vivere per dare aiuto (cibo) a chi ne avrà bisogno.

Questo è l’insegnamento che mi ha dato la miseria, la povertà della strada. E credo che queste cose vadano dette ai giovani e non solo ai giovani.

Così come puoi prenderti cura di una pianta, puoi prenderti cura delle persone bisognose, aiutandole (farle crescere) nella speranza che loro possano donare qualcosa (i frutti). E se anche loro si dovessero sentire come delle patate, perché sono coperte dalla povertà creata dalla vita, ricordati che sono ancora vive e, chissà, potranno dare anche loro il proprio contributo in questa società.

Forse, sono un sognatore, uno che usa le metafore troppo facilmente, ma a me piace immaginare in positivo anche la miseria.

La più grande biblioteca del mondo

Vado in biblioteca fin da quando avevo tredici anni. Perché? Per imparare. Che cosa? Tutto ciò che non conosco.

È vero che fare il topo, e solo il topo di biblioteca, non aiuta, però è un inizio. Inizio di cosa? Oppure è la fine di quelle che sono le nostre credenze?

Ho tante domande in testa. Ed anche tante risposte, spesso incomprensibili e incongruenti. Troppa voglia di crescere, di diventare migliore. Comunque, rimane il fatto che la mia vita è così: guardare le cose, vivere le cose, interagire, relazionarmi e costruire.

Torniamo a me, a quello che faccio adesso e a cosa ho fatto nel passato. Vivo per strada, per scelta. Quando ero a Genova ho trovato una biblioteca sempre aperta. Sono molto curioso! Ci entravo per scaldarmi, visto che era inverno. E ho trovato tante persone che facevano lo stesso. Per cultura? In alcuni casi sì, ma in maggioranza no: soddisfacevano solo la necessità primaria di non morire di freddo.

In questo momento sono seduto per strada e sto guardando la più grande biblioteca che esiste: il mondo, la gente. Cercando di capire i mieli limiti e quelli degli altri.

Nel mondo che consideriamo reale cosa ci impedisce di apprendere? Sicuramente, per chi vive per strada e senza soldi è molto complicato avere un’istruzione elevata. Perché è negata questa opportunità anche a chi è considerato nella media? Dandogli la giusta possibilità potrebbero crescere!

In carcere la scuola
è un’opportunità
che va garantita

Quando si parla di scuola, uno degli aspetti meno trattati è quello relativo a due diverse realtà: gli ospedali e le carceri. In entrambi i casi si tratta di garantire un diritto fondamentale, quello allo studio e, soprattutto nel caso dei giovani, la prosecuzione di un percorso già avviato e che una malattia o una condanna hanno interrotto.

Nel carcere, in particolare, la scuola fa sentire la presenza dello Stato. Naturalmente, la scuola interna è un fatto reale se ci sono iscritti, se chi si siede al banco per la prima volta poi ha la volontà di continuare a frequentare.

Certo, è il detenuto che decide di andare a scuola, di iscriversi a una delle diverse proposte che vengono offerte all’interno della struttura. Lui fa il primo passo, ma poi è il “sistema carcere” che dovrebbe assisterlo e accompagnarlo in questo percorso. Il che significa evitare i trasferimenti, escludere lo studente dai lavori interni, dotarlo di libri di testo e delle strumentazioni necessarie, esonerarlo dal pagamento di tasse o altri contributi. Invece, una volta finita la lezione, i libri di testo restano in aula e la persona che torna in cella non se ne può avvalere per continuare a studiare. Poi, non sono contemplate sezioni per studenti; l’uso del computer collegato alla rete è impensabile; e non c’è esonero dalle “tasse universitarie”, nonostante gli oneri che i detenuti sono costretti a subire per “vivere”.

