· Città del Vaticano ·

DONNE CHIESA MONDO

Le comunità ecclesiali di base nate in America Latina: un racconto al femminile

Una scuola di libertà

 Una scuola di libertà  DCM-008
02 settembre 2023

«Una ragazza indigena mi ha detto che, ogni settimana, quando rientrava a casa dalla comunità, il marito la picchiava. Una volta, l’ha affrontato: prima o poi ti stancherai di pestarmi, ma io non mi stancherò di andare alla comunità perché là mi sento libera. L’uomo è rimasto spiazzato. Da allora, però, non l’ha più toccata. Ecco, questa storia sintetizza ciò che sono le comunità ecclesiali di base per il popolo dei margini e, in particolare, per le donne: una scuola di libertà».

Eudosia Lagunes Molina l’ha sperimentato in prima persona nel lavoro a Paso del Macho, nello stato messicano di Veracruz. Un minuscolo villaggio di contadini, oltre la metà povera, ostaggio della violenza delle mafie del narcotraffico. Là, da tre anni, Eudosia coordina una comunità ecclesiale di base che riunisce centinaia di ragazzi e, soprattutto, ragazze. «Sono tante le giovani madri. Vengono con i loro bambini – racconta -. Ed è una gioia vederli perché dimostra che le comunità ecclesiali di base non appartengono al passato. Sono presente e futuro».

Impossibile conoscere il numero esatto di queste realtà di Chiesa dei margini, dai tratti marcatamente samaritani – poveri che evangelizzano altri poveri attraverso la vicinanza solidale - e femminili. «Innumerevoli come le stelle del cielo», le definiva Carlos Mesters, teologo carmelitano, olandese di nascita e brasiliano di adozione.

Nate dai fermenti di rinnovamento della pratica pastorale che hanno segnato gli anni Cinquanta in America Latina, sono state “ufficializzate”, nel 1968, dalla Conferenza di Medellín, momento cruciale di ricezione del Concilio da parte dell’episcopato continentale. ”Centro propulsore di evangelizzazione” e “cellula iniziale della struttura ecclesiale”, le chiama il Documento finale. «Il testo descrive quanto già avveniva, in particolare nelle sterminate periferie delle nascenti megalopoli e nelle zone rurali dove i cattolici avevano preso a riunirsi in piccoli gruppi, “di grandezza umana”, si diceva, per leggere la propria realtà alla luce della Parola e assumere un impegno per contribuire a rendere la prima più simile al Vangelo. Non si trattava di grandi progetti ma piccole azioni che offrissero una testimonianza, secondo il principio, mutuato da un proverbio africano, “gente semplice che fa cose insignificanti in luoghi poco importanti può ottenere cambiamenti straordinari”», spiega la messicana Socorro Martínez, religiosa del Sacro Cuore e coordinatrice dell’articolazione continentale delle Comunità ecclesiali di base (Ceb), nelle quali è impegnata fin dal 1971.

Al principio, è stato determinante l’impulso di sacerdoti e congregazioni religiose. Ben presto, però, i laici hanno assunto il ruolo di protagonisti. E le donne, grazie alla struttura snella e flessibile, sono divenute la colonna portante. «Proprio le comunità di base le hanno aiutate a prendere coscienza della loro doppia marginalità, socio-economica e di genere – sottolinea Eudosia Lagunes Molina -. E a contrastarla. Il comprendere che per Dio tutti e tutte sono figli e figlie, le ha spinte a prendere la parola, a scegliere, a diventare soggetti attivi».

La carica trasformatrice si è mantenuta nel tempo, anche quando le comunità si sono diffuse fuori dal Continente, in particolare in Africa. «Proprio questo e l’attivismo sociale hanno fatto sì che, spesso, fossero guardate con sospetto dall’istituzione ecclesiale», prosegue suor Socorro. Dopo il riflusso degli anni Ottanta e Novanta, il Documento di Aparecida del 2008 ha segnato una stagione di rilancio delle comunità di base. «Con il processo sinodale in atto, poi, sono tornate quantomai attuali. Noi siamo sinodali da sempre. Possiamo offrire la nostra esperienza alla Chiesa universale».

«Le comunità sono un esempio concreto di diversità armoniosa, in cui i diversi carismi e ministeri si integrano su un piano di pari dignità di battezzati e di battezzate», spiega Claudia Pleita, nutrizionista 29enne della regione paraguayana del Chaco. Cinque anni fa ha incontrato la comunità di San Ramón e ne è diventata animatrice. «Pensavo fossero ritrovi per vecchietti nostalgici e con tanto tempo libero. Invece ho scoperto che erano luoghi pieni di vita, dove poter testimoniare la fede in modo più autentico», racconta la giovane.

In questo tempo, la sfida principale per le comunità di base è instaurare un dialogo con le nuove generazioni. A tal fine è nata Bendita mezcla, benedetta mescolanza, una scuola virtuale che offre formazione teologica a under 35 e esponenti dei movimenti popolari. L’iniziativa, maturata nel 2016 e attiva dal 2020, punta a un insegnamento “giovane”, che parte dall’esperienza quotidiana e aiuti le persone a creare legami comunitari.

«E’ stata un’esperienza molto intensa – prosegue Claudia Pleita – che ci ha fatto venire voglia di procedere su questa strada. Così, a luglio, abbiamo lanciato il primo incontro in presenza in Paraguay per “ministri dell’ascolto comunitario” rivolto sempre ai giovani». «Questi ultimi hanno un profondo desiderio di legami forti, basati, però, non sull’evasione ma sulla condivisione dell’impegno per attenuare le ingiustizie, curare la casa comune, sostenere i più fragili. Nelle comunità trovano un laboratorio di sperimentazione accogliente, proprio come la generazione dei loro genitori», afferma Giliane Gomes Lete, ex docente di storia che, nel 2014, ha lasciato l’insegnamento per dedicarsi a tempo pieno al lavoro pastorale nella diocesi di São Félix do Araguaia, una delle culle delle comunità di base brasiliane grazie alla profezia del defunto vescovo Pedro Casaldáliga. «La sua memoria è viva. Le sue parole continuano a ispirare i giovani, esortandoli a camminare insieme, al fianco dei poveri».

di Lucia Capuzzi
Giornalista «Avvenire»