La scuola è un elemento centrale anche in carcere. Sono centinaia coloro che la frequentano ed il risultato è già buono. Ma occorre fare di più: la scuola in carcere è uno strumento prezioso che va valorizzato, sostenendo il detenuto con spazi appropriati, dotazioni tecnologiche singole e di gruppo, borse di studio per motivare e sostenere, realizzando uno specifico calendario scolastico, creando un collegamento tra formazione professionale all’interno e mercato del lavoro all’esterno, soprattutto per chi è prossimo all’uscita. E, poi, va motivato e incoraggiato ancora di più il corpo docente formato da insegnanti di prim’ordine. Tutto questo per evitare che anche per la scuola ci siano delle inferriate che bloccano la volontà dei singoli.

Sarà mai possibile? Si riuscirà mai a mettere insieme tutti coloro che hanno titolarità per ricercare soluzioni adeguate per potenziare la scuola in quel pezzo d’Italia che è costituito dalle carceri?

Lasciamo l’interrogativo aperto, ricordando però come, con pochi mezzi, ma idee chiare, don Bosco e don Milani affrontarono il tema della scuola.

La strada?
È dei poveri...

La povertà è maestra di vita? Può essere, ma forse è solo un modo di dire. Un modo per non guardare fino in fondo quello che vuol dire vivere per strada senza avere niente, dormire in un sacco a pelo e sperare solo di svegliarsi al mattino.

Si potrà mai spiegare tutto questo? Bisogna provare per capire quelle sensazioni, quello stato d’animo. O, almeno, bisogna ascoltare le persone che, purtroppo per loro, quell’esperienza l’hanno fatta. Le storie che leggi sui giornali o sul telefonino, sia che finiscano bene sia male, scorrono via senza insegnare niente, come una nuvola nel cielo.

Se non fosse così, forse si sarebbe evitato di intervenire in modo così restrittivo sul reddito di cittadinanza. Rischiamo di tornare a tre anni fa, quando anche comprare un pacchetto di sigarette era un problema. Perché, invece di tante str...te che ho sentito alla radio e alla televisione non ci viene detto quanti reati o micro-reati sono diminuiti in questi tre anni? No, non lo diranno mai, perché per questa nostra società i poveri stanno meglio in galera e se poi qualcuno dovesse morire è un problema in meno.

Si leva ai poveri per dare ai ricchi. E allora che cosa può insegnare questa povera povertà?

... e degli ignoranti

Lo scorso 10 luglio ho compiuto 83 anni. Nella mia vita non ho mai avuto la disgrazia di trovarmi improvvisamente, come suol dirsi, “in mezzo ad una strada”. Da circa tre anni però, dopo una serie di accadimenti che hanno drammaticamente modificato la mia vita, sono ospite in una struttura di accoglienza della Caritas. Qui ho avuto il privilegio di condividere la mia nuova esperienza di vita con tante persone: anziane e non, invalide, ma anche in perfetta salute che, meno fortunate di me, hanno dovuto vivere in strada, affrontando, giorno dopo giorno, delle situazioni estremamente dure, disagiate, disumane.

Mi sono reso conto che molto spesso il disagio estremo va sotto braccio all’ignoranza. È questa la vera piaga: la mancanza di una base culturale. Il che significa anche non avere consapevolezza di se stessi e dei propri diritti.

In tema di cultura e di formazione, la nostra bella e amata Italia, che ha contribuito con la sua civiltà e cultura allo sviluppo del mondo, sembra aver perso il passo con gli altri paesi. Questo è accaduto per tanti motivi, ma, a mio modesto avviso, tre mi saltano agli occhi:

1 – L’insegnamento non può essere considerato solo una mera occupazione. È ed è sempre stato una missione!

2 – Un maestro e/o un professore non può essere “provvisorio” per tutta la sua vita!

3 – Bisogna evitare, in tutti i modi possibili, che gli studenti abbandonino anzitempo gli studi, anche se per molti è una necessità per poter aiutare la propria famiglia a sopravvivere.

Poi, meglio stendere un velo pietoso sull’ammodernamento degli edifici scolastici: siamo indietro di almeno 20 anni.

Detto questo, come ogni anno, le nostre scuole e università riaprono i battenti. Speriamo che la nostra gioventù sia incoraggiata e sostenuta nel suo cammino di formazione al fine di raggiungere un livello culturale e professionale che consenta di programmare una vita utile, serena, interessante. Anche se questo costerà fatica e impegno.

E voi, cari amici politici e non, ricordate che aiutando la scuola avremo aiutato il nostro Paese e avremo tolto dalla strada tanta brava gente, colpevole solo di essere stata dimenticata da tutti.

Gli scartati: alunni
e maestri di vita

«La strada è stata la mia scuola: ho imparato tanto e tanto avrei da insegnare». Questa è una frase, potremmo dire uno stereotipo, che abbiamo sentito anche in tanti film. In realtà è vero, perché per i tanti che vivono ai margini delle nostre città la strada è la scuola da cui hanno imparato molto. Hanno imparato che insieme ci si aiuta meglio: razza, colore, religione, pensiero, anche se diversi dai tuoi, non fanno differenza, anzi, ti arricchiscono. Hanno imparato che la gente che passa e ti guarda con occhi diversi dai tuoi non sempre volge lo sguardo dall’altra parte, anzi, spesso ti tende la mano, ti ascolta, proprio come fa un professore in classe con i suoi alunni: perché è vero che deve dare gli insegnamenti giusti, ma è altrettanto vero che egli impara molto anche dai suoi alunni.

Così, dopo un’estate torrida — che i più poveri hanno potuto affrontare fortunatamente non da soli, ma con tanti volontari — anche chi vive per strada tornerà, in un certo senso, a scuola e c’è chi ancora una volta sarà maestro di strada e chi alunno. Possono davvero insegnarci tanto questi nostri fratelli e sorelle, se solo riuscissimo ad aprire a loro il nostro cuore e soprattutto la nostra mente.

Potremmo imparare che la strada è dura, che bisogna stare attenti e con gli occhi sempre aperti — di giorno e di notte —, che la strada ti fa soffrire, ti fa sentire a volte ancora più solo di quanto tu non lo sia già. Certo, la strada “maestra povertà” è dura, ma può riservarti anche tante belle sorprese, può metterti anche in condizione di conoscere e farti conoscere.

I nostri figli, amici, nipoti che stanno tornando sui banchi di scuola, a volte vivono in un mondo ovattato, un mondo social, un mondo in cui tutto è perfetto, tutto ti è dovuto. Ma la realtà ci mette di fronte a cose reali come la povertà e coloro che vivono ai margini e che soffrono: ecco, credo che una “Lectio magistralis”, tenuta da qualcuno dei nostri fratelli maestri di strada, non sarebbe male. Hanno tanto da raccontare e da insegnare e noi, dico noi tutti, tanto da imparare.

Grazie povertà!

La povertà?… la povertà non si sceglie. Si può nascere povero o si può diventare povero. Nel mio caso, la povertà l’ho conosciuta quando ci sono finito dentro con tutte le scarpe. Avevo una vita normalissima: un lavoro, delle mie amicizie... Non vivevo nell’oro, ma stavo bene. Insomma, se ci ripenso, non mi mancava niente!

Vi risparmio i particolari: ci vorrebbe un giornale intero per raccontare la mia storia. Posso solo dire che all’inizio ti senti confuso. Quasi non ti rendi conto. Poi, a mano a mano, ti accorgi di tutto quello che avevi — e quasi lo snobbavi — e che non hai più, di quello che potevi fare e che non puoi fare più. Ti ritrovi in una dimensione che non conosci. Comincia a mancarti la terra sotto i piedi. Ti senti vulnerabile, inutile. Ti senti nessuno, un fantasma che la gente non vuole o fa finta di non vedere.

La povertà è una brutta compagna di vita. Ma ti insegna anche qualcosa. Ti insegna che cos’è l’umiltà. Ti insegna il rispetto che devi avere per chiunque. Ti insegna ad aiutare le persone che gridano “aiuto” nel silenzio.

Grazie povertà!

Domenico

Mimmo

s.c.

Antonio

Alessandro

Angelo Zurolo

Giuliano